ACQUA & AMBIENTE | 150 ARTICOLI
Il tema delle emissioni di metano è attualmente al centro di un singolare allineamento siderale, con tre dinamiche completamente indipendenti che interagiscono:
- il ruolo centrale del gas naturale nella decarbonizzazione dell’offerta energetica durante la transizione verso un’economia equa e sostenibile;
- l’evoluzione dell’assetto normativo a supporto del raggiungimento degli obiettivi di contenimento del cambiamento climatico, che richiede di prestare particolare attenzione alle emissioni di metano;
- le incertezze sull’effettiva disponibilità del gas naturale nei nostri mercati, come conseguenza del complicato scenario geopolitico conseguente all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Spesso mi sono sentita dire che il tema delle emissioni di metano è un tema troppo tecnico e ingegneristico, difficilmente assimilabile a problematiche politico-sociali di ampio respiro. Ma la situazione di emergenza energetica e climatica che ci troviamo ad affrontare dimostra invece quanto questi due aspetti siano intrinsecamente correlati. Tanto più che se si parla di transizione energetica, si intende un periodo di passaggio da fonti di produzione basate sui combustibili fossili, a un più efficiente paradigma a emissioni zero, con un mix di energie rinnovabili e nuovi gas.
La situazione attuale della siccità in Italia registra una inversione di ruoli rispetto all’immaginario atteso che vede colpita da questo fenomeno l’Italia Meridionale e Insulare, mentre il Nord Italia è esente da questa piaga. Prendendo spunto dal titolo di un famoso film, il titolo di questo articolo potrebbe essere “Benvenuti al Sud”. Ma non c’è alcun motivo di dare il benvenuto a chi subisce gli effetti di questa situazione, in quanto più che mai in questo caso il mal comune non ispira alcun gaudio. Piuttosto vanno approfondite le cause per cui la siccità in Italia diventa troppo spesso emergenza cercando anche di proporre rimedi.
In Italia acqua ed energia hanno da sempre avuto un legame molto stretto. A causa della carenza di risorse interne di carbone, la crescita della domanda di energia a cavallo tra la fine XIX Secolo e l’inizio del XX Secolo fu supportata dallo sviluppo della fonte idrica.
Come anche riportato da Giulio Boccaletti su Il Foglio, durante lo sviluppo industriale dei primi decenni del ‘900, furono i fiumi a definire la transizione energetica del Paese.
La siccità, che sta interessando in queste ultime settimane il bacino de Po e non solo, sta avendo un impatto notevole anche sulla produzione delle centrali elettriche che sorgono nei pressi dell’area.
Per quanto l’emergenza sembra essere esplosa solo da poco, in realtà, gli effetti sulla produzione di elettricità derivanti dalla crisi idrica risalgono già a inizio anno, quando le centinaia di centraline idroelettriche di piccole dimensioni installate sui canali di bonifica e sugli affluenti minori vedono la loro produzione ai minimi storici degli ultimi 20 anni.
È davanti a tutti noi, in questi giorni, la notizia frequente di interruzioni dell’alimentazione elettrica in molte delle nostre città. Tali interruzioni generano, nella migliore delle ipotesi, malumori tra i cittadini, ma spesso anche danni economici alle attività produttive. È quindi molto importante cercare di chiarire almeno quali siano le cause e se si possa in qualche misura mitigarne gli effetti negativi.
Sale a 3 miliardi di euro il conto dei danni causati dalla siccità che assedia città e campagne, con autobotti e razionamenti; il Po in secca peggio che a Ferragosto, i laghi svuotati e i campi arsi dove i raccolti bruciano sui terreni senz’acqua. Esplodono i costi per le irrigazioni di soccorso per salvare le piantine assetate e per l’acquisto del cibo per gli animali con i foraggi bruciati dal caldo.
La parola “inceneritore” è seconda solo a “centrale nucleare” nell’evocare un sinistro alone di pericolo per la salute e per l’ambiente. Fino a poco tempo fa, ogni politico desideroso di voti poteva gonfiarsi il petto ed esternare ad alta voce il suo “no”, certo che la stragrande maggioranza dei cittadini lo avrebbe sostenuto. Oggi si direbbe che qualcosa sia cambiato, se un sindaco come Gualtieri può se non altro aprire un dibattito sull’opportunità di realizzarne uno a Roma senza essere crocefisso. Certo, la sua proposta ha fatto e farà discutere.
In un contesto, come quello corrente, in cui massima è l’attenzione verso le tematiche della sostenibilità e dell’impatto ambientale, torna di attualità il tema dell’incenerimento dei rifiuti e del loro impatto sulla qualità della vita. Globalmente, sono state stimate in circa 216 milioni, le tonnellate di rifiuti che vengono indirizzate a termovalorizzatori, il 15% delle quali garantisce un qualche approvvigionamento energetico. Un terzo circa dei 1.700 impianti al mondo si trovano in Europa. In visione prospettica, però, non sarà nel Vecchio Continente che si attende la crescita maggiore di nuovi termovalorizzatori, ma bensì in Cina, che guida la costruzione di questa tipologia di impianti, seguita a molta distanza dalla stessa Europa e dal Giappone.
Con la scelta di costruire un inceneritore con recupero di energia a Roma, finalmente il sindaco Gualtieri ha osato spezzare il tabù che ha condannato da decenni la città a condizioni penose dal punto di vista del decoro, dell’igiene e dell’ambiente. Da subito, abbiamo deciso di sostenere questa scelta coraggiosa promuovendo, insieme ad altri, Daje! il Comitato pro termovalorizzatore di Roma.