Bisogna fare a meno dei combustibili fossili, in primis del carbone. Una necessità ormai chiara dal secolo scorso, e sancita con un impegno formale durante l’ultima COP di Glasgow, lo scorso novembre. Tuttavia se la maggior parte dei paesi è concorde sulla fine del carbone, altri, come Cina e India che dipendono fortemente da questa fonte nei loro mix energetici, hanno parlato più di phase down” (riduzione) che di “phase out” (abbandono).
A fine luglio dello scorso anno a conclusione del G20 Ambiente, John Kerry e Roberto Cingolani avevano espresso la delusione per la mancata adesione di Cina e India alla proposta del phase out del carbone a partire dal 2025.
Cina e India avevano confermato quanto già messo in evidenza nei programmi nazionali per l’attuazione dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici: la transizione verso emissioni zero delle due economie emergenti ha bisogno del supporto del carbone come “back up” per lo sviluppo delle fonti alternative senza compromettere la sicurezza energetica.
La finestra temporale entro la quale evitare i peggiori impatti della crisi climatica e contenere il riscaldamento globale a 1,5° si sta chiudendo velocemente. Così come è evidente che le comunità dall’India all’Italia stiano subendo le conseguenze del cambiamento climatico: da mortali ondate di calore ad alluvioni record.
Come in decenni ben più oscuri di questo, parte dell’economia europea si è risvegliata in assetto di guerra. Mentre da Kharkiv a Mariupol’ e a Mykolaiv si susseguono le immagini dei bombardamenti a tappeto di quartieri residenziali, l’imponente siderurgia ucraina, di stazza ed expertise antiche ma di eredità sovietica, ha dovuto sostituire alla produzione di utensileria, condutture, scheletri per il calcestruzzo armato la fabbricazione di cavalli di Frisia, o addirittura raffreddare e fermare altoforni e colate continue e approntare dei rifugi antiaerei per i propri operai e le loro famiglie.
A Napoli, per la prima volta nella storia dei G20, clima ed energia sono stati protagonisti allo stesso tavolo. Segno che, finalmente, l’interconnessione tra questi due mondi è riconosciuta e considerata cruciale per affrontare la transizione. I lavori si sono aperti con le condoglianze ai delegati di Germania e Olanda per le vittime delle alluvioni: altro segnale positivo sulla maturazione culturale da parte di tutti i Paesi riuniti, che rappresentano circa due terzi delle emissioni globali, l’80% del PIL mondiale e il 60% della popolazione.
Ormai è assodato. Entro i confini dell’Unione europea la decarbonizzazione si fa anche svuotando i portafogli finanziari dei grandi investitori dagli asset fossili e soprattutto carboniferi. Al contrario, la stragrande maggioranza degli investitori statunitensi e asiatici sembra ancora restia a considerare la lotta ai cambiamenti climatici un affare anche finanziario. È l’esito del report pubblicato da Urgewald, Reclaim Finance, Rainforest Action Network, 350.org Japan e altre 25 ONG che da anni sono impegnate nel quantificare e denunciare il ruolo della finanza dietro l'industria globale del carbone.
L’anno più difficile per l’industria energetica e petrolifera si è concluso, pur in una situazione caratterizzata dalla forte presenza del coronavirus in molti paesi ed in particolare in Europa, che si è trovata nella difficile condizione di dover adottare a gennaio nuove stringenti misure restrittive dell’attività di molti settori e della circolazione delle persone, con prezzi del petrolio in sensibile rialzo.
Il recupero dei prezzi, più che ad una forte ripresa della domanda, limitata alla sola Cina, è indubbiamente legato alla notizia della messa a punto di una serie di efficaci vaccini ed all’inizio delle vaccinazioni di massa negli Stati Uniti ed in Europa.
Il 20 settembre 2020 il presidente Xi Jinping ha annunciato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’impegno unilaterale e senza condizioni della “decarbonizzazione” dell’economia della Cina entro il 2060, ovvero l’azzeramento delle emissioni di carbonio dopo che avranno raggiunto il loro picco entro il 2030.
L’impegno della Cina è una sfida tecnologica ed economica molto complessa.
L’ultima miniera di carbone ed il piano di chiusura: il 31 dicembre 2018 si è voltato pagina dopo oltre 70 anni di storia e di lavoro
Quando si parla di miniere in Italia si pensa al Sulcis-Iglesiente e riferendosi al carbone viene spontaneo parlare del polo industriale di PortoVesme a Portoscuso (SU) e della limitrofa miniera di carbone.
Come tutte le fonti energetiche, anche il carbone si trova a dover fare i conti con un mercato globale dell’energia sconvolto dagli effetti della pandemia da COVID-19. Una situazione inedita, che vede i prezzi del gas ai minimi da decenni, quelli del petrolio che addirittura sono risultati temporaneamente negativi in alcuni mercati e quelli del carbonio che a marzo sono crollati del 45%, per poi recuperare tra aprile e maggio.