Da quando, nel 2018, il rapporto speciale del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite ha lanciato l’allarme che, in assenza di un’azione urgente e trasformativa, ci saremmo diretti a capofitto verso un disastro climatico entro il 2035, i politici di tutto il mondo hanno raddoppiato gli sforzi per attuare le politiche climatiche di mitigazione. Molti governi, tuttavia, sono giunti rapidamente alla consapevolezza che, nonostante i centinaia di miliardi di dollari spesi nelle energie rinnovabili, il mondo continua ad essere  più dipendente che mai dai combustibili fossili. Alla sfida ambientale, si è poi aggiunta quella connessa alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici che ha colpito alcune parti del mondo – in particolare l’Europa –   dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Il gas naturale – visto da molti paesi come una fonte di transizione verso un’economia rinnovabile – non era più una risorsa affidabile per produrre elettricità o calore.

 Una serie di fattori, quindi, che hanno creato la tempesta perfetta per puntare i riflettori sull’energia nucleare, una tecnologia che oggi rappresenta la seconda fonte di energia pulita al mondo (dopo l’idroelettrico), ma che negli ultimi decenni è scomparsa dai titoli dei giornali occidentali. Organizzazioni come l’Agenzia internazionale per l’energia hanno riconosciuto che la capacità di energia nucleare deve raddoppiare, se non triplicare, entro il 2050, per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni nette. E gli analisti oggi stanno riconoscendo il valore dello zero carbon e i fattori di alta capacità del nucleare, così come la sua densità energetica – cruciali in un mondo in cui la costruzione di reti elettriche e parchi solari ed eolici si trova ad affrontare sempre più il cosiddetto fenomeno NIMBY. Inoltre, le tecnologie nucleari svolgono sempre più un ruolo che esula dalla semplice produzione di elettricità. Ad esempio, l’elettricità e il calore generati dal nucleare possono essere utilizzati per produrre idrogeno pulito, che a sua volta può decarbonizzare quei settori cosiddetti hard to abate.

 Fino a questo “brusco risveglio”, tuttavia, lo sviluppo dell’energia nucleare nella storia recente era stato per lo più confinato nella parte orientale del globo. La Cina è diventata lo scorso anno il secondo maggiore operatore di centrali nucleari attraverso un saldo programma di costruzione che si estende su  30 anni. La Russia ha costruito numerosi reattori in patria, ma ha anche concentrato la sua attenzione su nuovi mercati, diventando, negli ultimi, anni il più grande esportatore di energia nucleare al mondo con reattori di progettazione russa in costruzione in Turchia, Bangladesh ed Egitto, solo per citarne alcuni. Nel frattempo, una manciata di nuovi progetti nucleari negli Stati Uniti e in Europa occidentale ha dovuto far fronte a extra costi e ritardi nei loro programmi di sviluppo, in gran parte derivanti dalla perdita di esperienza nella costruzione e nella gestione del nucleare in Occidente.

 Guardando ad Occidente, invece, vi è un elemento di novità che arriva dal Nord America: la rivoluzione degli small modular reactors (SMR), ovvero i piccoli reattori modulari. Gli SMR sono progettati per un’implementazione modulare, così da diminuire il rischio di costruzione e consentire una maggiore diversificazione nei modelli di implementazione e nei finanziatori, in ragione anche di minori investimenti richiesti. Sistemi di sicurezza avanzati consentono di costruire gli SMR più vicino ai centri abitati o presso i centri industriali, il che è importante soprattutto se l’impianto nucleare serve le applicazioni non elettriche. Il Nord America è in prima linea nell’implementazione di SMR, ospitando oltre il 50% degli sviluppatori SMR negli Stati Uniti e in Canada. Questi ultimi stanno anche trovando clienti secondo un sondaggio condotto dall’associazione industriale statunitense Nuclear Energy Institute. Negli Stati Uniti sono previsti più di 300 SMR, con molti operatori nucleari esistenti che ne stanno valutando o progettando la costruzione. A questi attori con una posizione sul mercato già consolidata, si aggiungono i nuovi arrivati, come il colosso industriale Dow Chemical, che si è impegnato a costruire SMR in uno dei suoi siti del Golfo del Messico come parte della sua strategia di decarbonizzazione. Il Canada sta procedendo su di un percorso simile, con piani per costruire SMR in quattro province su 10, ma si sta preparando a dispiegare 4,8 GWe di grandi reattori. I piani nucleari nordamericani sono sostenuti da un forte sostegno governativo. Tra gli altri incentivi, gli Stati Uniti hanno stanziato 5,6 miliardi di dollari per un programma dimostrativo di reattori avanzati abbinato ai crediti d’imposta previsti dall’Inflation Reduction Act (IRA) che mettono il nucleare sullo stesso piano delle energie rinnovabili. Il Canada ha risposto all’IRA con incentivi fiscali simili previsti nel suo bilancio federale 2023.

 In Europa, invece, si torna a cavalcare l'onda del nucleare, dopo l’esitazione avuta dalle istituzioni di Bruxelles. La percezione e la sensibilità degli stati nei confronti dell’argomento è cambiata. Il governo Macron, che all’inizio aveva preso in considerazione l’idea di ridurre la quota francese del nucleare a favore delle rinnovabili, sta ora pianificando di costruire fino a 14 grandi reattori, integrati da un piano di investimenti SMR e dalla produzione di massa di idrogeno prodotto dall’atomo entro il 2030. Nel Regno Unito, i piani per costruire otto nuovi grandi reattori nucleari entro il 2050 sono stati integrati dal lancio del Great Britain Nuclear e dalla classificazione di questa fonte come “sostenibile dal punto di vista ambientale”. Altrove, il Belgio ha risposto all’invasione ucraina rinunciando al piano di smantellamento della flotta nucleare e i Paesi Bassi hanno incluso nella loro strategia la costruzione di due reattori.

Nell'Europa centrale e orientale l’entusiasmo verso il nucleare è ancora maggiore. La Polonia, che deve abbandonare la sua dipendenza dal carbone garantendo al tempo stesso la sicurezza energetica e provvedere allo sviluppo industriale, sta cercando di schierare una flotta che include sia grandi reattori che SMR. Romania, Repubblica Ceca, Slovenia e Bulgaria hanno predisposto piani per un nuovo nucleare, e l’Ucraina vede nell’espansione della propria flotta la chiave per la ricostruzione postbellica.

 Unica voce in controtendenza in Europa è la Germania, che non solo ha eliminato gradualmente il nucleare, ma lo ha sostituito con il carbone, nonostante la sua politica energetica punti a una piena decarbonizzazione. Il risultato di tali scelte è stato evidente: un forte aumento delle emissioni. Eppure, il nucleare è riconosciuto come tecnologia sostenibile nel Net Zero Industry Act europeo, per non parlare del fatto che è stato incluso nella tassonomia nucleare.

 Il futuro del nucleare è luminoso, poiché i governi di tutto il mondo cercano di coltivare il settore, sia in Nord America che in Africa, dove decine di paesi stanno pianificando programmi nucleari. È un dato di fatto che il comparto sta crescendo tanto in Occidente quanto nel resto del mondo.

 La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui