L’aumento dei prezzi dei carburanti, al di là delle forti polemiche che ha sollevato, costituisce un’importante occasione per riflettere su una questione rilevante per il paese. Si tratta però di un argomento complesso che esula dal contingente e che andrebbe trattato tenendo conto della strategicità e rilevanza del downstream petrolifero per la sicurezza energetica nazionale. Da qui muove la necessità di una riforma strutturale del sistema fiscale, accise comprese, che favorirebbe un maggiore sviluppo dei low carbon fuels e di una maggiore attenzione al comparto della raffinazione, che ci consente di non essere totalmente dipendenti dall’estero. Di questi aspetti ne abbiamo discusso approfonditamente con Claudio Spinaci, Presidente Unem.

In una intervista al Sole 24 Ore del 6 gennaio e poi in un’altra a La Stampa del 10 gennaio, ha chiarito, dati alla mano, come non ci fosse alcuna speculazione sui prezzi dei carburanti. Posizione ribadita nei giorni successivi in altre interviste e diverse trasmissioni televisive, poi confermata dalla rilevazione ufficiale del Mase. Al di là di ciò, questa potrebbe essere un’occasione di riflessione sulla materia?

Dalle nostre rilevazioni è apparso subito chiaro che non ci fosse stata alcuna speculazione, visto che ci risultava un aumento dei prezzi pari se non inferiore - come poi effettivamente è stato - a quello dell’aumento di accisa scattato dal 1° gennaio. Credo che tutto ciò sia stato frutto di una percezione errata su quanto stava accadendo sul mercato dei carburanti, indotta dagli allarmi, a mio avviso ingiustificati, arrivati da più parti. Non basta prendere un unico prezzo, magari tra i più alti, e farlo diventare il riferimento per il mercato nazionale. In Italia abbiamo una rete di distribuzione composta da 21.700 punti vendita, oltre 270 marchi censiti e migliaia di operatori indipendenti, e ognuno pratica il prezzo che ritiene più opportuno in base al tipo di impianto e bacino d’utenza. Ciò vuol dire che ci sono tantissimi prezzi diversi e qualcuno che tiene i prezzi alti e fa il furbo ci sarà anche. Bisogna guardare alle medie per capire i veri andamenti di mercato ed evitare inutili polveroni. Anche perché, al netto delle tasse, i nostri prezzi sono più bassi della media europea di 3-4 centesimi euro/litro. In Germania, ad esempio, il prezzo industriale del gasolio è più alto di 15 centesimi ma al consumo è più basso di 3 centesimi; in Spagna è più alto di 8 centesimi ma inferiore di 20 centesimi al consumo. Il vero problema è la tassazione, la più alta in Europa e quindi si dovrebbe piuttosto riflettere su come cercare di allineare le accise in maniera strutturale ai livelli europei invece di inseguire fantasmi.

Dunque, condivide l’idea del presidente Meloni che, oltre ad escludere ipotesi di speculazione, ha parlato di una riforma strutturale del sistema fiscale, accise comprese?

Certo. In alcune delle interviste che lei ha citato, ho detto proprio questo: occorre un intervento strutturale sul fisco nell’ambito del quale inserire anche le accise, cosa che peraltro renderebbe il nostro paese più competitivo. Si potrebbe partire con una defiscalizzazione della componente bio attualmente presente nei carburanti, che favorirebbe un maggiore sviluppo dei low carbon fuels, essenziali ai fini del raggiungimento degli obiettivi europei per la decarbonizzazione dei trasporti. La CO2 associata al biodiesel tradizionale, ad esempio, oggi è tassata per un valore pari a circa 600 euro/tonnellata che arriva a 2.000 euro per il biodiesel avanzato, contro un prezzo di mercato medio della CO2 nel 2022 di circa 88 euro/tonnellata (era 25 euro nel 2019). Per ora le uniche misure decise dal Governo sono state quelle sulla trasparenza dei prezzi che, a mio avviso, serviranno a poco e costeranno molto. Non potranno aggiungere nulla di più rispetto a quello che c’è già.

Quale è il vantaggio di avere un’industria della raffinazione nazionale?

La raffinazione è un presidio per la sicurezza energetica del Paese perché ci permette di essere autosufficienti dal punto di vista della disponibilità di prodotti. Dal 2009 ad oggi la capacità di raffinazione europea si è ridotta di circa il 20%, pari a 153 milioni di tonnellate, mentre nel solo Far East è cresciuta di oltre il 32%, cioè di 378 milioni di tonnellate. Ciò ha ridotto fortemente la disponibilità dei prodotti raffinati a livello europeo. L’Europa nel 2022 ha importato dalla Russia una media di 600.000 b/g di gasolio, arrivati a 800.000 nel mese di dicembre. Volumi che non sarà semplice sostituire. I paesi maggiormente dipendenti dalle importazioni di gasolio russo sono la Germania (30%), il Regno Unito (29%), la Francia (27%), l’Olanda (27%) e soprattutto i paesi baltici (50%). L’Italia è invece il paese meno esposto (5%) e dal luglio 2022 ha praticamente ridotto a zero gli arrivi dalla Russia. Ciò ci consente, come le dicevo, di avere i prezzi industriali tra i più bassi d’Europa: sulla benzina siamo al 18° posto, sul gasolio al 23° (vedi grafici 1 e 2). Dunque, a livello nazionale non dovremmo avere problemi di disponibilità di prodotto proprio perché possiamo contare su un’industria della raffinazione in grado di soddisfare ampiamente la domanda interna e minimizzare gli impatti sui prezzi. È un settore di cui andrebbe riconosciuta la strategicità ma che invece si sta cercando in tutti i modi di marginalizzare.

Grafico 1 – Prezzo industriale della benzina nei paesi Ue (euro/litro)

 

Grafico 2 – Prezzo industriale del gasolio nei paesi Ue (euro/litro)

Fonte: elaborazioni unem su dati Weekly Oil bulletin - DG Energy (9 gennaio 2023)