È stato convertito in legge il decreto firmato dal governo – il cosiddetto Dl Priolo – che garantisce alla raffineria Isab di Priolo, in Sicilia, una rete di sicurezza (commissariamento e “continuità del lavoro” per stare alle parole della presidente del Consiglio Meloni nell’annunciare la misura) nel caso in cui le cose si mettessero troppo male. Il provvedimento, dopo l’ok del Senato, è stato approvato alla Camera. Ora l’attenzione si sposta sulle trattative per definire la vendita dello stabilimento Isab – di proprietà di Litasco, società svizzera controllata al 100% dalla russa Lukoil – a G.O.I. Energy, ramo del fondo cipriota Argus e guidata Michael Bobrov, il principale azionista del raffinatore israeliano Bazan Group.
Si avvia a chiusura quindi – a meno di sorprese – il dossier lasciato aperto durante il governo Draghi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina a fine febbraio. Il primo campanello d’allarme era suonato già ad aprile, mentre a Bruxelles si discuteva di imporre sanzioni al petrolio russo. Il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, aveva smentito fin da subito la possibilità di una “nazionalizzazione” dell’impianto Isab. Il problema però era che la raffineria vedeva crescere la quota di materia prima proveniente dalla Russia. “Poiché non abbiamo più credito a livello internazionale, non possiamo comprare il greggio altrove”, aveva dichiarato a Reuters il vice direttore generale di Isab, Claudio Geraci, segnalando il paradosso innescato dalle sanzioni occidentali. Lukoil, infatti, non era oggetto dei provvedimenti che si stavano prendendo per limitare le entrate russe da impiegare nel conflitto, ma le banche, temendo di subirle a livello Ue ed extra Ue per il rapporto di affari con un’azienda russa, avevano smesso di fare credito all’Isab. A quel punto la compagnia non ha potuto fare affidamento che sulle forniture garantite proprio da Lukoil. Nel frattempo, il presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, aveva chiesto al governo di fare chiarezza sul “più importante polo energetico dell'Isola". L’impianto siciliano vale infatti 1.000 posti di lavoro, a cui si aggiungono i 2.500 dell’indotto, rappresenta il 20-25% della capacità di raffinazione nazionale e contribuisce con quota del 20% al fabbisogno energetico della Regione.
Il dossier diventa ancora più caldo a giugno quando l’Unione europea fissa la data dell’embargo al petrolio e ai prodotti petroliferi russi. Come parte del sesto pacchetto di sanzioni disposte da Bruxelles, infatti, dal 5 dicembre le raffinerie europee non possono più ricevere il petrolio di Mosca (al netto delle eccezioni via oleodotto di Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria) e dal 5 febbraio 2023 lo stesso discorso varrà per i prodotti petroliferi. L’Italia a quel punto è stato l’unico paese europeo che dopo l’inizio della guerra in Ucraina risultava aver aumentato le importazioni di greggio russo invece che diminuirle e la causa era proprio lo stabilimento Lukoil di Priolo. A conferma delle parole di Geraci, infatti, il paradosso delle sanzioni aveva portato la quota di petrolio proveniente dagli Urali utilizzato dall’impianto dal 20-30% pre-conflitto al 100% di maggio. Una volta attivato l’embargo lo stabilimento non avrebbe quindi potuto più lavorare con conseguenze a cascata sulla sicurezza degli approvvigionamenti di prodotti energetici per l’Italia – e il Mezzogiorno in particolare – e sui lavoratori dello stabilimento. La palla così era passata al governo Draghi che, però, non sembrava avere fretta di trovare una soluzione, bocciando una soluzione dopo l’altra.
Immediatamente esclusa dal ministro Giorgetti la via proposta della Regione Sicilia di dichiarare Priolo “area di crisi complessa” per assenza delle condizioni necessarie. Allo stesso modo non trova sponda nel governo l’opzione che prevedeva la disposizione di una garanzia di un istituto finanziario pubblico che consentisse all’Isab di comprare da altri fornitori. Il primo passo di Palazzo Chigi arriva con il decreto aiuti che istituisce un tavolo interministeriale che si riunisce per la prima volta il 2 agosto e a cui partecipano anche i vertici dell’azienda.
Un assist per la soluzione della questione sembra arrivare dal governo tedesco a metà settembre. Berlino infatti si trova in una situazione del tutto analoga a quella di Priolo con la raffineria Rosneft di Schwedt e sceglie di porre l’impianto in amministrazione fiduciaria. La raffineria – così come Rosneft Germania e le rispettive azioni nelle tre raffinerie Pck Schwedt, MiRo (Karlsruhe) e Bayernoil (Vohburg) – passa quindi sotto il controllo dell'Agenzia federale delle reti Bundesnetzagentur. La “nazionalizzazione” à la tedesca però continua a non convincere il governo Draghi e l’allora ministro per la transizione energetica Roberto Cingolani apre ad un nuovo scenario: la vendita dell’impianto ad un compratore internazionale. Le prime indiscrezioni parlano di un interessamento del fondo americano Crossbridge. A fine settembre le elezioni politiche vedono la vittoria della coalizione di destra e il dossier irrisolto a questo punto passa nelle mani del nuovo Governo Meloni.
Il primo a offrire un indirizzo sulle intenzioni dell’esecutivo appena insediato è il ministro dell’ex Mise, ora ribattezzato Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy), Adolfo Urso, che, a fine ottobre, ospite in un programma televisivo, spiega che per la raffineria di Priolo le ipotesi in campo sono due: investimento o acquisizione “per andare oltre la fatidica data in cui scatteranno le sanzioni”. Pochi giorni dopo arriva la comfort letter del Ministero di Economia e Finanza, ora guidato da Giorgetti, a Isab per ottenere dalle banche linee di credito necessarie a importare greggio non russo. A pochi giorni dal via alle sanzioni però non esiste ancora una decisione del governo. A dicembre però la vicenda accelera: mentre Litasco assicura che è pronta a garantire il funzionamento della raffineria Isab di Priolo con “le materie prime immagazzinate per i prossimi mesi e le future consegne di petrolio di origine non russa” allontanando i timori di una carenza di prodotti petroliferi – anche in vista del prossimo 5 febbraio quando non si potranno più importare quelli russi – e di una crisi sociale in Sicilia, il governo porta in Consiglio dei Ministri un decreto ad hoc per l’Ilva di Taranto e l’Isab di Priolo. Tra le varie misure c’è anche quella, appunto, del commissariamento degli impianti in caso di “grave ed imminente pericolo di pregiudizio all'interesse nazionale alla sicurezza nell'approvvigionamento energetico”, indipendentemente da un’eventuale richiesta da parte dell’azienda. Contemporaneamente si fanno più insistenti le voci di un interessamento da parte di diversi compratori interessati, voci confermate dallo stesso ministro Urso.
Si arriva quindi al 9 gennaio con l’annuncio dell’accordo di Litasco con G.O.I. Energy per la cessione della raffineria. Pochi giorni dopo al Mimit l’incontro conoscitivo tra il ministro Urso e gli acquirenti che confermano la volontà di rispettare gli impegni su livelli occupazionali e investimenti e, soprattutto, di presentare il loro progetto presso il comitato Golden Power, la parte più difficile dopo gli annunci delle ultime settimane. Il closing dell’operazione è atteso entro la fine di marzo.