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Molti di noi si erano accorti dell'errore strategico che l'Unione Europea stava commettendo, ormai da diversi anni, nel campo dell'energia. Intelligentemente, l'UE aveva messo "tutte le uova in un solo paniere" e ora sta pagando a caro prezzo il suo disarmo energetico unilaterale. Nell'ottobre 2000, la Commissione di Romano Prodi con Loyola de Palacio, responsabile per l'energia, nel suo Libro Verde sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico, ha esortato a diversificare le fonti energetiche, i paesi di importazione e i mezzi e le vie di trasporto.
In seguito all’attacco russo all’Ucraina, la Commissione Europea ha proposto un piano per limitare drasticamente le importazioni di energia dalla Russia: il REPowerEU Plan, presentato in due comunicazioni pubblicate l’8 marzo e il 18 maggio 2022. Benché complesso e articolato in numerose aree e strategie, il REPowerEU può essere riassunto in tre obiettivi centrali: risparmio ed efficientamento energetico; diversificazione delle importazioni di fonti fossili, gas in particolare; accelerazione della transizione energetica.
In questo periodo complicato e drammatico, a causa della guerra russa all’Ucraina e della crisi energetica e industriale, iniziata nell’estate del 2021 e poi aggravata dal conflitto, il nuovo (ma è veramente così?) “trilemma” dell’energia sta costringendo l’Europa a considerare più seriamente e con più realismo il tema.
Di colpo ci siamo accorti, infatti, che le scelte sull’energia devono contemporaneamente: i) contrastare il riscaldamento globale - un dovere verso il Pianeta e le generazioni future che non può essere sospeso neanche da una guerra, ii) ridurre la dipendenza energetica e strategica dall’estero, iii) limitare i costi e sostenere la ripresa economica del continente.
Per promuovere la sostenibilità vi sono molti strumenti, ma uno fondamentale è senz’altro quello di indirizzare i flussi finanziari verso “attività ambientalmente sostenibili”. È da questo convincimento che è nato il Regolamento europeo 2020/852 sulla finanza sostenibile con l’obiettivo di “stabilire i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, al fine di individuare il grado di ecosostenibilità di un investimento”. Bisogna partire da qui per capire che all’origine c’è un intendimento definitorio (dar vita a una “tassonomia”) che crea inevitabilmente uno spartiacque tra “buoni” (le attività sostenibili) e “cattivi” (le attività non sostenibili).
L’ingresso del gas e del nucleare nella tassonomia degli investimenti sostenibili dell’Ue, come fonti di sostegno alla transizione energetica, ha determinato un’importante spaccatura in Europa. I limiti identificati però rischiano di disincentivare gli investimenti, soprattutto perché le attuali tecnologie non consentirebbero facilmente il raggiungimento degli obiettivi. Ma facciamo un passo indietro, provando a capire meglio le conseguenze del voto e gli obiettivi della tassonomia, il contesto nel quale si inserisce e i limiti che sono stati identificati per gli impianti di generazione elettrica a gas.
L’inserimento del gas e del nucleare nella tassonomia come fonti “verdi” - fortemente contestato dagli ambientalisti nel corso del dibattito europeo - appare ancora più assurdo nel contesto segnato dall’invasione russa dell’Ucraina. La decisione sulla tassonomia lo scorso febbraio, infatti, è stata salutata dal Ministro russo dell’energia Nikolai Shulginov come un’opportunità per vendere gas, combustibile nucleare e reattori. Una analisi svolta da Greenpeace Francia ha dimostrato come la lobby di aziende russe abbia influenzato la decisione europea, maturata poco prima dell’invasione dell’Ucraina.
Con 278 voti favorevoli e 328 contrari, lo scorso 6 luglio il Parlamento europeo ha respinto il veto sull’introduzione di gas e nucleare nella tassonomia europea proposta dalla Commissione. Si perde così un’importante occasione per eliminare l’atto delegato, proposto della Commissione e appoggiato da molti Stati Membri, che aggiunge l’energia elettrica generata da queste due fonti all’elenco delle tecnologie sostenibili e allineate alla transizione ecologica, e che entrerà dunque in vigore il 1° gennaio 2023.
In Italia il problema della gestione dei rifiuti “nucleari”, più correttamente definiti “rifiuti radioattivi”, riguarda i rifiuti provenienti dalla produzione di energia e dalle operazioni di decommissioning delle quattro centrali nucleari, chiuse all’indomani del disastro di Chernobyl nel 1987 a seguito di un referendum popolare.
La crisi energetica che stiamo affrontando in questi mesi, con gli impatti economici che ne determina su famiglie ed imprese e con quelli, altrettanto rilevanti, in termini di aumento delle emissioni climalteranti (per effetto del ricorso a combustibili fossili più inquinanti come petrolio e carbone), ci impone di rivedere le nostre strategie di decarbonizzazione che evidentemente hanno mostrato tutte le loro fragilità.
Il piano REPowerEU, varato a maggio, è l’ultima, in ordine di tempo, delle grandi iniziative della Commissione Europea per accelerare la transizione energetica e nasce dall’urgenza di porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili provenienti dalla Russia, in un contesto di grave crisi socio-politica. La sfida della decarbonizzazione è iniziata però ben prima e l’industria del riscaldamento è tecnologicamente pronta in virtù del fatto che opera in un comparto, quello dell’edilizia, che è strategico ai fini degli obiettivi ambientali perché è responsabile di circa il 36% del totale delle emissioni di gas a effetto serra e del 40% dell’energia complessivamente utilizzata in Europa.