Per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, si incoraggiano i paesi in via di sviluppo ad abbandonare i combustibili fossili, a evitare l'ulteriore sviluppo degli idrocarburi e a implementare soluzioni energetiche pulite per le loro economie.
Dall’11 al 22 novembre, l’Azerbaigian ha ospitato la COP29, il più importante summit climatico annuale organizzato dalle Nazioni Unite. In questo frangente, l'attenzione globale si è rivolta a Baku, capitale di un Paese tradizionalmente noto per le sue ricche riserve di petrolio e gas e che, negli ultimi anni, sta cercando di assumere un nuovo ruolo di leader nella sostenibilità e nelle energie rinnovabili nella regione del Caspio
Con l’appena conclusasi COP29 a Baku, il mondo ha guardato nuovamente al summit che annualmente può segnare una svolta nelle politiche climatiche globali. Tra i risultati raggiunti, in sintesi, le nazioni sviluppate hanno concordato di canalizzare almeno 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 verso i paesi in via di sviluppo per affrontare il cambiamento climatico; questo quello che è stato denominato New Collective Quantified Goal (NCQG).
Nell'eterno ritorno dei temi immortali delle COP - la messa al bando dei combustibili fossili, mai più centrali a carbone, fondi ai paesi poveri per sostenere la mitigazione e l'adattamento, target più ambiziosi, stop ai sussidi per i fossili, crediti di carbonio, deadline di vario genere - due sembrano essere stati quelli rilevanti nella conferenza di Baku.
In mid-October the Paris-based International Energy Agency (IEA) published its flagship publication – World Energy Outlook (WEO). This annual report came at a perfect time, just a few weeks before the United Nations climate change conference (COP), to be held in Baku, Azerbaijan, 11-22 November and in the midst of two major wars, one in Ukraine and the other in the Middle East.
A metà ottobre, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) ha pubblicato il suo più importante documento annuale, il World Energy Outlook (WEO). Questo rapporto è uscito in un momento perfetto, a poche settimane da COP29, organizzata dalle Nazioni Unite e che quest’anno si terrà a Baku, in Azerbaijan, dall’11 al 22 novembre.
La ventottesima Conferenza delle Parti (COP 28) ha segnato alcuni importanti progressi, riuscendo ad allocare risorse per le perdite e i danni legati ai cambiamenti climatici, registrando l’impegno a incrementare l’uso di fonti alternative come l’energia nucleare e garantendo sostegno alle tecnologie per l’abbattimento dei gas serra. Soprattutto, è la prima volta che un vertice COP sottolinea il nesso tra climate change e la salute pubblica, con i rappresentanti governativi di oltre cento paesi ad impegnarsi per la riduzione dell’inquinamento ambientale e di quello domestico, causa diretta di circa sette milioni di decessi all’anno (da decenni).
Doveva essere la COP dell’uscita dalle fonti fossili. È stata la COP dei compromessi. Ma per un paese come la Cina, il maggiore inquinatore al mondo, non poteva essere diversamente. Pechino ha da tempo impugnato le redini della corsa alla transizione energetica, ma rimane pragmaticamente ancorata a un sistema che sa non poter ancora stravolgere.
Ogni anno, a partire dalla prima COP di Berlino nel 1995, il mondo si riunisce per decidere come affrontare la sfida del cambiamento climatico. Alla COP21 di Parigi, nel 2015, per la prima volta, vennero assunti impegni vincolanti per limitare il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5°C, superata la quale, secondo la scienza, l’impatto del cambiamento climatico risulterebbe catastrofico.
Il 13 dicembre 2023, si sono ufficialmente conclusi i lavori della COP28 tenuta a Dubai, che ha visto coinvolti quasi 200 paesi e 90 mila delegati da tutto il mondo per affrontare, sulla base di studi scientifici, quello che viene indicato dalla banca mondiale come uno dei maggiori rischi dei prossimi anni: il cambiamento climatico e le strategie di contenimento delle temperature globali.