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Per chi si occupa di energia, l’attività di scenarizzazione (che non vuol dire previsione, per definizione sbagliata) è una tra le più stimolanti e complesse. Permettetemi una premessa: ricordo la mia prima esperienza di scenari energetici ormai quasi 25 anni fa in quello che era il centro studi energetici per eccellenza in Italia: l’Eni.
Le tensioni sul mercato del gas naturale hanno inizio nell’autunno 2021, in ragione di un importante aumento della domanda, in particolare del GNL, non accompagnato da sufficienti disponibilità e, come gli eventi successivi hanno reso evidente, anche in ragione del palesarsi delle prime tensioni geopolitiche. Successivamente all’imprevedibile inizio della guerra russo-ucraina, le tensioni si sono acuite e si sono progressivamente accompagnate ad una crescente consapevolezza del rischio volumi.
L’ormai consolidata crisi del mercato del gas naturale generata dall’incertezza sulla disponibilità delle forniture, ha determinato l’aumento incontrollato ed altissima volatilità dei prezzi e al tempo stesso ha insinuato nelle aspettative delle società di vendita, in particolare nei reseller, il timore (o il terrore) di non riuscire ad approvvigionarsi per il prossimo anno termico.
Il mercato all’ingrosso, infatti, è caratterizzato da una desertificazione delle offerte di vendita; i principali player di mercato stanno lasciando che i propri clienti, anche quelli storici, si “sentano liberi” di trovare un altro fornitore non essendo certi di (voler) garantire le forniture a valle della filiera.
La vulgata o è complottista o non è. E può darsi che Gazprom complotti davvero. L’anno scorso non ha venduto volumi a breve in piattaforma, insomma non ha messo in vendita gas aggiuntivo rispetto a quello che vende con contratti di lungo periodo. E non ha alimentato gli stoccaggi che controllava in Europa. Disse che aveva avuto qualche problema tecnico con la produzione; e che doveva con priorità riempire gli stoccaggi di casa sua. Che magari non è implausibile. Però anche magari era solo per fare esplodere i prezzi, e tenerci al guinzaglio in vista dell’inverno. Tra chi lo pensa c’è anche chi aggiunge che lo faceva in vista e in funzione della guerra prossima ventura; però magari a deciderlo bastava un po’ di genialità nella politica commerciale. E in punto di commercio di gas i russi sono sempre stati bravissimi.
L’Italia e l’Europa si stanno giocando ormai la tenuta delle proprie reti di approvvigionamento, trasporto e distribuzione di energia e gas – con i principali rischi che si addensano sui mesi invernali almeno fino ad aprile 2023. L’uso di parole così nette sarebbe parso allarmistico fino a pochi giorni fa, nonostante la guerra in Ucraina stia infuriando da ormai più di tre mesi; anche oggi non si tratta che di un’evenienza, ma tutt’altro che remota.
A giugno, la regione del Mediterraneo orientale è stata teatro di eventi molto importanti legati al mondo dell’energia. All’inizio del mese, la compagnia greca Energean ha annunciato l’arrivo della sua unità di produzione, stoccaggio e scarico “Energean Power” presso il giacimento di Karish, nelle acque territoriali di Israele. Lungamente attesa, l’unità è salpata da Singapore e ci si aspetta inizi a produrre gas nei prossimi 3-4 mesi. Quello di Karish sarà il terzo giacimento produttivo in Israele, dopo Tamar e Leviathan. Evidentemente, questo annuncio non ha compiaciuto le autorità del Libano, le quali reclamano per sé i diritti di utilizzo del giacimento sin dall’ottobre 2020, da quando negoziazioni indirette sono state lanciate tra Libano e Israele con la mediazione degli Stati Uniti nel tentativo di risolvere dispute marittime lunghe decenni. Il governo libanese ha quindi chiamato come mediatore l’americano Amos Hochstein con l’intenzione di riesumare le negoziazioni.
Dopo aver goduto di prezzi bassi dal 2014 al 2020 e una volta uscita dal buio profondo della pandemia, l’Europa ha iniziato a dover fare i conti con l’impennata dei prezzi energetici. Le iniziali dinamiche di mercato si sono via via legate con quelle politiche e militari. Infatti, se inizialmente il rialzo dei prezzi era ascrivibile ai fondamentali di mercato - quali la rapida ripresa della domanda dopo mesi di restrizioni e numerose criticità sul lato dell’offerta-, da fine 2021 a soffiare sulle quotazioni sono stati calcoli e motivazioni politiche.
I mercati petroliferi stanno attraversando un periodo piuttosto turbolento, in larga parte dovuto all’acuirsi del conflitto russo-ucraino, il quale sembra lontano da una soluzione diplomatica. I prezzi del petrolio viaggiano da diverse settimane sopra quota 110 dollari/barile (con punte superiori ai 120) esibendo oscillazioni molto ampie da un giorno all’altro, mentre i prodotti raffinati ogni giorno infrangono un nuovo record, soprattutto se espressi in euro/litro vista la debolezza dell’euro nei confronti del dollaro.
Chi verrebbe maggiormente danneggiato da un possibile embargo petrolifero verso la Russia? Le finanze dei paesi consumatori o più quelle dello stato russo? Tre dati aiutano a inquadrare bene il problema. Il prezzo del Brent, che risponde in parte alle dinamiche della domanda globale di petrolio, si è portato dagli 87 doll/bbl di gennaio ai circa 115 doll/bbl attuali.
La crisi Russia-Ucraina ha amplificato la tendenza, già in atto dalla fine del 2021, dell’aumento dei prezzi delle materie prime, tra cui greggio e gas, ma ha soprattutto reso evidente il reale peso dell’export russo nel settore energetico e il ruolo, da un punto di vista logistico, del Mar Nero quale area nevralgica per la caricazione di materie prime, semi lavorati e prodotti finiti non solo di origine russa.