Non si può parlare di carbone, del rimbalzo dei suoi consumi senza contestualizzare il mercato a livello globale e senza soprattutto analizzare il ruolo del principale consumatore e produttore di questa fonte, la Cina. I numeri che ruotano intorno a questo paese, infatti, sono tali che una oscillazione al rialzo o al ribasso può avere ripercussioni importanti a livello internazionale. Ne abbiamo parlato con Corrado Clini Ex Ministro dell’Ambiente e oggi Visiting Professor presso la Tsinghua University School of Environment di Pechino
Dopo un 2019 già di decrescita e un 2020 in cui il carbone ha amplificato la sua debacle, segnando un -4% su base annua (tasso mai così basso dalla Seconda Guerra Mondiale ), nel 2021, la domanda di carbone torna a crescere riportandosi su livelli superiori al 2019 e ai massimi dal 2014. Quale è la fotografia del mercato? Quali gli attori principali?
Il consumo mondiale di carbone è aumentato di circa il 6% nel 2021, a seguito del “rimbalzo” post Covid. Un ruolo importante in questo mercato è riservato alla Cina che i dati globali 2021 di produzione, consumo, esportazioni e importazioni di carbone ci consentono di delineare. Relativamente alla produzione, nel 2021 la Cina è il paese che produce di più (49,5% del totale), seguita da India (10%), Indonesia (7%), USA (6,5%), Unione Europea (6,3%), Australia (5,8%). Da rilevare che rispetto al 2020 la produzione di carbone è aumentata del 15% in Turchia, 11,9% nell’Unione Europea (Germania e Polonia in particolare), 9,8% in India, 8,8% in Russia, 8% in Nord America, 7,7% in Indonesia, 5,1 % in Cina. L’Australia, per effetto del blocco delle esportazioni in Cina ha conosciuto, invece, una riduzione del 7,3%.
Se guardiamo al consumo, i maggiori utilizzatori di carbone vedono, ancora una volta, la Cina al primo posto (53,8% del totale), seguita da India (12,5%), USA (6,6%), Unione Europea (5%), Giappone (3%), Sud Africa (2,2%). In questo caso, merita rilevare come rispetto al 2020, la domanda sia cresciuta del 20% in India, del 14% circa nell’Unione Europea e negli USA, del 5% in Giappone e del 4,6% in Cina.
La Cina non figura tra i più importanti esportatori di carbone: questi ultimi sono, infatti, l’Australia (35,7%), Indonesia (21,6%), Russia (14,3%), Stati Uniti (7,9%), Sud Africa (4,9%), Canada (4,9%). Insieme, questi paesi coprono oltre il 90% dell’export .
Finiamo di delineare il quadro del mercato con un dato sull’import. Il 70% dei paesi importatori è in Asia: India con il 17,3% del totale, Giappone con il 16,9%, Cina continentale con il 15,3%, Corea del Sud con il 9,7%, Taiwan con il 5,5%, Malesia con il 2,7%. I paesi dell’Unione Europea importano complessivamente l’11% del totale. Un terzo delle importazioni riguarda Germania e Olanda.
Per l’anno in corso le previsioni sono di un’ulteriore crescita: secondo l’AIE la domanda di carbone globale aumenterà dell’1%, trainata in particolare dai maggiori consumi di India e Unione Europea. In India, in particolare, è previsto un aumento del 7%, dopo il +20% registrato nel 2021. Anche nell’Unione Europea è stimato un rialzo del 7%, dopo la crescita del 14% nel 2021, soprattutto in ragione della sostituzione del gas naturale a causa della guerra in Ucraina e degli alti costi. Invertendo il trend, invece, si prevede che il rallentamento della crescita economica in Cina provocherà una riduzione dei consumi interni stimata in circa il 3%.
Ad una crescita del “nero” carbone, si affianca quella delle “verdi” rinnovabili. Ancora una volta l’analisi dei fondamentali del mercato ci restituisce un quadro in cui Pechino assurge a un ruolo di primo piano. Ci spiega perché?
Nel 2021 le fonti rinnovabili sono aumentate del 6% a livello globale. La Cina ha contribuito alla crescita con il 46% del totale della capacità aggiuntiva a livello mondiale, raggiungendo 1.063 GW di capacità installata. Uno share lontano da quello registrato dalle altre grandi economie, dal momento che la capacità aggiuntiva dell'Unione Europea è stata pari al 17%, quella degli USA al 12%, quella dell’ India al 4,5%. Le stime per il 2022 indicano un ulteriore aumento della capacità rinnovabile, che dovrebbe aumentare di oltre l'8%, in ragione soprattutto della crescita di Cina e Unione Europea. In Cina sono in fase di realizzazione 500 GW aggiuntivi di energia eolica e solare, di cui almeno la metà in zone desertiche, che saranno completati entro il 2025. Mentre è programmata la realizzazione di ulteriori 700 GW entro il 2030, fino a raggiungere 1.700 GW di capacità installata totale di eolico e solare. Contestualmente sono in corso di potenziamento e sviluppo sia i sistemi di accumulo che le infrastrutture di rete per la trasmissione dell’elettricità “verde” a lunga distanza. In Europa, REPowerEU ha fissato l’obiettivo di raggiungere entro il 2030 la capacità complessiva di produzione di energia rinnovabile a 1.236 GW, pari al 45% della domanda di energia, con il raddoppio entro il 2025 del solare fotovoltaico pari a oltre 320 GW. Come si vede, i percorsi di Cina e Unione Europea si muovono in parallelo, e gli effetti attesi riguardano sia la riduzione delle emissioni di carbonio, sia l’estensione delle rinnovabili nel mercato mondiale dell’energia.
I dati esposti ci dicono che la Cina sta seguendo due percorsi paralleli che sembrerebbero in contrapposizione uno con l’altro: cresce il carbone ma crescono contestualmente anche le rinnovabili. Ci spiega questa sorta di dicotomia?
I dati 2021 e le previsioni 2022 mettono in evidenza che la Cina ha il “primato” come paese produttore e consumatore di carbone, ma non come esportatore. Questo dato suggerisce che per Pechino il carbone è una risorsa per la propria sicurezza energetica e non un asset da promuovere nel mercato globale delle fonti energetiche. A questo proposito va ricordato che nel 2020 la Cina ha subito black out e interruzioni di attività produttive per la mancanza di elettricità dovuta all’effetto combinato della “intermittenza” delle fonti rinnovabili, della insufficienza delle reti elettriche e della sospensione delle produzioni di centrali termoelettriche per la riduzione delle emissioni. Il quattordicesimo piano quinquennale (FYP) (2021-2025) per il settore Energetico “Pulito, a basse emissioni di carbonio, sicuro ed efficiente” ha indicato come obiettivo per il 2025 il miglioramento della sicurezza energetica grazie all’aumento della produzione interna nella prospettiva di raggiungere il “picco” delle emissioni di carbonio entro il 2030.
In questo contesto si collocano le direttive e i programmi per aumentare la produzione di elettricità sia da carbone (+33 GW) sia da fonti rinnovabili (+500 GW), fino a raggiungere entro il 2025 3.000 GW di capacità di generazione elettrica installata rispetto agli attuali 2.390 GW. Nel “pacchetto” rientrano anche 14 GW di nucleare in costruzione. Nel 2025 le fonti rinnovabili dovrebbero coprire il 39% della produzione totale di elettricità.
Ovvero, il carbone è il “back up” delle fonti rinnovabili, insieme al nucleare, per garantire la continuità e la sicurezza dell’erogazione di elettricità.
Non sarebbe altrimenti giustificabile il rapporto tra gli investimenti nelle rinnovabili e nelle infrastrutture per le rinnovabili e gli investimenti sul carbone.
Se guardiamo al futuro e alle nuove tecnologie energetiche quale sarà il ruolo della Cina?
Carbone e Rinnovabili sono anche il “background” di tecnologie innovative per due possibili nuovi “primati “ della Cina. E alcuni dati danno contezza di questo. 1) Nel febbraio 2022 Global Industry Analysts ha pubblicato il rapporto "Carbon Capture and Storage (CCUS)- Global Market Trajectory & Analytics". Secondo il rapporto lo sviluppo in Cina della tecnologia della cattura e stoccaggio del carbonio, associata agli impianti industriali che utilizzano carbone e alle centrali termoelettriche a carbone, potrebbe raggiungere nel mercato cinese e globale un volume di 482 milioni di dollari, con un tasso di crescita annuo dell'11,4%.
2) Lo sviluppo della produzione e dell’impiego di idrogeno “verde”, prodotto con l’elettrolisi dell’acqua alimentata da fonti rinnovabili è un obiettivo strategico per la creazione di un'industria completa dell'idrogeno che copra i trasporti, lo stoccaggio di energia e i settori industriali, come indicato dalla National Development and Reform Commission (NDRC). La China Hydrogen Alliance ha stimato che il valore dell’industria cinese dell’idrogeno raggiungerà 160 miliardi di dollari già nel 2025, mentre la domanda cinese di idrogeno verde raggiungerà i 35 milioni di tonnellate all'anno entro il 2030.
Come è noto, la CCUS è un’opzione per la decarbonizzazione “dolce” delle industrie energivore, che potrebbe essere decisiva per molti settori produttivi, mentre il ciclo di produzione di idrogeno verde, lo stoccaggio, il trasporto e gli impieghi sono ancora in fase iniziale nonostante i programmi avviati e finanziati in Europa.
La dimensione del mercato e la diffusione di queste tecnologie in Cina, con le conseguenti economie di scala, potrebbero avere l’effetto di una semplificazione delle loro applicazioni e di una riduzione dei costi. Forse è meglio che le imprese europee siano partner dei progetti di sviluppo.