Realizzare un inceneritore a Roma non è una scelta corretta perché, prima ancora di discutere se è ambientalmente sostenibile, si tratta di una scelta anti-moderna e che va in direzione ostinata e contraria rispetto a ciò che ci suggerisce l’Europa.
Insomma, sarebbe un peccato perdere l’occasione di far entrare finalmente la Capitale nell’era moderna dell’economia circolare per inseguire il “mega-forno”, dopo che tutti per decenni si sono crogiolati nell’inanità. Inclusi quelli che, eletti trionfanti al grido “rifiuti zero”, non hanno realizzato nemmeno un impianto di quelli necessari a recuperare i rifiuti, non hanno alzato nemmeno di un punto la già deficitaria (in termini di qualità) raccolta differenziata romana e hanno invece proseguito nel massacro organizzativo dell’azienda (l’AMA) che se ne dovrebbe occupare.
E così nel 2022 siamo ancora all’anno zero per i rifiuti a Roma e chiunque la abiti lo sa bene: dal degrado delle strade in centro e in periferia ai cinghiali attratti dai cumuli di rifiuti accanto ai cassonetti, il disastro della Capitale è sotto gli occhi di tutti. Per questo abbiamo salutato con estremo favore la scelta dell’assessora Alfonsi di puntare subito e con forza alla realizzazione di due impianti di biodigestione anaerobica per produrre biometano e compost dai rifiuti organici che sono la frazione più importante della raccolta differenziata. Quella era la strada da continuare a percorrere, migliorando la raccolta “porta a porta”, mettendo contemporaneamente mano nell’organizzazione dell’AMA che, come denunciano gli stessi lavoratori e sindacati più consapevoli (penso alla CGIL in primis), fa acqua da tutte le parti.
Invece il Sindaco ha scelto di rovesciare il ragionamento e partire dalla coda proponendo un impianto obsoleto che non è affatto né “green” né di “nuova generazione”, come propagandato.
Non è affatto green, e non perché lo sostenga chi scrive o Legambiente, ma perché lo dice l’Europa che non ha inserito l’incenerimento tra le tecnologie finanziabili (nella tassonomia) in ragione del fatto che tale pratica, non rispettando il principio “Do No Significant Harm”, andrebbe contro la necessaria decarbonizzazione e, per questo, considerata “dannosa”. Peraltro, la conferma che chi guarda agli inceneritori guarda al passato è ribadita dalla recente scelta del Parlamento europeo che vuole eliminare l’esenzione dell’incenerimento dei rifiuti dallo schema ETS già dal 2026. Una scelta che praticamente raddoppierebbe il costo di una tonnellata di rifiuti trattata in quell’impianto. Costo che si scaricherebbe sulle tasche dei cittadini attraverso la TARI, che dovrebbero così pagare affinché il loro inceneritore possa emettere gas serra! E dispiace che di fronte a questa realistica prospettiva, l’amministrazione di Roma, invece di ascoltare i propri europarlamentari di riferimento, che hanno appunto votato per eliminare l’esenzione al più presto, si appigli alle forze più conservatrici per salvare il proprio forno. Un forno che emetterebbe 600/700 grammi di CO2 ogni kWh prodotto contro i 300 del mix elettrico attuale.
Ma su qualcosa chi ha proposto l’inceneritore ha ragione: l’esasperazione dei cittadini romani e il fatto che non abbiamo più tempo da perdere. Realizzare l’inceneritore entro il Giubileo è poco più che una boutade, ma l’emergenza è invece vera. Deve essere chiaro che per affrontarla la prima cosa da fare è riorganizzare la raccolta e togliere i rifiuti dalle strade, ma non vogliamo eludere la questione della necessaria chiusura del ciclo.
Prendendo per buone le cifre indicate dall’amministrazione, a regime avremo la produzione di poco più di 1,5 milioni di tonnellate all’anno: con una raccolta differenziata fatta bene (sul modello Milano che già oggi è al 70%) si potrebbe arrivare a 300.000 tonnellate di residuo (il 65% di riciclo è infatti un obiettivo minimo non un target impossibile e richiede già una differenziata superiore al 70%). Prendiamo anche per buoni i calcoli, troppo timidi, del Comune (450.000 tonnellate). Se tale residuo lo pretrattiamo adeguatamente (in caso di raccolta differenziata fatta bene, nel residuo non c’è praticamente organico e quindi gli impianti di trattamento avrebbero poco a che vedere con gli attuali impianti di Trattamento Meccanico Biologico, ma sarebbero piuttosto degli impianti di Trattamento Meccanico) se ne possono recuperare circa due terzi che, potrebbero finire, per esempio, in impianti di riciclo chimico. In questo caso, senza bruciare niente e con il 90% di emissioni in meno di CO2, produrrebbero metanolo, idrogeno o anche nuovi polimeri se il mercato lo richiedesse. Inoltre, si deve correttamente considerare anche lo scarto (ineliminabile) del differenziato: per esempio, se stimiamo a regime 400.000 tonnellate di umido è prevedibile che ci siano altre 70/80.000 tonnellate da trattare insieme all’indifferenziato. In ogni caso parliamo di circa 300.000 tonnellate trattabili in impianti più moderni e non delle 600.000 che dovrebbero essere destinate all’inceneritore. Infine, dovremo considerare quel 10% (nel nostro caso 150.000 tonnellate) che la stessa UE ritiene incomprimibile e, ahimè, resta destinato alla discarica.
Peraltro, la scelta dell’incenerimento non esime, come si sa, dalla ricerca di una discarica di servizio. Essendo le ceneri il 20% di ciò che entra, e se si utilizzano i migliori sistemi d’abbattimento delle emissioni inquinanti in atmosfera, dato che la materia non si crea ma neanche si distrugge, gli inquinanti finiscono nelle ceneri.
Obiezione che si fa è che questi impianti sarebbero sperimentali e che, invece, gli inceneritori sono ben noti. A parte che in Giappone funzionano da tempo, ma se si ragionasse sempre così saremmo fermi all’età della pietra. Oltre a ciò, andrebbero avvertiti gli amministratori della Regione Toscana che su questa tecnologia, insieme ad altre, stanno puntando escludendo gli inceneritori.
In estrema sintesi, si potrebbe ampiamente parlare di tecnologie avanzate, a chiaro beneficio dei cittadini e in coerenza con i principi dell'economia circolare.