In occasione di OMC, Assorisorse e RiEnergia hanno organizzato due pomeriggi di interviste ad autorevoli esperti del mondo dell’energia. I talk show sono stati divisi per argomenti; durante la prima giornata si è parlato dei diversi pezzi che compongono l’articolato puzzle della transizione energetica. Ne abbiamo parlato con Francesca Zarri, ponendo l’accento sull’innovazione dei modelli produttivi e sulle soluzioni di lungo termine per la neutralità carbonica adottate da Eni. 

 Per azzerare le emissioni nette di anidride carbonica al 2050 occorre puntare, tra le altre cose, sull’innovazione dei modelli produttivi, sull’adozione di nuovi paradigmi e su soluzioni di lungo periodo a cui la filiera energetica si deve adattare. Un mix di azioni e misure che Eni persegue e implementa da tempo; infatti, Eni non è solo una energy company ma anche una technology company, con un modello di business in profonda evoluzione e orientato alla realizzazione, nei prossimi tre decenni, di un portafoglio di prodotti e servizi totalmente decarbonizzato.

 In questo processo, la bussola è rappresentata dal concetto di neutralità tecnologica, ovvero da un approccio totalmente neutro e agnostico nei confronti delle diverse tecnologie che vengono valutate in un’ottica di Life Cycle Assesment, ovvero individuando l’impronta carbonica dell’intero ciclo produttivo o dell’intera filiera che caratterizza una data soluzione energetica o proposta tecnologica.  Questo è il punto da cui partire per definire la value chain da realizzare, ma anche la sostenibilità e la sicurezza di una nuova soluzione energetica.

 Le bioraffinerie di Eni e le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) danno contezza di questo approccio. Nel primo caso, viene considerata la value chain dell’agrofeedstock utilizzato per alimentare gli impianti e che consente, in ottica LCA, di ottenere soluzioni con performance emissive migliori di altre.

Nel caso della CCS, il processo di decarbonizzazione deve essere valutato considerando tale soluzione tecnologica nel suo assieme: andranno considerate, quindi, tutte le tecnologie che permettono di catturare e stoccare la CO2. Per scegliere la migliore, Eni si è dotata sia di un presidio interno – volto a studiare e sviluppare tecnologie innovative, considerando l’impronta carbonica sul ciclo di vita ma anche la performance in termini di consumi energetici e di efficienza di una determinata soluzione - sia di un presidio esterno, che esegue una mappatura delle tecnologie esistenti sul mercato al fine di individuare quelle più efficienti ed economiche. Il presidio interno fa leva sul bacino di conoscenze e know-how che Eni vanta a livello reservoir: un expertise che, all’interno della Società, è stata particolarmente sviluppata, valorizzando le competenze di geologia, geochimica e di simulazione accumulate negli anni. Ciò ha permesso di simulare in modo accurato l’iniezione della CO2 all’interno dei giacimenti esauriti, che per milioni di anni hanno contenuto il gas naturale. Altro aspetto di rilievo è quello del monitoraggio che, attraverso lo sviluppo di tecniche innovative, consentirà di controllare nel tempo il comportamento dei siti di stoccaggio. In tale ambito, Eni sta sperimentando tecnologie robotiche (ad esempio sui fondali marini) accoppiate alla digitalizzazione e alla capacità predittiva e di simulazione; questo consente di gestire quantità immense di dati su cui vengono costruiti algoritmi a loro volta utili a interpretare diverse informazioni ambientali e di processo.

 Un altro ambito cruciale su cui si concentra la ricerca di Eni è quello dell’economia circolare, anche in relazione al recupero dei critical raw minerals. L’importanza di questa attività è legata sia alla numerosità dei minerali critici (ben 34 secondo la normativa europea) rilevanti ai fini della transizione energetica, sia alla natura polarizzata del mercato di queste commodities e di ciò che con essi si produce, ad esempio con la Cina che da sola possiede circa il 75% % della capacità produttiva globale delle celle delle batterie. Eni non è una società mineraria e, stante la geografia delle risorse localizzate in pochi paesi del mondo, ha ritenuto più strategico lavorare sullo sviluppo di tecnologie per il riciclo dei materiali critici (ad esempio dai pannelli fotovoltaici e dalle batterie) e su soluzioni alternative come le batterie a flusso o agli ioni di sodio, che quindi hanno una minore o nulla necessità di materiali critici. In sintesi, anche l’ambito dei critical raw minerals può rappresentare un’opportunità se interpretato nella maniera più consona, ovvero valorizzando scarti anche della stessa filiera delle rinnovabili che, da potenziale problema, possono invece diventare importante risorsa.  

 Risulta chiaro come il lavoro di ricerca di Eni guardi sia al breve che al lungo periodo, abbracciando una vasta serie di ambiti attraverso lo sviluppo di tecnologie innovative e, in alcuni casi, di “breakthrough”, quali la fusione a confinamento magnetico. In questo campo, la compagnia porta avanti da anni un lavoro di ricerca strutturato assieme al MIT di Boston e ad eccellenze italiane nella ricerca, quali il CNR, l’ENEA e diverse Università. 

 Neutralità carbonica e neutralità tecnologica sono due facce della stessa medaglia che Eni persegue attraverso un articolato processo di ricerca e sviluppo incentrato sulla realizzazione di modelli produttivi e tecnologie innovative atte a realizzare, in ottica LCA, value chain improntate sulla sostenibilità e la sicurezza.