Dai massimi di marzo scorso, quando lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina spinse il Brent ben oltre quota 100, nei mesi successivi - con qualche piroetta - il prezzo del petrolio è sceso intorno agli 80 dollari al barile, un livello da molti operatori considerato accettabile sia per i paesi produttori che per i paesi consumatori. Forse per questo, nell’ultima riunione virtuale dell’OpecPlus, che si è svolta domenica scorsa, non è stata presa alcuna decisione sul livello produttivo: le quote assegnate a ciascun paese sono rimaste quelle stabilite lo scorso 5 ottobre, che prevedono per i paesi aderenti all’alleanza una produzione cumulativa pari a 41,85 milioni di barili giorno (esclusi dal conteggio Libia, Iran e Venezuela, in virtù della loro instabilità politica) e un tetto paritetico di circa 10,5 milioni di barili giorno per Russia e Arabia Saudita.

Al contempo, venerdì scorso, G7 e Unione Europea sono andati avanti lungo la strada delle sanzioni al petrolio russo, fissando a 60 dollari al barile la soglia per il price cap: sanzione di secondo livello in grado di colpire gli scambi via mare che coinvolgono paesi intermediari. A dimostrazione che minori flussi di greggio dalla Russia verso l’Occidente non fanno paura ai paesi consumatori. Né si teme una fiammata dei prezzi del petrolio che possa alimentare l’inflazione, tenuta così bene a freno dalle banche centrali Usa e Ue.

C’è già dunque una nuova configurazione del mercato petrolifero che va bene a tutti, con due prezzi del greggio: uno per i paesi amici della Russia e un altro per l’Occidente? Ed è tutto in equilibrio mentre i consumi petroliferi mondiali si posizionano nuovamente sui 100 milioni di barili al giorno, dopo il calo registrato a causa della pandemia? Così sembrerebbe, tant’è che Goldman Sachs, da sempre rialzista quando si tratta di fare previsioni sul prezzo del petrolio, nell’ultimo rapporto ha corretto al ribasso le previsioni sul Brent per il prossimo anno di circa 10 dollari al barile. E la curva dei prezzi forward si sta si sta modificando nel senso che il mercato del petrolio sta passando dalla backwardation al contango. In parole povere, il greggio pronto vale meno di quello futuro, perché il venditore non trova acquirenti e non vuole pagare lo stoccaggio.

Andamento giornaliero prezzo Brent e WTI I (doll/bbl)

Fonte: elaborazioni Staffetta Quotidiana su dati Ice e Cme

In giugno scorso, durante il suo discorso a San Pietroburgo per l’International Economic Forum 2022, il numero uno di Rosneft, Igor Sechin, già ammoniva i paesi occidentali, ma in tutt’altro senso, scommettendo che i paesi nemici della Russia avrebbero pagato prezzi del petrolio più alti. “In questo scenario è importante rispondere a una domanda – disse –  dov’è l’arca di Noè per l’economia mondiale?”.

Da allora di arche di Noè in effetti sembra che ne siano spuntate tantissime: il mercato nero delle petroliere è diventato più florido che mai, raggiungendo - secondo le stime di Goldman Sachs - livelli che non si vedevano dalla grande crisi globale del 2008. Molte delle navi utilizzate come scorte galleggianti durante la pandemia sono state convertite per entrare a far parte di flotte dark. Quindi più che di una nuova configurazione del mercato petrolifero tra paesi amici e nemici della Russia, sembrerebbe trattarsi di un nuovo ordine mondiale tra un mercato del petrolio “legale” e un altro “ombra”. Scenario che apre una serie di questioni, in primo luogo di tipo ambientale. Le vecchie petroliere usate per le flotte dark consumano di più, dunque inquinano di più, e sono più a rischio sversamento. Inoltre, se il mercato ombra del petrolio sembra essere in qualche modo in equilibrio, grazie al rallentamento dell’economia cinese e – più in generale – di quella mondiale, potrà dirsi altrettanto di quello dei prodotti petroliferi, che già ora è molto sbilanciato, con prezzi del diesel che superano da mesi ormai quelli della benzina? Per non parlare delle questioni finanziarie: chi o cosa fisserà il prezzo degli scambi dark e quale sarà la valuta di riferimento?

Secondo i calcoli dell’Aie contenuti nell’ultimo Oil Market Report di novembre, sarà il commercio di prodotti petroliferi a generare più incertezze, anche se le dinamiche delle sanzioni saranno le stesse. La Russia è stata abile nel trovare nuove rotte per il suo greggio e anche l’Europa ha facilmente rimpiazzato i barili russi con quelli dal Medio Oriente, dall’Africa, dalla Norvegia, dal Brasile e della Guyana. Di recente persino gli Stati Uniti si sono mossi sullo scacchiere internazionale per assicurarsi approvvigionamenti alternativi, autorizzando Chevron a produrre nuovamente greggio in Venezuela (purché venga esportato soltanto in Usa).

Il vero punto dolente è quindi il diesel, perché scarseggia, soprattutto in Europa. Sempre secondo dati Aie, gli ultimi disponibili, in ottobre scorso l’Ue ha importato 1,5 milioni di barili giorno di gasolio, nonostante i prezzi alle stelle. Di questi, 0,6 milioni sono arrivati dalla Russia; 0,2 mln dall’Arabia Saudita; 0,1 mln dagli Usa; 0,3 mln dall’India e dall’Asia; 0,4 mln da altri paesi nel resto del mondo. Rimpiazzare 0,6 milioni di barili al giorno di diesel russo entro febbraio è una corsa contro il tempo, soprattutto se si tiene presente che nei porti italiani – da ben prima dell’aumento delle petroliere dark – già arrivano talvolta carichi di prodotti petroliferi “scontati” (a Platts -) di provenienza quantomeno dubbia, creando caos e concorrenza sleale sull’extra rete e sulla rete nazionale di distribuzione carburanti.

Ma quel che è peggio, la carenza strutturale sul mercato internazionale di carburanti indispensabili per la logistica, per una sorta di principio di vasi comunicanti, potrebbe alla lunga far schizzare nuovamente le quotazioni del petrolio oltre i 100 dollari, con ricadute in termini di inflazione e rallentamento economico. E i paesi produttori, Arabia Saudita inclusa, non potrebbero farci alcunché, perché lo squilibrio del mercato non dipenderebbe dalla quantità di petrolio in circolazione, quanto piuttosto da quante raffinerie ci sono, dove si trovano e come marciano.

Come nel film di David Leitch “Bullet Train” (o nel cartone animato Trenino Thomas), è il diesel l’elemento chiave e “ribelle” necessario per controllare la pericolosa “morte bianca”, che guarda caso è proprio un gangster russo. Più tardi verrà individuato il metodo per neutralizzare gli effetti sull’Occidente del corto di gasolio, più difficile sarà evitare...l’emozionante finale del film.