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MONDO ENERGIA | 14 ARTICOLI

Si interrompe, per ora, il lungo periodo di siccita`: ma a che prezzo?

Quanto costa un m3 d’acqua? Molto spesso, quando viene posta questa domanda ai convegni vediamo la platea attonita, mentre se riproponessimo la stessa domanda chiedendo quanto costa un litro di latte o un litro di benzina, ciascuno di noi saprebbe almeno individuare un ordine di grandezza corretto. Questo è il risultato di un decadimento culturale che ci ha portato a considerare l’acqua un elemento secondario, una risorsa infinita alle quale i paesi ricchi posso accedere indiscriminatamente.

Crisi climatica: la sfida dell’adattamento parte dall’emergenza idrica

Adattamento è una parola bella e relativamente giovane, associata al cambiamento climatico, si intende. Una parola che evoca avventura, speranza ma anche grande senso pratico di quelle comunità che hanno capito quanto sia importante operare sul territorio, nelle città, sulle ‘infrastrutture verdi’ per consentire che la vita continui in maniera dignitosa anche nell’era degli sconvolgimenti meteoclimatici di cui tutti siamo ormai ostaggio.

La via di Fruttagel per lo sviluppo sostenibile

Azienda cooperativa di trasformazione agroindustriale fondata ad Alfonsine (RA) nel 1994, Fruttagel lavora ogni anno oltre 120 mila tonnellate di prodotti ortofrutticoli, di cui il 24% circa biologici certificati, in larga parte conferiti dai propri soci. L’azienda produce bevande a base di frutta e di legumi/cereali, derivati del pomodoro e ortaggi surgelati nei suoi due stabilimenti di Alfonsine e Larino (CB), seguendo tutte le tutte le fasi della filiera, dal campo alla tavola. I prodotti Fruttagel arrivano al consumatore attraverso i canali retail (GD, DO, Indipendente), i servizi di ristorazione collettiva e commerciale, il food service, l’industria e il porta a porta, sia con marchi propri – tra cui Almaverde Bio, Consorzio di cui Fruttagel è socio fondatore – sia con referenze a marchio dei distributori.

Ristorazione sostenibile e circolare: l’esperienza di Camst

Camst è una azienda di ristorazione e di facility services nata a Bologna nel 1945 e oggi presente in tutta Italia e in alcuni Paesi europei (Danimarca, Germania, Spagna e Svizzera) attraverso Camst group. L’impegno nei confronti delle persone e la volontà di crescere in modo sostenibile hanno caratterizzato lo sviluppo della cooperativa nei suoi 75 anni di storia. È in questa ottica che l’azienda ha scelto di aderire all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, un piano di azione globale che definisce 17 obiettivi da raggiungere per affrontare le grandi sfide del pianeta Terra.

Africa: soddisfare i bisogni energetici di 2 miliardi di persone

Il modo in cui l’Africa soddisferà le necessità energetiche di una popolazione in forte crescita e sempre più urbanizzata sarà cruciale non solo per l’economia e lo sviluppo energetico del continente ma del mondo intero. Tra oggi e il 2040 metà dell’aumento della popolazione mondiale avverrà in Africa ed entro il 2023 la popolazione africana sorpasserà quella della Cina e dell’India fino a raggiungere 2 miliardi di persone prima del 2040. Nello stesso arco temporale più di mezzo miliardo di persone si andranno ad aggiungere alla popolazione urbana del continente, la più grande urbanizzazione mai vista della storia dell’umanità.

Cibo ed energia: le rinnovabili al centro della questione africana

Secondo le previsioni del Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite (UNDESA), il continente africano contribuirà a più della metà della crescita della popolazione mondiale tra il 2019 e il 2050. Il miliardo di africani che vivono a sud del deserto del Sahara duplicherà e le zone urbane assorbiranno verosimilmente gran parte del boom demografico, ponendo un serio problema non solo d’ordine sociale ma anche e soprattutto di carattere economico.

I (tanti) punti di contatto tra l’industria energetica e quella agroalimentare

La nostra dieta, insieme all’articolata industria agroalimentare che la sostiene, ha un impatto imponente sull’ambiente in termini di risorse naturali consumate e di contributo al riscaldamento globale. Secondo il rapporto speciale prodotto dall’Ipcc su cambiamenti climatici e uso del suolo, circa il 23% delle emissioni di gas serra di origine umana proviene da agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo; l’agricoltura, inoltre, è responsabile di circa la metà delle emissioni di metano indotte dall’uomo ed è la principale fonte di protossido di azoto, due gas serra molto potenti.

Quando la filiera agroalimentare italiana incontra le necessità dell’Africa

Tracciare nuove traiettorie di futuro per il continente africano, capaci di creare sviluppo nelle aree più depresse del pianeta e dare un’alternativa alle popolazioni rispetto alla dolorosa scelta di lasciare le proprie terre e finire spesso preda dei trafficanti di essere umani. E’ l’obiettivo del primo progetto agricolo italiano di filiera nel continente africano, sottoscritto dal presidente di Coldiretti Ettore Prandini, la più grande organizzazione agricola a livello italiano ed europeo, Claudio Descalzi amministratore delegato dell’Eni, Società integrata nell’energia impegnata nella promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, Federico Vecchioni amministratore delegato Bonifiche Ferraresi (BF) Spa, la più grande azienda agricola italiana e unico gruppo agro industriale quotato in borsa, e CAI, i Consorzi Agrari d’Italia.

Il ruolo di Eni nel passato, presente e futuro dell’Africa

L’Africa è al centro del recentissimo World Energy Outlook dell’Agenzia Internazionale dell’Energia che le dedica un focus speciale, sottolineando le prospettive future di grande consumatore di energia a livello globale. Quale ritiene sia il ruolo dell’Africa nel prossimo futuro in termini energetici? Riuscirà ad affermarsi anche come produttore energetico a livello mondiale?

Sconfiggere la povertà energetica per vincere la sfida climatica

Fino agli inizi del XIX secolo l’umanità non aveva vissuto quasi alcuno sviluppo economico, al punto che i tassi di povertà dei Paesi più ricchi non superavano quelli dei Paesi più poveri di oggi. Negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, dal 40 al 50% circa della popolazione viveva in una condizione simile a quella che troviamo attualmente nelle aree più povere dell’Africa sub-sahariana, e il 10-20% della popolazione poteva essere fatta rientrare tra gli indigenti.

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