In un contesto, come quello corrente, in cui massima è l’attenzione verso le tematiche della sostenibilità e dell’impatto ambientale, torna di attualità il tema dell’incenerimento dei rifiuti e del loro impatto sulla qualità della vita. Globalmente, sono state stimate in circa 216 milioni, le tonnellate di rifiuti che vengono indirizzate a termovalorizzatori, il 15% delle quali garantisce un qualche approvvigionamento energetico. Un terzo circa dei 1.700 impianti al mondo si trovano in Europa. In visione prospettica, però, non sarà nel Vecchio Continente che si attende la crescita maggiore di nuovi termovalorizzatori, ma bensì in Cina, che guida la costruzione di questa tipologia di impianti, seguita a molta distanza dalla stessa Europa e dal Giappone.
Relativamente all’Italia, nel corso degli ultimi 20 anni, dopo una iniziale fase di crescita che ha visto attivi sul nostro territorio fino a oltre 50 impianti, il numero di questi ultimi si è ridotto, come dimostrato dai circa 38 inceneritori in esercizio censiti nel 2021. Tutto ciò, pur a fronte di una crescita di quasi tre volte della quantità di rifiuti inceneriti che, dai circa 2,2 milioni di tonnellate annue del 2000 si sono portati a 6,3 milioni di tonnellate del 2018. Di questi quasi il 95% viene trattato in impianti ad elevata efficienza energetica in linea con i più recenti dettami della normativa europea.
Da un punto di vista emissivo, il contributo del settore incenerimento dei rifiuti al totale delle emissioni prodotte dalle attività antropiche si è considerabilmente ridotto passando da circa il 10% (anno 2000) al 5,85% (anno 2018), con incidenze particolarmente basse per i macroinquinanti e per i principali inquinanti in traccia. Questo trend è indice di una costante e positiva evoluzione delle dotazioni tecnologiche del parco di termovalorizzatori in Italia, in linea con le politiche ambientali del settore sia nazionali che europee. In particolare, si fa riferimento alla direttiva introdotta dalla Commissione Europea nel 2018, “Circular Economy Package”, che 1) prevede nuovi obiettivi ambiziosi, come l’obbligo di riuso e riciclo di almeno il 65% dei rifiuti solidi urbani al 2035; la limitazione a non più del 10% del quantitativo massimo di rifiuti urbani smaltibili in discarica nonché il divieto di smaltire rifiuti che possono comunque essere recuperati; 2) pone con forza la questione di quali possano essere le soluzioni industrialmente percorribili per consentire il raggiungimento dei suddetti obiettivi. È proprio in questa prospettiva che l’utilizzo di termovalorizzatori ad alta efficienza energetica, dedicati ai rifiuti solidi urbani, può e potrà rimanere una delle opzioni maggiormente utili sia al rispetto dei dettami normativi sia al miglioramento dell’intera filiera e catena di valore di questo settore.
Ma facciamo una fotografia del settore rifiuti urbani a livello europeo. Secondo dati ISPRA, nel 2019 (ultimo dato disponibile), nell’UE si sono prodotti circa 220 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, in aumento dell’1,3% rispetto al dato 2018. Per il triennio 2019-2017 l’aumento è di 3,1 milioni di tonnellate (+1,4%). Un dato in aumento che va messo in relazione con i trend di crescita economica positivi registrati nello stesso periodo. Se guardiamo all’analisi macroscopica dei rifiuti nel nostro continente, nel 2019, emerge che il maggiore aumento in valore percentuale si registra in paesi alla periferia dell’UE, come Malta, Lettonia e Slovenia. In termini assoluti, invece, sono la Francia, la Germania, l’Italia e la Polonia a segnare gli incrementi maggiori. L’Italia fa registrare un +0,4%, corrispondente a 119 mila tonnellate.
Produzione totale di rifiuti urbani nell’UE (in migliaia di tonnellate)
Fonte: ISPRA
Se guardiamo alla gestione dei rifiuti urbani, il quadro europeo è molto composito. Nel 2019, mentre alcuni paesi, pur mantenendo un bassissimo tasso di smaltimento in discarica (al di sotto del 4,5%) hanno registrato un’intensa attività di incenerimento con recupero energetico (ad es. Germania 32% e Finlandia 56%), altri hanno segnato tassi molto più contenuti. Per l’Italia tale quota si attesta al 21%. Nello stesso anno, invece, i paesi con percentuali di rifiuti urbani avviati a compostaggio e digestione superiore al 20% del totale trattato sono stati: Austria (33%), Paesi Bassi (29%), Lituania (25%), Italia (23%), e Belgio (21%).
Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti urbani nell’UE (2019)
Fonte: ISPRA
Da un punto di vista ambientale, il contributo degli impianti di recupero di energia dai rifiuti (waste-to-energy) alla decarbonizzazione è importante. Per una duplice ragione: 1) la termovalorizzazione consente di produrre energia, riducendo il consumo di combustibili fossili, molto spesso importati, 2) evita lo smaltimento in discarica consentendo il risparmio di tonnellate di CO2 derivanti dalla decomposizione dei rifiuti biodegradabili. Inoltre, nell’attuale contesto di crisi energetica, una qualsiasi forma di recupero di energia dai rifiuti non può che rivelarsi positiva.
Tuttavia, un aspetto che presenta ancora lacune, sia nel settore del recupero di energia dai rifiuti, sia in altri settori industriali è la valutazione globale delle emissioni e dei benefici. Si tratta di un approccio tipico degli studi di ciclo di vita (LCA), che supera il concetto puntuale o locale legato principalmente ai benefici ed alle emissioni direttamente associate all’impianto e introducen anche quei benefici e quelle emissioni dovute ad altre attività non direttamente collegate al funzionamento dell’impianto ma comunque necessarie al suo esercizio. Un nostro studio uscito nel 2021 sul Volume 40(2) della rivista Waste Management & Research cerca di colmare questa lacuna, attraverso un’analisi del ciclo di vita (LCA) degli impianti italiani. La ricerca si è concentrata da un lato, su alcune delle variabili principali, come l’implementazione e utilizzo di tecnologie all’avanguardia, l’adozione di sistemi di pulizia dei gas rilasciati durante i processi e il livello effettivo di emissioni raggiunte, dall’altro, sugli aspetti più critici inerenti al settore e che possono costituire una base di partenza per migliorare le prestazioni future, comunque già di rilievo, in termini di economia sostenibile e di altri aspetti sociali.
La nostra analisi mostra come la concentrazione degli inquinanti emessi dai nostri termovalorizzatori sia pressoché costante, a dispetto della grandezza degli stessi impianti. Ciò è in continuità con altri studi precedenti. Impatti positivi sul cambiamento climatico, invece, sono raggiunti grazie al recupero di elettricità e attraverso le evitate emissioni generate dall’utilizzo di combustibili fossili. Anche per quanto riguarda le emissioni di PM si possono notare risultati positivi, con una correlazione fra riduzione delle emissioni e grandezza degli impianti, così come in tema di ecotossicità delle riserve acquifere e di salute umana, grazie all’assenza di metalli pesanti rilasciati nelle acque in seguito all’accumulo di rifiuti in discarica. Con riferimento alla singola tonnellata di rifiuto trattata, all’incremento del quantitativo di rifiuti trattati in tali impianti corrisponde una riduzione dell’impatto per la salute dovuto a minori emissioni specifiche di particolato, arsenico, diossina e al più basso consumo di materiali e reagenti chimici per la depurazione dei fumi (emissioni indirette).
Pur in presenza di elementi positivi, esiste sicuramente un margine di miglioramento delle prestazioni ambientali ed energetiche dell’intero settore italiano della termovalorizzazione. Tra le misure individuate dalla nostra ricerca si possono evidenziare:
- Massimizzare il riciclo invece dello smaltimento, sia delle ceneri volanti che delle scorie.
- Ottimizzare l’attività di manutenzione per preservare, ai livelli elevati, la quantità di energia recuperata.
- Incrementare ed ottimizzare la quantità di calore recuperato con una particolare attenzione agli impianti di media e grande capacità.