Non si possono centrare gli obiettivi della decarbonizzazione senza passare dal gas. Tra le principali fonti del mix energetico globale, il gas naturale svolge e svolgerà ancora di più in futuro, con i gas verdi, un ruolo pivotale nel processo di transizione energetica, oltre ad essere indispensabile per garantire la sicurezza energetica dei sistemi nazionali. Per accompagnare questo processo serve però un’ulteriore spinta tecnologica, maggiori investimenti e una propensione politica che non abbia pregiudizi. Tutti temi che abbiamo trattato con Luigi Ciarrocchi, Presidente di Assorisorse.
Quale è il ruolo attuale e futuro del gas nel de-carbonizzare il mix energetico, soprattutto nei settori dove la riduzione delle emissioni presenta maggiori difficoltà?
Il gas gioca un ruolo importante nel mix energetico attuale, arrivando a coprire, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), circa ¼ dei consumi energetici mondiali. Mentre, in termini di emissioni, il gas è responsabile di circa il 23% delle emissioni di CO2 da fuel combustion mondiali a fronte del 32% circa del petrolio e del 45% del carbone, rappresentando, tra le fonti tradizionali, quella a minor impatto emissivo. In particolare, nel settore elettrico, laddove gli impianti a gas beneficiano di migliori caratteristiche in termini di efficienza rispetto alle altre centrali termiche, si attribuisce al gas circa il 23% del totale delle emissioni a fronte di poco meno del 75% del carbone. L’evoluzione del gas naturale nel futuro presenta traiettorie differenti a seconda dell’orizzonte previsionale considerato e delle diverse aree geografiche, dipendendo dalle politiche adottate, dagli impegni di decarbonizzazione e dal mix energetico dei diversi Paesi. Inoltre, alla luce del momento storico che stiamo vivendo, acquista sempre più rilevanza la necessità di coniugare sicurezza energetica e contrasto al cambiamento climatico, adottando un approccio neutrale rispetto alle possibili tecnologie e fonti per la decarbonizzazione.
In particolare, se le prospettive dei consumi gas tendono alla riduzione già nel breve e medio termine in aree come l’EU27 - per effetto non solo delle ambiziose policy di taglio delle emissioni (Fit for 55) ma anche della necessità di ridurre la dipendenza dall’import di gas dalla Russia (RePowerEU) - in altre regioni del mondo, fortemente penalizzate dalla persistenza del carbone nel mix energetico, il gas potrà ritagliarsi un ruolo crescente. In tali Paesi, infatti, il gas potrà supportare il processo di decarbonizzazione attraverso la sostituzione nell’immediato del carbone e l’integrazione delle rinnovabili intermittenti fino a quando le batterie saranno in grado di fornire l’autonomia necessaria in maniera economica e sostenibile. Tali prospettive interessano specialmente le aree non OCSE, dove il carbone copre ancora, in media, il 35% dei consumi energetici complessivi, in particolare nel power (54% dei consumi del settore), con punte in Cina rispettivamente del 60% sul mix energetico e del 77% nel settore elettrico. Il risultato in termini ambientali sarebbe particolarmente significativo: se il gas sostituisse il carbone nella generazione elettrica, le emissioni di gas serra si dimezzerebbero a livello mondiale.
Combinando l’utilizzo del gas con soluzioni tecnologiche mature e impiegate già adesso in determinati contesti, come ad esempio la Carbon Capture, Utilization and Storage (CCUS), il contributo alla decarbonizzazione del gas risulterebbe ancora più importante. Tale soluzione potrà svolgere un ruolo chiave per gli usi non energetici e nei settori high energy intensive (es. produzione di acciaio, cemento e prodotti chimici). In questi settori, infatti, i processi produttivi richiedono l’utilizzo di calore ad altissima temperatura non ottenibile con le tecnologie attuali attraverso l’utilizzo di elettricità. Le emissioni di gas serra sono legate, in certi casi in modo preponderante, alla produzione stessa dei beni e non sono quindi evitabili se non tramite cattura. La CCUS è, pertanto, uno degli elementi centrali nelle strategie di decarbonizzazione dei settori industriali, e proprio per questo motivo sta ricevendo un supporto sempre più marcato da parte di governi nazionali e sovranazionali. L’Europa, ad esempio, incentiva lo sviluppo dell’intera catena del valore della CCUS attraverso fondi con ruoli diversificati: lo sviluppo tecnologico con i fondi Horizon Europe, l’applicazione industriale con l’Innovation Fund (11 dei 24 progetti approvati ad oggi riguardano la CCUS) e le infrastrutture con il fondo Connecting Europe Facility.
Alcuni Stati europei sono molto attivi in quest’ambito, a partire dal Regno Unito, che ha stanziato oltre 1 miliardo di sterline per ridurre al 2030 le emissioni di 20/30 milioni di tonnellate tramite la realizzazione di 4 Hub di CCUS. Olanda, Norvegia e Danimarca hanno stanziato o investito oltre 2 miliardi di euro ciascuna per sostenere progetti di CCUS nei rispettivi territori.
In Italia l’hub di Ravenna rappresenta una soluzione che consentirebbe la riconversione a siti di stoccaggio esclusivo e permanente di CO₂ dei giacimenti esauriti dell’Adriatico, permettendo di offrire a costi molto competitivi una soluzione rapida e concreta per la riduzione delle emissioni dei settori hard to abate italiani che, secondo ISPRA, nel 2019 valevano circa il 64% delle emissioni industriali e il 13% delle emissioni complessive del nostro Paese.
Dunque, il gas può contribuire da subito a decarbonizzare l’offerta energetica e rappresenta un combustibile “ponte” ideale per una transizione energetica equa e sostenibile.
Quanto possono incidere sul processo di decarbonizzazione un ricorso maggiore al GNL, l’immissione nella rete di trasporto di volumi sempre maggiori di biometano e di miscele gas-idrogeno? A che punto siamo?
Idrogeno e biogas/biometano, rientrano tra le soluzioni in grado di favorire il processo di decarbonizzazione riducendo al contempo la dipendenza dal gas naturale. Ad oggi entrambi coprono una quota marginale dei consumi energetici finali, presentando ancora limiti in termini di competitività, dimensione e disponibilità delle risorse/feedstock.
In particolare, l’idrogeno, contraddistinto da elevata densità energetica e versatilità di utilizzo, ad oggi trova in Cina e in USA i principali mercati di consumo e produzione e viene prodotto prevalentemente da fonti fossili con impianti e infrastrutture localizzate in prossimità dei siti di consumo (soprattutto industrie della raffinazione). Attualmente soddisfa una quota trascurabile dei consumi energetici finali mondiali ed è previsto raggiungere, secondo gli scenari AIE, una share compresa tra lo 0,04% (STEPS - Stated Policies Scenario) e 1,6% (NZE - Net Zero Emissions) al 2030 e tra lo 0,2% (STEPS) e il 5,7% (NZE) al 2050.
In EU27 una forte spinta all’idrogeno verde è arrivata dal REPowerEU, che ha quasi triplicato gli obiettivi al 2030. Tali target, per quanto potenzialmente realizzabili, ad oggi appaiono ambiziosi, anche alla luce della massiva capacità di rinnovabili necessaria, del forte potenziamento degli elettrolizzatori e degli ingenti investimenti richiesti.
Sul fronte del biometano da miscelare al gas naturale nel sistema di trasporto e distribuzione, se da un lato persistono alcune problematiche relative ai costi e alla sostenibilità della catena produttiva, dall’altro è indubbio il vantaggio ambientale. Le emissioni evitate sono relative ai feedstock utilizzati nella produzione di biogas, alla valorizzazione della CO2 estratta nel passaggio da biogas a biometano e al potenziale utilizzo del digestato (derivante dal processo di lavorazione del biogas) nel comparto agro-alimentare come fertilizzante naturale al posto di quello chimico. Sulla base degli scenari AIE, le prospettive future per il biometano su scala mondiale partono da una quota inferiore allo 0,05% sul consumo totale finale, ma è previsto raggiungano una quota compresa tra 0,1% (STEPS) e 0,5% (NZE) al 2030 e 0,8% (STEPS) e 2,2% (NZE) al 2050. In EU27, in base a quanto stabilito REPowerEU, il target di produzione di biometano è pari a 35 mld mc già al 2030, (12 volte il livello del 2021), raddoppiando di fatto l’obiettivo stabilito nel “Fit for 55”.
Il GNL, infine, insieme al contributo dei bio-carburanti, può ridurre la dipendenza dal petrolio soprattutto nel settore dei trasporti pesanti, principalmente nel segmento marittimo dove risulta scarsamente competitiva la sua sostituzione. Attualmente sono più di 250 le navi operative che utilizzano GNL come carburante e circa il 15% di quelle in costruzione - equivalente ad oltre il 30% se consideriamo la capacità di carico - prevede l’uso di gas liquefatto, soprattutto tra le metaniere e le navi per il trasporto civile. Nel medio termine, secondo WoodMackenzie il GNL marino potrebbe arrivare a spiazzare circa 0,6 milioni bbl/g di carburanti derivati dal petrolio, equivalenti a circa il 10% dei carburanti marini nel 2030, soprattutto in Asia, Europa (nonostante, almeno nel breve termine, l’attuale crisi energetica rappresenti una minaccia all’utilizzo di gas in questo settore che non è prioritario) e USA, dove il costo più contenuto del gas ne promuoverà l’utilizzo. In termini di riduzione delle emissioni GHG, l’utilizzo di GNL rappresenta una delle opzioni più facilmente implementabili nel medio termine visto il risparmio emissivo prossimo al 20% rispetto al combustibile alternativo (VLSFO - very low sulphur fuel oil) di maggiore utilizzo attuale. Al 2050, lo spiazzamento di prodotti petroliferi potrà arrivare a 1,3 milioni bbl/g su scala globale.
Come sempre accade, la ricerca avrà un ruolo fondamentale per superare i limiti attuali delle varie fonti energetiche. Sono convinto che sia possibile, con un adeguato mix, disaccoppiare crescita economica e trend emissivi e quindi vincere le sfide che abbiamo di fronte sul piano energetico per disegnare un futuro sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale.
Il gas, oltre che fonte ponte verso la riduzione delle emissioni, contribuisce a garantire la sicurezza del sistema elettrico a fronte dello sviluppo delle fonti rinnovabili. Il nesso, quindi, rinnovabili-gas è molto stretto. Ci può spiegare in che termini?
La diffusione delle rinnovabili e la progressiva elettrificazione dei processi necessitano, nel medio termine, di una fonte programmabile a supporto, come il gas, che stabilizzi il sistema elettrico e garantisca la disponibilità di energia su base continua. Come noto, l’energia prodotta da solare ed eolico è disponibile solo in alcuni momenti della giornata e in alcuni periodi dell’anno e deve essere integrata con una fonte stabile, proveniente al momento prevalentemente da impianti termoelettrici. Tra questi ultimi, le centrali a gas a ciclo combinato rappresentano una soluzione ottimale, essendo caratterizzate da elevata efficienza, ridotto lead time e un minore impatto emissivo rispetto al carbone. Inoltre, il ricorso al gas in questo ruolo di bilanciamento dei sistemi elettrici è possibile prevalentemente attraverso l’utilizzo di impianti già esistenti e ammortizzati, quindi limitando nuovi investimenti.
Lo storage energetico, possibile prevalentemente attraverso l’utilizzo di batterie, insieme agli impianti gas con CCUS e all’idrogeno, rappresenta un’alternativa di lungo termine alle centrali termoelettriche esistenti (senza sistemi di cattura delle emissioni). Nel campo delle batterie la tecnologia di stoccaggio energetico più diffusa attualmente è quella delle batterie al litio ad oggi ancora di dimensioni e autonomia ridotte.
Il tema dello sviluppo degli stoccaggi elettrici basati su sistema elettrochimico — in particolare le batterie al litio — non è esente da problemi: utilizzano minerali critici il cui costo è influenzato da trend in aumento a fronte di una forte crescita della domanda indotta dallo sviluppo delle “clean technologies” che in larga parte fanno uso di questi minerali. Il loro costo elevato, ovviamente, impatta negativamente sul costo di installazione degli stoccaggi e del loro utilizzo. Inoltre, la produzione di minerali critici – come avviene ora – non è esente da impatti ambientali e sociali. Infine, la crescente domanda di questi minerali è destinata a mutare gli equilibri geopolitici con il rischio di renderci dipendenti da nuove aree geografiche in cui si concentra la loro estrazione e raffinazione.
In conclusione, la transizione verso un sistema di generazione elettrica caratterizzato da percentuali sempre più elevate di fonti rinnovabili richiede lo sviluppo in parallelo di sistemi secondari di bilanciamento della rete, in grado di assicurare la continuità delle attività produttive, lo sviluppo economico ed il mantenimento dei livelli occupazionali. Lo scenario ottimale prevede una combinazione di stoccaggi elettrici, carburanti a ridotte emissioni quali idrogeno, bio-carburanti e bio-metano e centrali a gas con cattura delle emissioni. L’integrazione di queste soluzioni tra loro complementari non solo riduce i costi totali della decarbonizzazione del sistema elettrico, come da più parti dimostrato, ma limita anche in modo determinante l’esposizione al rischio di dinamiche di mercato dominate da una disponibilità insufficiente rispetto alla domanda, che possono avere conseguenze molto pesanti sull’economia.
In un contesto di riduzione dei flussi di gas importato, specie quelli dalla Russia, aumenta l’attenzione per le risorse interne di gas, dal cui sfruttamento oltre che ricadute economiche positive per il comparto e le casse dello Stato, derivano benefici ambientali in termini di minori emissioni rispetto al metano importato dai paesi lontani. Ci spiega perché?
Il gas è diventato sempre più una commodity globale e i mercati consentono oggi di spostare ingenti quantitativi di metano su lunghe distanze non solo via tubo, come si era iniziato a fare 50-60 anni fa, ma anche via mare tramite il GNL. Questa opportunità di trasporto genera certamente enormi benefici per la collettività, ma indubbiamente ha anche un costo ambientale perché le centrali di compressione usate per spingere il metano nei tubi e soprattutto le filiere criogeniche del GNL necessitano di alti consumi energetici che comportano livelli di emissioni importanti. Per questo motivo, poter sfruttare risorse “a km zero”, consentirebbe un potenziale abbattimento dei costi ambientali legati al loro trasporto, oltre ad evitare il costo industriale dovuto alla realizzazione di infrastrutture per l’importazione.
In Italia, molte delle riserve nazionali di metano recuperabili sono adiacenti a impianti di produzione e distribuzione già esistenti, che potrebbero essere almeno in parte reimpiegati, per non parlare della possibilità di sfruttare anche lo straordinario capitale di competenze umane presente nei medesimi distretti.
Ad oggi, le riserve disponibili di gas naturale sono valutate in oltre 110 mld mc, a cui si devono aggiungere i volumi ulteriori già scoperti nel medio e alto Adriatico e il loro potenziale esplorativo. Una stima complessiva potrebbe arrivare a circa 200 miliardi di metri cubi. Con una serie di azioni mirate all'ottimizzazione dei titoli minerari vigenti la produzione potrebbe aumentare in pochi anni dai 3,3 mld mc del 2021 a circa 6 mld mc l'anno entro il 2025 ed oltre 7 negli anni successivi (ovvero l'equivalente dei consumi complessivi del settore Industria). In assenza di una serie di interventi rapidi, invece la produzione nazionale di gas rischia un rapido declino sotto 1 mld mc entro il decennio attuale. Le linee di azione necessarie sono principalmente due: da un lato, assicurare le attività necessarie di ottimizzazione della produzione delle concessioni attualmente operative, a terra e a mare; dall’altro, accelerare lo sviluppo di nuovi progetti già messi a punto per i titoli esistenti.
I benefici che ne deriverebbero sono diversi e comprendono:
- sicurezza energetica e minore dipendenza da Paesi terzi;
- costi più competitivi rispetto alle importazioni;
- riduzione delle emissioni climalteranti: il gas "a km zero" ha in media emissioni complessive del 20-30% più basse rispetto a quello importato, con picchi di meno 50% per quello proveniente via nave o dalla Russia;
- maggiori investimenti locali, quindi occupazione, competitività e crescita di aziende italiane;
- contenimento della bolletta energetica.
La rinnovata attenzione sugli effetti delle emissioni di metano sottolinea come queste rappresentino una causa sinora sottovalutata del cambiamento climatico. Come sta procedendo l’industria?
Lo sforzo che sta facendo, da anni, tutta l’industria del gas, a livello di filiera e a livello mondiale, è proprio quello di evitare che perdite di metano in atmosfera lungo il tragitto del gas, dal pozzo all’utilizzo finale possano erodere il vantaggio ambientale del gas naturale rispetto agli altri combustibili fossili.
In Italia siamo impegnati da tempo in azioni e iniziative volontarie e i nostri operatori ricoprono un ruolo proattivo nelle principali partnership internazionali sul tema delle emissioni di metano. Tutte le emissioni di metano sono monitorate e quantificate secondo le migliori pratiche e standard internazionali e si stanno identificando ulteriori azioni di mitigazione delle emissioni al fine di garantire una riduzione in linea con gli obiettivi lanciati di recente nell'ambito del Global Methane Pledge (riduzione del 30% delle emissioni di metano al 2030 rispetto al 2020).
Nello specifico, l’identificazione delle emissioni fuggitive avviene attraverso l’uso di termocamere a infrarossi OGI (Optical Gas Imaging) nella pratica di lavoro LDAR (Leak Detection And Repair), riconosciuta a livello internazionale e progettata per identificare eventuali perdite ed effettuare tempestivamente le riparazioni. Si stanno testando nuove tecnologie disponibili sul mercato per migliorare il sistema di monitoraggio, identificazione e misurazione delle emissioni di metano. Alcune piattaforme, quali satelliti e aerei, sono più adatte a un monitoraggio diagnostico, in virtù dei limiti di detection relativi e restituiscono un’analisi globale delle emissioni del sito; mentre altre permettono l’individuazione delle emissioni a livello di gruppi operativi, ad esempio utilizzando i droni, o di singolo item (flange, valvole, ecc). Relativamente alle strategie di riduzione dell'impatto della combustione stazionaria, oltre ad agire sulla limitazione del processo di combustione, si stanno sperimentando tecnologie che mirano al miglioramento dell'efficienza di combustione per abbassare la percentuale di incombusti.
Su questo fronte si sta rivelando importante il ruolo di Assorisorse, dove operatori dall'upstream al midstream, insieme ai tech providers stanno lavorando insieme per rafforzare l'azione, anche a livello internazionale della filiera industriale italiana.
Il 5 settembre si apre a Milano Gastech 2022, di cui Assorisorse è partner. Quali sono le strategie e i processi industriali rivolti alla riduzione dell’impatto ambientale dell’intera filiera che Assorisorse presenterà in quell'occasione?
Negli ultimi anni l'Associazione si è trasformata in un punto di incontro dove operatori e fornitori di impianti, ingegneria e servizi si confrontano sulla combinazione di tecnologie già provate o in corso di sperimentazione operativa che consentano di elaborare processi industriali adeguati alle esigenze, e agli impegni, della decarbonizzazione. L'esame e lo sviluppo di nuovi modelli di business riguardano numerose aree, dalla CCUS all'idrogeno, all'economia circolare per il waste-to-energy, al nuovo ruolo del gas "a km zero", fino al recommissioning degli impianti offshore e all'azzeramento delle emissioni di metano.
L'applicazione di queste ed altre innovazioni agli asset domestici consente di affinare le tecnologie sviluppate dalla filiera italiana, la quale a sua volta è molto attiva nel far crescere nuove iniziative industriali di eccellenza sia internamente che attraverso il sostegno di start-up collegate ai principali poli accademici del Paese. In tal senso, la transizione energetica si sta rivelando come un'opportunità unica per la crescita di un tessuto industriale innovativo e competitivo a livello internazionale.
Molti se non tutti questi argomenti saranno oggetto di attenzione a Gastech, e per Assorisorse sarà l'occasione sia per confrontarsi con gli attori nazionali e internazionali impegnati su queste tematiche sia per presentare le nuove analisi di alcuni dei suoi gruppi di lavoro, in particolare il 6 settembre sui Modelli di business della filiera idrogeno e il 7 sulle Strategie di abbattimento delle emissioni di metano. Abbiamo anche partecipato all’organizzazione di una Start Up Zone in cui verranno presentate nuove realtà imprenditoriali impegnate nello sviluppo di tecnologie all’avanguardia.