Il tema delle emissioni di metano è attualmente al centro di un singolare allineamento siderale, con tre dinamiche completamente indipendenti che interagiscono:
- il ruolo centrale del gas naturale nella decarbonizzazione dell’offerta energetica durante la transizione verso un’economia equa e sostenibile;
- l’evoluzione dell’assetto normativo a supporto del raggiungimento degli obiettivi di contenimento del cambiamento climatico, che richiede di prestare particolare attenzione alle emissioni di metano;
- le incertezze sull’effettiva disponibilità del gas naturale nei nostri mercati, come conseguenza del complicato scenario geopolitico conseguente all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Non c’è più tempo; in Italia la povertà energetica sta velocemente crescendo, a causa sia dei prezzi sia della carenza di gas. I Cittadini, le Imprese e anche le Istituzioni hanno estremo e urgente bisogno di elettricità a basso costo. Elettricità Futura, che rappresenta oltre il 70% del mercato elettrico italiano, rivolge un Appello urgente ai Governatori delle Regioni e ai Sindaci dei Comuni d’Italia per chiedere di contribuire a risolvere l’emergenza energetica autorizzando velocemente le numerose richieste di costruzione di nuovi impianti rinnovabili. Le Regioni e i Comuni possono fare la differenza e hanno la responsabilità di farlo, permettendo un rapido aumento della produzione di elettricità rinnovabile.
Un aspetto decisivo per il decollo spinto delle rinnovabili, a tutti i livelli istituzionali, afferisce alla forte convinzione politica della necessità di accelerare la transizione energetica. Ovviamente questo elemento riguarda l’UE, che finora ha svolto un ruolo di punta, i singoli Governi - e i nostri non hanno certo brillato negli ultimi dieci anni-, le Regioni e i singoli Comuni.
Questi spingono per la transizione verso le rinnovabili con tanto maggiore convinzione quanto più chiara è la percezione di possibili ricadute in termini di riduzione del costo dell’energia, incrementi occupazionali e visibilità.
L’attuale contesto geopolitico ha evidenziato i limiti del sistema energetico europeo e del nostro Paese, mostrando la sua eccessiva dipendenza da approvvigionamenti esterni, in particolare di gas naturale.
In Italia, infatti, il gas rappresenta la fonte di energia primaria più utilizzata: ricopre il 40% circa del nostro fabbisogno energetico, e ne importiamo più di 70 miliardi di metri cubi all’anno da un numero limitato di Paesi fra cui, naturalmente, la Russia. Anche solo limitandoci al settore della produzione di elettricità, il gas ne rappresenta da solo circa la metà, e da questo derivano le evidenti conseguenze sul costo finale dell’energia che stiamo sperimentando da un anno a questa parte.
Dalla crisi climatica alla crisi energetica: problemi diversi ma nello stesso tempo strettamente interconnessi. Se le scelte del passato fossero state più lungimiranti e avessero puntato maggiormente su rinnovabili ed efficienza, oggi non pagheremmo così duramente le conseguenze di un contesto internazionale così delicato. Serve un cambio di marcia e serve in fretta, altrimenti a farne le spese è l’ambiente in cui viviamo, la nostra economia e il nostro tessuto sociale. Questo il principale messaggio che emerge dall’intervista fatta a Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola.
Nel novembre 2021, alla COP26 di Glasgow, l’Unione Europa si indignava di fronte alla proposta di Cina e India di modificare il testo finale, sostituendo il “phase out” del carbone con un più morbido “phase down”. Frans Timmermans, parlando subito dopo il ministro indiano, sottolineava come l’Unione Europea fosse pronta a spingersi ben oltre per porre fine all’uso del carbone e affermava “We know that coal has no future”, accompagnato da applausi scroscianti.
A partire dal 2016, il numero di operatori europei proprietari di centrali a carbone che hanno chiuso i loro impianti, o hanno annunciato piani di phase out al 2030, è salito a 171. E anche quest’anno, si sono aggiunti nuovi soggetti. A livello nazionale, diciassette paesi europei hanno smesso di bruciare carbone o si sono impegnati a farlo al più tardi entro il 2030 e nessun governo ha rinunciato a questa promessa.
Fare una valutazione dell’inquinamento ambientale prodotto dalle emissioni di metano associate all’incidente ai gasdotti Nord Stream 1 e 2 non è facile, anche perché la situazione è ancora poco definita, ma è chiaro che si tratta di un incidente molto grave. Domenica 2 ottobre il portavoce della società di gestione dei gasdotti, U. Lissek, riferiva che la pressione dell’acqua aveva più o meno chiuso le falle in modo che il gas nei tubi non potesse più fuoriuscire. Fino al primo pomeriggio di lunedì 3 ottobre, il flusso in uscita dalle tubazioni sembrava essersi interrotto. Invece, nelle ore successive, la Guardia Costiera svedese dichiarava che la perdita dal Nord Stream 2 non solo non si era fermata, ma era addirittura cresciuta di dimensioni (circa 30 metri di diametro).
Il Ministero della Transizione Ecologica ha varato lo scorso 6 settembre un piano di contenimento dei consumi di gas per 8,2 miliardi di mc tra il 1° agosto 2022 e 31 marzo 2023, che poggia su tre aree di intervento:
- la massimizzazione della produzione elettrica con combustibili diversi dal gas, ricorrendo a carbone e olio combustibile in primis (risparmio di gas atteso: 2,1 miliardi di mc);
- l’introduzione di limiti di temperatura negli ambienti, di ore giornaliere di accensione e di durata del periodo di riscaldamento (risparmio di gas atteso: 3,2 miliardi di mc);
- misure comportamentali volontarie, sia a costo zero, sia che richiedono investimenti iniziali da parte degli utenti, che dovrebbero essere promosse attraverso una campagna di sensibilizzazione (risparmio di gas atteso: 2,9 miliardi di mc).
Occorre risparmiare il 15% del consumo di gas naturale nei 6 mesi da agosto 2022 a marzo 2023. È un atto di buon senso e ce lo chiede l’Unione Europea. Di qui il piano del Ministero della Transizione Ecologica che delinea una serie di azioni tese a risparmiare 8,2 miliardi di metri cubi (mld mc) di gas.
Un primo modo attraverso il quale leggere il piano del governo è attraverso la distinzione tra interventi sul lato dell’offerta e della domanda.