Come era prevedibile, la moratoria introdotta dall’amministrazione Biden sui progetti per l’export dell’LNG statunitense ha sollevato reazioni accese e contrastanti. La Casa Bianca e la variegata galassia ambientalista hanno salutato il provvedimento come il primo passo concreto sulla strada della decarbonizzazione annunciata con grandi fanfare alla COP28 dello scorso dicembre. Egualmente positiva è stata l’accoglienza da parte del Partito democratico e delle comunità interessate dai progetti messi in stand by. Sul fronte opposto, l’industria e larga parte del Partito repubblicano hanno parlato di un “disastro”, destinato ad avere pesanti conseguenze sul piano politico, economico e anche ambientale, ostacolando la transizione in corso in numerosi paesi asiatici dal carbone al gas naturale. Nonostante le rassicurazioni dell’amministrazione, la decisione ha sollevato, inoltre, i timori dei partner europei, che, negli ultimi anni, si sono rivolti in modo massiccio all’export statunitense di GNL per compensare il taglio delle forniture dalla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.

Da quando, nel 2008, l’amministrazione Obama ha avviato la sua politica di potenziamento del settore del gas naturale, le esportazioni statunitensi di GNL hanno subito un’impennata, che, nel 2023, ha portato il paese al primo posto della classifica mondiale, con un export totale nell’ordine degli 86 Mt. Progetti per oltre 70 Mtpa sono in via di realizzazione a Golden Pass, Corpus Christi, Plaquemines, Port Arthur e Rio Grande, con tre di questi che hanno raggiunto la fase della Final Investment Decision (FID). Undici altri progetti sono stati, inoltre, approvati dalla Federal Energy Regulatory Commission (FERC) e dal Dipartimento dell’Energia. Secondo le stime precedenti l’entrata in vigore della moratoria, grazie a questi interventi, gli Stati Uniti dovrebbero raggiungere, entro il 2028, una capacità di esportazione di oltre 160 Mtpa, più del doppio dell’attuale capacità del Qatar, secondo esportatore di GNL a livello mondiale.

Nonostante le incertezze che ancora esistono riguardo ai modi della sua applicazione, la moratoria (in vigore almeno fino a novembre e che dovrebbe permettere al Dipartimento dell'Energia di aggiornare le sue valutazioni sull'impatto dei nuovi progetti su economia, clima e sicurezza nazionale) dovrebbe impattare solo in parte su questo scenario. Il provvedimento dell’amministrazione congela, infatti, solo i progetti non ancora avviati e quelli in attesa di approvazione e interessa solo l’export diretto verso i paesi che non hanno firmato con gli Stati Uniti accordi di libero scambio. Sebbene questi ultimi rappresentino la maggior parte del mercato globale del GNL e anche se il provvedimento avrà effetto su vari interventi in via di definizione, le previsioni parlano comunque di un export statunitense destinato a raddoppiare entro il 2030, stimolato da una domanda globale che rimane in crescita (+10% nel periodo 2021-2030 secondo le stime dell’Oxford Institute for Energy Studies).

Più significative si annunciano le ricadute a livello politico. In un anno elettorale, con l’indice di gradimento del Presidente uscente sotto il 40% e in costante calo, le posizioni intorno alla moratoria assumono un’importanza particolare. Donald Trump ha già annunciato che – in caso di vittoria – cancellerà immediatamente il provvedimento, autorizzando la realizzazione di tutti gli impianti congelati “il giorno stesso del [suo] ritorno [alla Casa Bianca]”. In Congresso, oltre centocinquanta rappresentanti repubblicani hanno indirizzato una lettera aperta al Presidente, invitandolo a rivedere la decisione e ad “approvare rapidamente tutte le richieste pendenti, al fine di aumentare la fornitura globale di gas naturale”. Voci circolano anche su un possibile voto per aggirare il provvedimento. Lo Speaker della Camera, il repubblicano Mike Johnson, ha criticato duramente la scelta dell’amministrazione, che anche il Wall Street Journal ha definito la peggiore decisione presa dal Presidente Biden in campo energetico.

È comunque difficile che queste reazioni spingano la Casa Bianca a fare un passo indietro. Pur avendo incluso le politiche ambientali fra le sue priorità e fatto della lotta al cambiamento climatico una delle sue bandiere, il giudizio dell’elettorato sulla performance in questi campi appare diviso non solo lungo la (prevedibile) faglia repubblicani/democratici, ma anche dentro al partito del Presidente. Ad essere più critici sono soprattutto gli elettori più giovani: un bacino di voto che non si è mai dimostrato particolarmente entusiasta dell’elezione di Joe Biden e che ha acquistato, negli anni, un peso crescente e che appare particolarmente sensibile ai temi dell’ambiente e dell’energia. Su questo sfondo, ‘premere l’acceleratore’ sulla questione dell’export di GNL potrebbe permettere di recuperare consensi in una constituency che, negli ultimi tempi, ha dato segni crescenti di insoddisfazione, soprattutto dopo i passi falsi che l’amministrazione ha compiuto la scorsa primavera, per esempio con l’autorizzazione di nuove trivellazioni nella National Petroleum Reserve dell’Alaska.

 

Gianluca Pastori insegna Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano