L’Italia non ha ancora recepito la Energy Performance of Buildings Directive, avrà tempo sino al gennaio 2026. Tra le ragioni di questa attesa – si consideri che la direttiva è del maggio 2024 – vi è sicuramente la portata dell’impatto sul nostro Paese che, anche per le particolari caratteristiche del nostro patrimonio edilizio, è probabilmente tra i più forti in Europa.
Si parla di povertà energetica quando un nucleo familiare non riesce ad accedere a servizi energetici adeguati. Questa condizione può impattare negativamente sulla qualità della vita dei soggetti coinvolti, oltre ad ostacolare la transizione ed aumentare le disparità sociali. Questo fenomeno, solitamente, origina in famiglie con un basso reddito che spesso vivono in edifici dotati di scarsa efficienza energetica e per le quali i costi dell’energia sono elevati.
Crescono gli acquisti di ‘case green’ in Italia. Per il mercato immobiliare il 2024 è stato un anno positivo, con una crescita delle compravendite residenziali e delle prime case e un’accelerazione per le abitazioni meno energivore, considerati i crescenti costi delle bollette. Prospettive positive anche per il 2025 grazie ai tassi di interesse sui mutui, in consistente calo e previsti ancora in diminuzione nei prossimi mesi.
Nel panorama dell'edilizia italiana, gli incentivi fiscali rappresentano uno strumento fondamentale per sostenere la crescita del settore, soprattutto per promuovere la riqualificazione energetica degli edifici nell’ottica della salvaguardia del clima. Nel 2022 il parco edilizio europeo è stato responsabile del 37% delle emissioni climalteranti responsabili di effetto serra e inquinamento dell’atmosfera, e per contrastare questa tendenza, la recente Direttiva EPBD IV emanata dall’Unione Europea – che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 29 maggio 2026
Negli ultimi anni, si è affermata all’interno dei confini eurounitari una variegata architettura normativa preordinata al raggiungimento di ambiziosi obiettivi sul piano della riduzione di emissioni di gas a effetto serra. In primis, si punta al conseguimento della neutralità climatica entro il 2050 e, a livello “intermedio”, alla riduzione entro il 2030 delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990.
Gli stoccaggi minerari per il gas, nel panorama continentale europeo e con l’importante eccezione britannica (qui i siti di stoccaggio minerario sono notoriamente risibili e Londra si affida al floating storage sulle navi metaniere e all’aumento stagionale dell’import dal continente e dalla piattaforma norvegese), funzionano allo stesso tempo da “termometro” della salute del mercato (e dell’eventuale rischio di shortage) – e da “catalizzatore” finale di ogni variegato discorso sulla domanda e sull’offerta
L’arrivo della primavera sta scandendo la fine di un altro inverno turbolento per il mercato del gas europeo, la cui influenza sull’evoluzione di prezzi e le dinamiche di mercato si farà sentire per il resto del 2025. Dopo due anni di consumo invernale ben inferiore alla media, le condizioni metereologiche degli ultimi mesi meno favorevoli hanno portato a una domanda di gas superiore di circa il 5% rispetto alle aspettative stagionali (Fig. seg).
A settimane di dichiarazioni parse sin troppo cordiali agli stessi sostenitori dei negoziati, segue adesso una fase nei colloqui fra Stati Uniti e Russia alla quale a Mosca i commentatori politici hanno assegnato un nome preciso: la fine delle buone parole. È così che attorno al Cremlino considerano la minaccia del presidente americano, Donald Trump, di ripercussioni pesanti in particolare sul settore energetico in caso di mancato accordo sul piano di pace per l’Ucraina.
I primi due mesi della seconda presidenza Trump sono stati segnati da un registro decisamente nuovo e molto più aggressivo rispetto al passato, sia in campo politico che economico. Insieme alle contestate misure di politica interna – dalle deportazioni in massa degli immigrati ai tagli alla macchina federale, ai licenziamenti su larga scala dei dipendenti pubblici – questo nuovo registro è stato fonte di diffuse preoccupazioni, soprattutto in Europa.
La nuova “primavera” dell’energia nucleare – il cui crescente interesse è alimentato dalla sempre maggior necessità di sicurezza energetica a zero emissioni di carbonio – potrebbe portare in futuro ad un rilevante aumento della domanda di uranio, combustibile principe nella fissione nucleare. Nonostante, al momento, non vi siano pericoli in termini di esaurimento delle risorse, non si devono escludere potenziali futuri rischi nell’approvvigionamento, specialmente per l’UE, ad oggi fortemente dipendente dalle importazioni della materia prima.