Nel corso delle ultime settimane si è infuocato il dibattito, non solo a livello politico, sulla potenziale misura di ‘price cap’, ovvero di definizione di un tetto massimo al prezzo di una materia prima. Prima di addentrarci nelle peculiarità tecniche delle proposte che il Consiglio chiede di fare alla Commissione, è opportuno partire da alcuni elementi puramente teorici. Il price cap ha 3 principali effetti nel medio termine:
1) un aumento della domanda di materia prima. Infatti, fissare un limite massimo di prezzo, ne amplifica la richiesta e ciò tende ad essere paradossale in mercati caratterizzati da condizione temporanea o strutturale di ‘undersupply’, cioè di domanda superiore all’offerta. Una verifica empirica di questo meccanismo lo abbiamo avuto in Spagna, in cui è stato applicato il cosidetto ‘tope’. Pur avendo un concetto leggermente differente rispetto al vero o proprio ‘price cap’, ha generato un incremento dei consumi di gas naturale nell’area di riferimento;
2) una riduzione di offerta. Infatti, imporre potenziali limiti di prezzo, nel mercato fisico o finanziario (lungo la curva forward di una materia prima) disincentiva l’incremento di produzione, accentuando la situazione di undersupply;
3) la reazione della controparte. In questo caso pare opportuno addentrarsi nelle diverse dinamiche di singole controparti, legate altresì alle modalità di trasporto del gas stesso. Infatti, dovesse esserci un ipotetico ‘price cap’ rivolto alla Russia e riferito al gas via tubo, ciò potrebbe comportare l’astensione della controparte stessa alla fornitura di gas, ipotizzando la rottura di clausole relative ai contratti di importazione (take or pay o all’ingrosso indicizzati all’hub TTF). Nel momento in cui si scrive la riduzione dell’esportazione di gas russo verso l’Europa si è ridotta a circa l’8% del totale dei consumi annui (prevalentemente via Sudzha pipeline e LNG verso la Spagna) rispetto a circa il 40% del 2021. Inutile notare come l’azzeramento dei flussi comporterebbe l’assenza del gas marginale e un cospicuo spike dei prezzi, in quanto difficilmente sostituibile per i prossimi due anni da fonti di approvvigionamento ormai pienamente utilizzate come il medesimo gas naturale liquefatto proveniente da USA e Qatar in primis.
Se invece, come pare ad ora, il price cap dovesse esser riferito all’hub TTF, quindi alla modalità di contrattazione del gas all’ingrosso in mercati regolamentati quali Intercontinental Exchange, si porrebbero diversi problemi. Per esempio, se tale limite dovesse riguardare solo la prima scadenza dei future o parte della curva forward o addirittura l’intera curva forward o, infine, solo il mercato spot. In tutti i casi sopra elencati, le controparti che utilizzano il TTF come parametro per la fornitura di gas potrebbero rivolgersi ad altri clienti, in particolare se il prezzo dovesse portarsi a livelli inferiori rispetto ad altri contratti come l’asiatico JKM. Infatti, vale la pena ricordare come proprio lo spread tra il TTF e il JKM sia stato la principale causa dell’arrivo di quantità di gas naturale dagli USA provenienti da diversi hub di esportazione (Sabine Pass, Cove Point, Freeport prima dell’esplosione), che hanno reso possibile il raggiungimento di livelli di stoccaggio rilevanti a livello Europeo (oltre il 90%) per far fronte ai picchi della domanda invernale. Nel mese di giugno 2022, a titolo esemplificativo, secondo i dati di LNG Allies, le prime 3 destinazioni di gas naturale liquefatto dagli USA furono Francia, Olanda e Spagna. Nel periodo 2016-2022, le prime tre, invece, furono Corea del Sud, Giappone, Cina. Pare opportuno notare come società quotate, volte alla massimizzazione del profitto, e con contratti spesso parametrati ad hub con prezzi spot, facilmente si rivolgano laddove il prezzo possa essere più conveniente (la crisi energetica Pakistana è una conseguenza di questo meccanismo).
Con questo framework, pare opportuno ora esaminare i dettagli tecnici delle proposte relative a price cap che il Consiglio Europeo ha chiesto di fare ‘urgentemente’ alla Commissione:
- un potenziale cap sul prezzo del gas limitato agli utilizzi relativi alla generazione di energia elettrica, simile al già citato tope spagnolo di cui abbiamo esaminato gli effetti (si utilizzano i proventi derivanti dalle generazioni rinnovabili per rimborsare, a chi usa gas per generare elettricità, la differenza tra il prezzo di acquisto in sede di importazione e il cap medesimo);
-il corridoio dinamico temporaneo (dynamic price cap) legato alle contrattazioni di gas in TTF, precursore di un provvedimento definitivo legato ad un potenziale nuovo benchmark del gas stesso, sostitutivo del TTF.
Questi due differenti provvedimenti meritano di essere esaminati assieme perché aventi come obiettivo la riduzione della ‘speculazione’ presente all’interno delle dinamiche del mercato all’ingrosso TTF, secondo il Consiglio. Al di là delle considerazioni sulla speculazione, già fatte in altre sedi (si consideri che, al momento in cui si scrive, la prima scadenza tratta in un intorno 100 MWh grazie ad una quasi totale assenza di domanda residenziale-commerciale, rescomm demand, determinata da bassissimi livelli di heating degrees), il corridoio dinamico presenta differenti problematiche, ambiguità, che ne inficiano l’applicabilità.
Se da un punto di vista concettuale, è chiaro l’intento di andare a limitare la variazione dei prezzi al rialzo o al ribasso all’interno di un determinato binario o appunto ‘corridoio’, il grado di temporaneità pone dei dubbi sulla natura del potenziale provvedimento. Ovvero tale corridoio prenderà la forma di un ‘circuit breaker’ à la Henry Hub, oppure di un meccanismo di controllo dei prezzi continuativo all’interno dei meccanismi di contrattazione dei contratti future nel TTF?
Dovesse essere la prima opzione, che chi scrive appoggerebbe in toto, riguarderebbe un meccanismo di sospensione temporaneo (infragiornaliero) per eccesso di rialzo o ribasso delle contrattazioni dei future sulla base di determinati parametri. Per esempio, all’interno del Chicago Mercantile Exchange, le contrattazioni di Henry Hub future vengono sospese a seconda dei range di prezzo nel momento in cui si sale di 50 centesimi o di un dollaro. Tali misure vengono prese in relazione ai range di prezzo non solo del contratto primo o front, ma di tutta la curva forward. Sono misure analoghe ai meccanismi presenti nei mercati azionari definiti ‘asta di volatilità’, in cui si cercano di controllare estreme variazioni di prezzo tra due contratti eseguiti successivamente o rispetto al prezzo di chiusura del giorno precedente. Le contrattazioni poi riprendono normalmente a parametri allargati, una volta riformulate le proposte di negoziazione nel book. Questo provvedimento potrebbe limitare la volatilità infragiornaliera.
Diverso il caso di un meccanismo di controllo di prezzi a medio-lungo termine, fino ad un massimo di tre mesi, che parrebbe essere l’obiettivo della proposta. Questo, oltre a porre i problemi di approvvigionamento spiegati in precedenza, ne porrebbe altri. Innanzitutto, sarebbe rivolto ai contratti spot o ai contratti futures, oppure ad entrambi? E ancora, dovesse esser rivolto ai contratti futures, quali contratti lungo la curva forward ne sarebbero interessati? Solo la prima scadenza, tutte le scadenze di un anno (esempio Cal’23) o tutta la curva forward?
Ovviamente tutte queste domande hanno implicazioni su diversi aspetti dei meccanismi di contrattazione, di hedging (come recentemente ha osservato The Oxford Institute for Energy Studies, a cui si rimanda per un’analisi dettagliata), e di legame mercato fisico/finanziario nonché meccanismo di iniezione ritiro degli stoccaggi. Si ricorda che all’interno del mercato del gas, così come di ogni altra materia prima, la curva forward è un elemento importantissimo. Le dinamiche di contango/backwardation sono fondamentali per i meccanismi di iniezione e ritiro delle scorte (si ricordi cosa successe nel settembre 2022 quando il TTF prima scadenza raggiunse gli euro 350 MWh grazie ai poderosi acquisti effettuati sul mercato spot per poter stoccare il gas sfruttando lo spread in contango con la prima scadenza). Modificare la curva forward e i relativi spread (gli importantissimi widow makers marzo/aprile) significherebbe modificare il mercato di una materia prima.
Poi ci sono le condizioni poste per poter attivare il corridoio dinamico, che ne implicano la ‘non-applicabilità. Le vediamo di seguito: (1) l’applicabilità a tutti gli Hub e non solo al TTF stesso; (2) il non impedimento degli scambi over the counter; (3) la non compromissione degli approvvigionamenti; (4) la mancanza di effetti distorsivi sugli scambi intra-frontalieri all’interno dell’Unione Europea; (5) la non compromissione del funzionamento del mercato dei derivati (…curva forward…?). Se si raccordano con l’esposizione precedente si può tranquillamente notare come il corridoio dinamico non possa venire applicato nel momento in cui queste condizioni si seguano pedissequamente. Dall’altro lato, anche dovesse venire applicato, ridurrebbe la liquidità di un mercato che negli ultimi mesi ha già avuto dei problemi al riguardo.
Infine, il benchmark alternativo. Noi abbiamo già un benchmark identificativo del mercato GNL, ovvero il North West Europe Delivery ex-Ship (NWE-DES), pertanto cosa serve introdurne un altro? Magari ponderando prezzi di diversi contratti (Brent-Henry Hub), non identificativi del mercato in oggetto? Buon lavoro Commissione e poi buon lavoro all'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA).
Andrea Paltrinieri è Professore associato di Economia degli Intermediari Finanziari (Università Cattolica del Sacro Cuore)