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We all know the story: coal is dying, clean energy is thriving, and the future is wind turbines and solar panels as far as the eye can see. But someone forgot to send China the memo. In 2024, China consumed over 58% of the world’s coal— almost 40% more than the rest of the planet combined. That same year, its coal-fired power plants generated a staggering 5.828 TWh of electricity—far exceeded the entire electricity generation of the EU‑27, estimated at around 2,770 TWh from all sources.
Global coal demand and production hit record highs in 2024. Demand is expected to plateau through 2026, while production is projected to set another record in 2025 before declining in 2026. Coal trade volumes also reached new highs in 2024 and are forecast to fall in both 2025 and 2026. This is reflected in prices, which have eased to near marginal supply costs after the 2021–2022 spike.
Così come promesso durante la campagna elettorale, il Presidente Trump vuole ridare slancio a un comparto in passato colonna portante del sistema energetico nazionale, ma da anni ormai alle prese con una crisi strutturale e profonda: l’industria del carbone.
Quel che è storia è noto a tutti: il carbone va a dismettersi, l’energia pulita continua la sua corsa e il futuro è fatto di turbine eoliche e pannelli solari. Ma qualcuno ha dimenticato di notificare ciò alla Cina. Nel 2024, il Dragone Rosso ha consumato oltre il 58% del carbone mondiale, quasi il 40% in più rispetto al resto del pianeta messo insieme. Nello stesso anno, le sue centrali a carbone hanno generato l’incredibile quantità di 5.828 TWh di elettricità, superando di gran lunga l’intera produzione di elettricità dei 27 Paesi UE, stimata in circa 2.770 TWh.
Nel 2024, la domanda e la produzione globale di carbone hanno raggiunto livelli record. Per i prossimi due anni la previsione è di consumi stabili, mentre l’output carbonifero dovrebbe registrare un ulteriore record nel 2025, prima di diminuire nel 2026. Anche i volumi di carbone commercializzato hanno raggiunto nuovi massimi nel 2024, ma si stima una loro diminuzione sia nel 2025 che nel 2026. Ciò si riflette sui prezzi, che dopo il picco del 2021-2022 sono scesi quasi al pari dei costi marginali di produzione.
Spesso si parla della transizione energetica come di un processo a "due velocità", con un’Occidente avanzato che corre e un Sud globale che arranca. Ma la realtà è ben più complessa e sfaccettata: la transizione è un mosaico a mille velocità, disomogeneo sia tra Paesi che all’interno dei singoli blocchi geopolitici.
Nelle ultime settimane il mondo dell’energia italiano ha visto due eventi importanti, che meritano una riflessione preoccupata. Il primo riguarda l’ultimo progetto di riorganizzazione dell’Eni, con la creazione di un contenitore, la nuova società Eie (Eni Industrial Evolution), in cui sono stati inseriti gli impianti di raffinazione ancora sopravvissuti ed il sistema di logistica primario (polmone fondamentale per l’alimentazione del sistema di distribuzione dei prodotti petroliferi).
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un cambiamento radicale nel mondo dell’energia, di cui colpisce la velocità e il suo essere imprevisto. Eventi che si sono sommati a determinare uno scenario radicalmente diverso da quello che ci si attendeva. Per questo, continuare a guardare il mondo con lo specchietto retrovisore non porta a niente, atteggiamento che si contesta all’Unione europea e al grande numero di burocrati che di fatto decidono di tutto e di più.
In un contesto economico e geopolitico sempre più incerto e teso, il tema della competitività dell’industria manifatturiera europea si impone come prioritario. Non si può pensare di fare una sana ed equa transizione se si dipende eccessivamente dall’estero e non si dà priorità alle filiere industriali europee. Di questi temi e degli impatti che l’apparato normativo europeo, troppo sbilanciato verso il “tutto elettrico”, avranno per l’industria del Vecchio Continente si è parlato all’Assemblea di Unem di ieri 12 giugno. RiEnergia, a valle dell’evento, vi propone alcune considerazioni fatte dal Presidente di Unem, Gianni Murano.
La raffinazione in Europea è in una fase di transizione. Non mi riferisco alla transizione energetica, che per ora è solo iniziata, ma piuttosto a quella da una congiuntura ad alti margini verso uno scenario meno favorevole. Sono state annunciate recentemente chiusure a Grangemouth (PetroIneos), Wesseling (Shell) e una riduzione di capacità a Gelsenkirchen (BP).