È passato quasi un anno da quando la Russia ha iniziato l’invasione dell'Ucraina, decine di migliaia di persone hanno perso la vita e milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case. Questi mesi sono stati caratterizzati da un’escalation militare, finanziata da Mosca attraverso gli introiti derivanti dalle esportazioni di combustibili fossili.

Fino alla fine del 2022, sembrava che la Russia stesse vincendo la sua scommessa di fare della dipendenza europea un’arma di guerra: era, infatti, riuscita, a manipolare i mercati del gas, del petrolio e del carbone determinando un aumento record dei prezzi e conseguentemente una crescita significativa delle entrate fiscali per il paese.

Inoltre, il fatto che l’Europa fosse legata a doppio filo alla Russia per la profonda dipendenza dai suoi prodotti energetici, aveva rassicurato Putin che la risposta comunitaria a qualsiasi sua atrocità sarebbe stata timida. Eppure, il Presidente russo sembra aver fatto i conti senza l’oste, visto che l’UE, compresa l'Italia, ha reagito all’aggressione imponendo sanzioni e embarghi alle importazioni di carbone e greggio e dal prossimo 5 febbraio scatterà quello sui prodotti raffinati. Sul fronte del gas, invece, la riduzione volontaria dei consumi, lo switch a fonti alternative o a fornitori diversi dalla Russia e la chiusura dei rubinetti da parte di Mosca ha determinato un vero e proprio crollo dell’import.

Il costo economico di questa minore dipendenza è stato altissimo: il caro energia ha avuto forti ripercussioni negative per l’economia e per i consumatori europei. A risentirne, però, pesantemente è stata anche la Russia. Il CREA stima che il divieto di importazione di greggio nell'UE e il price cap stiano costando a Mosca 160 milioni di dollari al giorno. Inizialmente, quando la misura è entrata in vigore, i volumi delle esportazioni di petrolio sono crollati, costringendo gli esportatori russi a tagliare i prezzi. Ora si registra, invece, una ripresa delle quantità scambiate, il che ha evitato un impatto negativo sull'offerta globale, ma non sui prezzi di vendita, rimasti comunque bassi e nell’intorno dei 50 dollari al barili. Un livello che è inferiore alla soglia dei 60 dollari prevista dal price cap e al di sotto del livello dei prezzi di mercato registrati nei mesi precedenti. Ci si aspetta, inoltre, un ulteriore impatto a partire dal prossimo 5 febbraio, quando, come detto, anche le importazioni di prodotti petroliferi raffinati in Europa saranno vietate e verrà loro applicato un prezzo massimo.

Proventi russi da fonti fossili (milioni di euro al giorno)

Fonte: CREA

Per il governo russo più che mai dipendente dai proventi delle esportazioni di combustibili fossili, a maggior ragione ora che i costi dell'invasione aumentano, queste forme sanzionatorie fanno male. Nel 2022, il governo ha registrato un disavanzo di bilancio pari al 2% del PIL a causa del crollo delle entrate derivanti dalle imposte sul reddito, sulle vendite e sulle società. Per sopperirvi, Mosca non avrà altra scelta che aumentare le tasse o vendere i propri asset in valuta estera, ma si tratta di opzioni dalle importanti ripercussioni sociali.

Ma proviamo a capire, nel dettaglio come funziona la politica del price cap imposta alla Russia. Un tetto ai prezzi è stato fissato per limitare il prezzo del petrolio trasportato su petroliere di proprietà o assicurate nei paesi dell'UE o del G7. Ad oggi, queste petroliere movimentano circa il 60% del petrolio esportato via mare dalla Russia, il che spiega perché ci siano ampi margini perché la misura possa essere efficace.

Il livello iniziale imposto al price cap sul greggio russo è stato di 60 dollari al barile, assai maggiore rispetto ai costi attuali di produzione di un barile nella Federazione Russa. Questa soglia è stata introdotta in ragione dei diffusi timori che un livello inferiore avrebbe potuto causare tagli alla produzione di greggio russo. Ai livelli attuali, Mosca continua, dunque, a incamerare miliardi di euro dalla vendita di petrolio trasportato all’estero da petroliere di proprietà di compagnie europee. Le stesse sono anche assicurate da società europee, in barba alle stesse sanzioni. Pertanto, considerando una soglia di 60 dollari al barile, nelle casse statali finisce la maggior parte dei guadagni di questo commercio, circa 45 dollari, mentre la parte restante va ai produttori, dopo il pagamento di diversi oneri.

Tuttavia, se si procedesse a una revisione al ribasso del cap a 30 dollari al barile,  i guadagni che la Russia genera dalla vendita di greggio e che sostiene la campagna russa in Ucraina si decimerebbero. Una misura, quindi, che se intrapresa, verosimilmente aiuterebbe ad una risoluzione più veloce del conflitto. Tra l’altro, le paure che la Russia potesse interrompere la vendita di greggio come ritorsione per l’introduzione del tetto al prezzo si sono rivelate sinora infondate, e le esportazioni via mare hanno invece recuperato volumi molto più consistenti. I livelli di tassazione alle imprese produttrici, fissati mese per mese, consentono ancora al Cremlino di guadagnare da quest’ultima il più possibile, lasciando ai produttori una somma a mala pena sufficiente a coprire i costi di produzione. Un tetto al prezzo inferiore, invece, si tradurrebbe in minori introiti per le casse russe, mentre la produzione continuerebbe ad essere identica ad oggi.

Esistono, poi, anche altri modi per porre ulteriore pressione sulla Russia. L’Italia, così come altri paesi europei, continuano ad importare GNL e prodotti raffinati da Turchia, Egitto e India, a loro volta riforniti da Mosca. E questo ovviamente dovrebbe essere evitato. Per questo è essenziale che i paesi europei lavorino al fine di ridurre la domanda di combustibili fossili, indipendentemente dal regime sanzionatorio. Ciò consentirebbe di porre fine, una volta per tutte, alla crisi energetica contemporanea e renderebbe gli stessi paesi meno vulnerabili ai ricatti degli esportatori di petrolio e gas. Bisogna accelerare la transizione energetica, in particolare sostituendo l’utilizzo del gas naturale negli edifici, aumentando l’efficienza energetica e accelerando al contempo lo sviluppo di fonti pulite.  

La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui