Meno entrate e più spese. Il processo di sostituzione a tappe forzate del parco veicolare da termico a elettrico avrà un impatto rilevante per la finanza pubblica. Proviamo a farne una stima di larga massima.
Circolano attualmente in Italia poco meno di 40 milioni di autovetture; quelle elettriche sono intorno a 200.000, numero raddoppiato rispetto al 2020. Lo scorso anno le immatricolazioni complessive sono state 1,5 milioni.
In base agli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec), all’orizzonte temporale del 2030 i mezzi elettrici circolanti dovranno essere 6 milioni. Tale traguardo implica un tasso di crescita annuo superiore al 50% e il raggiungimento di un volume di vendita intorno ai 2 milioni di auto, pari a quello registrato nel 2019.
Immaginiamo che negli anni successivi tale valore, così come il numero di auto circolanti, rimanga invariato.
La completa elettrificazione si completerebbe quattro anni prima del fatidico 2050.
Ora, la tassazione corrente che grava sui carburanti è pari a 1 € per litro di benzina e a 90 centesimi per il gasolio.
Il prezzo alla pompa è pari rispettivamente a 2,45 e a 2,3 volte quello industriale. Di cento euro spesi per fare un pieno di benzina, sessanta vanno allo Stato.
Se consideriamo solo la tassazione specifica, accise e IVA sulle accise, il prelievo è di 89 centesimi per litro di benzina e di 75 centesimi per il gasolio.
Prezzo dei carburanti in Italia – gennaio 2022
Fonte: Mise
Sulla base della percorrenza dei consumi medi possiamo stimare che per ogni auto con motore termico circolante, lo Stato incassa tasse specifiche per un ammontare intorno ai 700 euro all’anno. In totale le risorse introitate sono circa 28 miliardi. Tale gettito verrebbe progressivamente eroso dalla sostituzione delle auto alimentate a benzina e gasolio.
Sotto le ipotesi delineate in precedenza, nei prossimi venti anni le minori entrate specifiche cumulate ammonterebbero a circa 155 miliardi.
E quali sarebbero le maggiori spese? Nel corso del 2021 l’incentivo previsto per l’acquisto di un veicolo elettrico era pari a 8.000 euro. Ipotizziamo che tale sussidio venga reso permanente e ridotto linearmente su base annua per un ammontare pari a 400 euro, azzerandosi dunque tra vent’anni. Il costo di questa ipotetica misura per lo Stato crescerebbe dagli iniziali 800 milioni fino a un massimo di 10 miliardi nel 2030; nel periodo 2022-41 si avrebbe una maggior spesa dell’ordine di 100 miliardi.
Il costo della transizione all’elettrico per l’erario, al netto di altre spese pubbliche per la rete di distribuzione, si attesterebbe quindi complessivamente intorno ai 250 miliardi.
Stima di massima del costo per l’erario della trasformazione del parco auto da termico a elettrico
Fonte: Stime Autore
Il costo per tonnellata di CO2 evitata sarebbe dell’ordine dei 500 euro, di cui 300 riconducibili alle minori entrate fiscali.
Una siffatta strategia appare dunque essere lontana da un approccio efficiente con applicazione a tutti i settori di una carbon tax uniforme. Tale impostazione non richiederebbe per il settore della mobilità su gomma ulteriori misure regolatorie rispetto a quelle già in atto: tranne eccezioni, e tenendo in considerazione anche gli altri impatti ambientali (inquinamento atmosferico, fortemente ridotto rispetto al passato, e rumore) l’attuale livello di tassazione in Italia ed Europa risulta infatti più che internalizzante.
Inoltre, l’intero settore potrebbe fin da subito essere reso carbon neutral destinando alla riduzione delle emissioni in altri ambiti una piccola quota degli introiti fiscali netti oggi generati che ammontano in Italia a circa 40 miliardi per anno. Lo stesso risultato in termini di riduzione delle emissioni ottenuto con la elettrificazione del parco si potrebbe conseguire con un costo approssimativamente dieci volte inferiore.
Peraltro, seppur inefficiente, la strategia della innovazione tecnologica sarà efficace nel medio lungo termine come già lo è stata per la riduzione delle emissioni di inquinanti locali.
Non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda un’altra componente delle politiche climatiche nel settore della mobilità, quella che ha come obiettivo lo spostamento di quote di domanda dal trasporto su gomma a quello su ferro. È una strategia perseguita sia a livello nazionale che europeo da più decenni e che non ha portato ad alcun risultato apprezzabile. I due segmenti di mercato sono infatti in larghissima misura vasi non comunicanti e un miglioramento dell’offerta di trasporti collettivi non fa diminuire, se non per frazioni di punto percentuale, il traffico su strada e quello aereo.
In Italia, come in tutti i Paesi europei dell’Europa occidentale, le percorrenze in auto rappresentano, oggi come trent’anni fa, intorno all’80% del totale della mobilità delle persone e una quota superiore al 90% dei flussi di traffico merci; l’Europa orientale si sta avviando ad assestarsi su valori analoghi.
Eppure, il PNRR destina la parte largamente maggioritaria delle risorse per infrastrutture alle ferrovie. Nel prossimo decennio è verosimile un impegno di spesa dell’ordine di 100 miliardi. L’investimento per tonnellata di anidride carbonica abbattuta risulta in questo caso dell’ordine delle migliaia di euro ed è destinato a crescere nel tempo in parallelo con la riduzione delle emissioni dei mezzi stradali.
Se, dunque, quella della elettrificazione a tappe forzate del parco veicolare è una strada molto tortuosa che potrà portarci al traguardo desiderato, quella del cambio modale è una terapia al contempo inefficiente e inefficace, al limite della irrilevanza. Ma che, è innegabile, gode di un consenso amplissimo e apparentemente non scalfito dai ripetuti fallimenti.