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La situazione attuale della siccità in Italia registra una inversione di ruoli rispetto all’immaginario atteso che vede colpita da questo fenomeno l’Italia Meridionale e Insulare, mentre il Nord Italia è esente da questa piaga. Prendendo spunto dal titolo di un famoso film, il titolo di questo articolo potrebbe essere “Benvenuti al Sud”. Ma non c’è alcun motivo di dare il benvenuto a chi subisce gli effetti di questa situazione, in quanto più che mai in questo caso il mal comune non ispira alcun gaudio. Piuttosto vanno approfondite le cause per cui la siccità in Italia diventa troppo spesso emergenza cercando anche di proporre rimedi.
In Italia acqua ed energia hanno da sempre avuto un legame molto stretto. A causa della carenza di risorse interne di carbone, la crescita della domanda di energia a cavallo tra la fine XIX Secolo e l’inizio del XX Secolo fu supportata dallo sviluppo della fonte idrica.
Come anche riportato da Giulio Boccaletti su Il Foglio, durante lo sviluppo industriale dei primi decenni del ‘900, furono i fiumi a definire la transizione energetica del Paese.
La siccità, che sta interessando in queste ultime settimane il bacino de Po e non solo, sta avendo un impatto notevole anche sulla produzione delle centrali elettriche che sorgono nei pressi dell’area.
Per quanto l’emergenza sembra essere esplosa solo da poco, in realtà, gli effetti sulla produzione di elettricità derivanti dalla crisi idrica risalgono già a inizio anno, quando le centinaia di centraline idroelettriche di piccole dimensioni installate sui canali di bonifica e sugli affluenti minori vedono la loro produzione ai minimi storici degli ultimi 20 anni.
È davanti a tutti noi, in questi giorni, la notizia frequente di interruzioni dell’alimentazione elettrica in molte delle nostre città. Tali interruzioni generano, nella migliore delle ipotesi, malumori tra i cittadini, ma spesso anche danni economici alle attività produttive. È quindi molto importante cercare di chiarire almeno quali siano le cause e se si possa in qualche misura mitigarne gli effetti negativi.
Sale a 3 miliardi di euro il conto dei danni causati dalla siccità che assedia città e campagne, con autobotti e razionamenti; il Po in secca peggio che a Ferragosto, i laghi svuotati e i campi arsi dove i raccolti bruciano sui terreni senz’acqua. Esplodono i costi per le irrigazioni di soccorso per salvare le piantine assetate e per l’acquisto del cibo per gli animali con i foraggi bruciati dal caldo.
La parola “inceneritore” è seconda solo a “centrale nucleare” nell’evocare un sinistro alone di pericolo per la salute e per l’ambiente. Fino a poco tempo fa, ogni politico desideroso di voti poteva gonfiarsi il petto ed esternare ad alta voce il suo “no”, certo che la stragrande maggioranza dei cittadini lo avrebbe sostenuto. Oggi si direbbe che qualcosa sia cambiato, se un sindaco come Gualtieri può se non altro aprire un dibattito sull’opportunità di realizzarne uno a Roma senza essere crocefisso. Certo, la sua proposta ha fatto e farà discutere.
In un contesto, come quello corrente, in cui massima è l’attenzione verso le tematiche della sostenibilità e dell’impatto ambientale, torna di attualità il tema dell’incenerimento dei rifiuti e del loro impatto sulla qualità della vita. Globalmente, sono state stimate in circa 216 milioni, le tonnellate di rifiuti che vengono indirizzate a termovalorizzatori, il 15% delle quali garantisce un qualche approvvigionamento energetico. Un terzo circa dei 1.700 impianti al mondo si trovano in Europa. In visione prospettica, però, non sarà nel Vecchio Continente che si attende la crescita maggiore di nuovi termovalorizzatori, ma bensì in Cina, che guida la costruzione di questa tipologia di impianti, seguita a molta distanza dalla stessa Europa e dal Giappone.
Con la scelta di costruire un inceneritore con recupero di energia a Roma, finalmente il sindaco Gualtieri ha osato spezzare il tabù che ha condannato da decenni la città a condizioni penose dal punto di vista del decoro, dell’igiene e dell’ambiente. Da subito, abbiamo deciso di sostenere questa scelta coraggiosa promuovendo, insieme ad altri, Daje! il Comitato pro termovalorizzatore di Roma.
Realizzare un inceneritore a Roma non è una scelta corretta perché, prima ancora di discutere se è ambientalmente sostenibile, si tratta di una scelta anti-moderna e che va in direzione ostinata e contraria rispetto a ciò che ci suggerisce l’Europa.
Insomma, sarebbe un peccato perdere l’occasione di far entrare finalmente la Capitale nell’era moderna dell’economia circolare per inseguire il “mega-forno”, dopo che tutti per decenni si sono crogiolati nell’inanità. Inclusi quelli che, eletti trionfanti al grido “rifiuti zero”, non hanno realizzato nemmeno un impianto di quelli necessari a recuperare i rifiuti, non hanno alzato nemmeno di un punto la già deficitaria (in termini di qualità) raccolta differenziata romana e hanno invece proseguito nel massacro organizzativo dell’azienda (l’AMA) che se ne dovrebbe occupare.
Cosa rappresenta la crisi ucraina per il mondo dell’energia? Uno straordinario, imprevisto e irripetibile test per la transizione energetica. Vediamo meglio perché. La crisi riporta in primo piano, dopo anni di oblio, la questione della sicurezza energetica e ci fa capire meglio un’antica lezione che anni di pace ci avevano fatto dimenticare: l’energia non è assimilabile agli altri beni, essenzialmente per due ragioni: uno, rappresenta il sangue dell’intera struttura economica, la linfa che la irrora e ne rende possibile la vita; due, ha una valenza geopolitica che altri beni non posseggono.