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Dai massimi di marzo scorso, quando lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina spinse il Brent ben oltre quota 100, nei mesi successivi - con qualche piroetta - il prezzo del petrolio è sceso intorno agli 80 dollari al barile, un livello da molti operatori considerato accettabile sia per i paesi produttori che per i paesi consumatori.
L’Assemblea pubblica di Federchimica- Assogasliquidi si svolge in un momento rilevante dal punto di vista politico-istituzionale caratterizzato dalla formazione di un nuovo Parlamento e di un nuovo Governo, ai quali l’Associazione è pronta a fornire idee, spunti di lavoro, elaborazione di progetti di investimento volti a garantire lo sviluppo dei comparti dei gas liquefatti (GPL e GNL) e attenzione ai bisogni dei consumatori.
La Guardia di Finanza, nel più ampio contesto dell’esercizio delle funzioni di polizia economica e finanziaria riconosciute al Corpo dalla normativa vigente, effettua attività ispettive e indagini al fine di garantire il rispetto della legalità nel settore della commercializzazione del GPL, anche con particolare riferimento alla disciplina recata dal decreto legislativo 22 febbraio 2006, n. 128. Al riguardo, si evidenzia che nelle recenti stime della “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva – Anno 2022” la propensione al gap (rapporto tra imposta evasa e gettito teorico) riguardante le accise sui prodotti energetici è passata dal 9,7% del 2019 al 10,9% del 2020
Mancano poche settimane alle fine di questo annus horribilis dove, purtroppo, si può solo constatare che qualcosa ancora non torna. Proviamo a mettere in fila quello che è successo sul mercato gas e la reazione molto onerosa e spesso inefficace dei provvedimenti normativi e regolatori che si sono affastellati.
Se il 2022 è stato un anno senza precedenti per l’energia in generale, ciò è per certi versi ancor più vero per la filiera gas. Nell’arco di pochi mesi, il mercato del metano - fulcro dello shock energetico iniziato nel 2021 e intensificatosi con la crisi ucraina - ha visto incepparsi meccanismi cardine che da anni ne garantivano il funzionamento, trovandosi ora a marciare a tentoni, per un tempo ancora difficile da prevedere.
Nel corso delle ultime settimane si è infuocato il dibattito, non solo a livello politico, sulla potenziale misura di ‘price cap’, ovvero di definizione di un tetto massimo al prezzo di una materia prima. Prima di addentrarci nelle peculiarità tecniche delle proposte che il Consiglio chiede di fare alla Commissione, è opportuno partire da alcuni elementi puramente teorici. Il price cap ha 3 principali effetti nel medio termine:
Sono ormai mesi che i sistemi energetici europei sono costretti ad adattarsi il più rapidamente possibile a quello che è diventato il “new normal” del dopo invasione dell’Ucraina: la necessità di fare progressivamente a meno del gas russo. Mosca, che ancora nel 2021 rappresentava oltre il 40% della domanda di importazioni europea, sta chiudendo i rubinetti. A partire dalla seconda metà del 2021, è iniziata un’oculata (e geniale) operazione che ha prosciugato le vendite sui mercati spot, così da moltiplicare le pressioni che sul prezzo del gas già andavano accumulandosi per altre vie.
Non si può parlare di carbone, del rimbalzo dei suoi consumi senza contestualizzare il mercato a livello globale e senza soprattutto analizzare il ruolo del principale consumatore e produttore di questa fonte, la Cina. I numeri che ruotano intorno a questo paese, infatti, sono tali che una oscillazione al rialzo o al ribasso può avere ripercussioni importanti a livello internazionale. Ne abbiamo parlato con Corrado Clini Ex Ministro dell’Ambiente e oggi Visiting Professor presso la Tsinghua University School of Environment di Pechino
Nel novembre 2021, alla COP26 di Glasgow, l’Unione Europa si indignava di fronte alla proposta di Cina e India di modificare il testo finale, sostituendo il “phase out” del carbone con un più morbido “phase down”. Frans Timmermans, parlando subito dopo il ministro indiano, sottolineava come l’Unione Europea fosse pronta a spingersi ben oltre per porre fine all’uso del carbone e affermava “We know that coal has no future”, accompagnato da applausi scroscianti.
Il piano di contenimento dei consumi gas varato in settembre dal Mite prevede di ridurre la domanda di oltre un miliardo e mezzo di metri cubi tra agosto 2022 e marzo 2023, aumentando al massimo la produzione delle centrali a carbone. Una “massimizzazione” di fatto dell’utilizzo delle ultime centrali a combustibili solidi in Italia, del resto, era in gran parte già in atto da mesi per ragioni commerciali, tanto che l’entrata in vigore dell’obbligo non sembra aver modificato molto il quadro.