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Non si può parlare di carbone, del rimbalzo dei suoi consumi senza contestualizzare il mercato a livello globale e senza soprattutto analizzare il ruolo del principale consumatore e produttore di questa fonte, la Cina. I numeri che ruotano intorno a questo paese, infatti, sono tali che una oscillazione al rialzo o al ribasso può avere ripercussioni importanti a livello internazionale. Ne abbiamo parlato con Corrado Clini Ex Ministro dell’Ambiente e oggi Visiting Professor presso la Tsinghua University School of Environment di Pechino
Nel novembre 2021, alla COP26 di Glasgow, l’Unione Europa si indignava di fronte alla proposta di Cina e India di modificare il testo finale, sostituendo il “phase out” del carbone con un più morbido “phase down”. Frans Timmermans, parlando subito dopo il ministro indiano, sottolineava come l’Unione Europea fosse pronta a spingersi ben oltre per porre fine all’uso del carbone e affermava “We know that coal has no future”, accompagnato da applausi scroscianti.
Il piano di contenimento dei consumi gas varato in settembre dal Mite prevede di ridurre la domanda di oltre un miliardo e mezzo di metri cubi tra agosto 2022 e marzo 2023, aumentando al massimo la produzione delle centrali a carbone. Una “massimizzazione” di fatto dell’utilizzo delle ultime centrali a combustibili solidi in Italia, del resto, era in gran parte già in atto da mesi per ragioni commerciali, tanto che l’entrata in vigore dell’obbligo non sembra aver modificato molto il quadro.
A partire dal 2016, il numero di operatori europei proprietari di centrali a carbone che hanno chiuso i loro impianti, o hanno annunciato piani di phase out al 2030, è salito a 171. E anche quest’anno, si sono aggiunti nuovi soggetti. A livello nazionale, diciassette paesi europei hanno smesso di bruciare carbone o si sono impegnati a farlo al più tardi entro il 2030 e nessun governo ha rinunciato a questa promessa.
Mentre il prezzo del petrolio viene riportato dai media da qualche decennio, il prezzo del gas, fino a qualche mese fa era conosciuto quasi esclusivamente dagli addetti ai lavori. Il cosiddetto “uomo della strada” oggi probabilmente ha letto o sentito che il prezzo del gas sul mercato di Amsterdam si attesta a 175 €/MWh, ma quasi sicuramente non è consapevole del fatto che quel prezzo equivale a 275 dollari per barile di grezzo, un prezzo che il Brent non ha mai neanche sfiorato.
A voler cercare nella figura qui sotto i record dei prezzi di elettricità e gas che tanto fecero scalpore nell'estate del 2021, quasi si fatica a trovarli. Nell’anno successivo sono stati, infatti, seguiti da una serie di ondate (almeno quattro) di aumenti assai peggiori. L’ultimo sembra aver avuto il suo picco nei giorni scorsi e si prepara ora a scaricare i propri effetti sull’economia.
Non si possono centrare gli obiettivi della decarbonizzazione senza passare dal gas. Tra le principali fonti del mix energetico globale, il gas naturale svolge e svolgerà ancora di più in futuro, con i gas verdi, un ruolo pivotale nel processo di transizione energetica, oltre ad essere indispensabile per garantire la sicurezza energetica dei sistemi nazionali. Per accompagnare questo processo serve però un’ulteriore spinta tecnologica, maggiori investimenti e una propensione politica che non abbia pregiudizi. Tutti temi che abbiamo trattato con Luigi Ciarrocchi, Presidente di Assorisorse.
Nel giugno del 2019, è nato un nuovo mercato del GNL a impatto zero. Shell ha siglato un accordo per rifornire di questa tipologia di gas le compagnie Tokyo Gas e GS Energy. Una settimana dopo, l’utility giapponese JERA ha annunciato l’invio di un simile cargo destinato ad un cliente indiano. Nel corso del 2020, sono stati altri 4 i carichi di questo tipo provenienti da vari fornitori, diretti tutti verso clienti cinesi. Nel 2021 poi, si è assistito ad un vero e proprio boom, con 21 nuove spedizioni di GNL a impatto zero annunciati, pressoché tutti nei mercati asiatici (vedi figura seguente). Alcuni si aspettano che questo mercato inizi a competere con quello tradizionale degli idrocarburi nel corso della prossima decade. Tuttavia, fino al momento in cui si scrive, nell’anno in corso, non è stato ancora consegnato né è stata annunciata la consegna di carichi di GNL carbon neutral.
Il conflitto russo-ucraino, la riduzione dei flussi dalla Russia e la difficoltà a trovare forniture alternative sul mercato, almeno sul breve periodo, hanno imposto una riflessione rinnovata sul concetto di sicurezza energetica e sulla capacità del sistema di essere resiliente di fronte a shock di questo tipo. Di questi temi e delle soluzioni che il nostro paese sta trovando per affrontare la crisi, ne abbiamo discusso con Massimo Derchi, Chief Industrial Asset Officer Snam
Guerra e sicurezza energetica. Il contesto attuale è delicato e al tempo stesso complicato. I volumi di gas disponibili sul mercato si sono ridotti a causa del taglio effettuato dalla Russia e l’inverno ormai è prossimo.
Nell’attuale contesto geopolitico, sebbene possa sembrare prematuro valutare lo stato dell’arte del settore del gas russo, in ragione delle innumerevoli incertezze che lo contraddistinguono, si possono comunque individuare due tendenze principali. La prima: Gazprom sta per perdere un mercato strategico, quale quello europeo. La seconda: a causa delle sanzioni, si amplia il divario tecnologico che caratterizza l’industria del gas russo che, per sopravvivere, dovrebbe ridurre il più velocemente possibile la sua dipendenza dalle tecnologie importate. Gestire questi due fattori è la principale sfida per garantire la produzione di gas a lungo termine e aumentare il peso delle esportazioni di GNL sul gas totale esportato. Nel frattempo, però, una riduzione delle consegne di gas al Vecchio Continente espone Mosca a un emergente monopsonio della Cina.