Gli eventi recenti hanno sottolineato l’importanza degli Stati Uniti per il mercato petrolifero globale, ma hanno anche messo in luce quanto le dinamiche a livello mondiale influenzino gli equilibri di domanda e offerta del mercato statunitense. D’altronde, gli USA rimangono il più grande consumatore e produttore di petrolio al mondo. L’Energy Information Administration (EIA) statunitense prevede che il consumo interno di petrolio aumenterà del +0,6%, quest’anno, portandosi a 20,1 milioni di barili al giorno (mil. bbl/g), in gran parte in ragione di una maggiore richiesta di benzina, sostenuta da un contesto di continua crescita economica. Tale aumento ha una portata significativa, dal momento che gli Stati Uniti consumano un volume superiore rispetto al secondo maggior consumatore, la Cina, dove si prevede che, nel 2023, la domanda sarà in media di circa 16 mil. bbl/g.
La previsione, invece, riguardo l’offerta, indica un aumento dell’output petrolifero maggiore rispetto alla domanda: +1,3 mil. bbl/g fra greggio e prodotti. Si tratterebbe del più grande aumento di offerta registrato quest’anno a livello paese e anche il maggiore incremento conseguito dagli Stati Uniti dal 2019. Ancora una volta, l’offerta statunitense - che si attesta sui 19 mil. bbl/g - supera di gran lunga quella degli altri principali produttori, quali Arabia Saudita e Russia che possono contare su un output, rispettivamente, di circa 12 mil bbl/g e 11 mil. bbl/g (AIE).
La produzione domestica americana di petrolio è aumentata notevolmente quest’anno, nonostante l’attività di prospezione sia diminuita. Rispetto al picco raggiunto alla fine del 2022 (780 unità), infatti, il numero di rig perforati è diminuito di quasi il 20%. A garantire un maggior output è stata l’elevata produttività dei pozzi e le tecniche utilizzate dagli operatori (perforazione direzionata dei pozzi laterali più lunghi), nonché gli investimenti e i pozzi perforati l’anno scorso, quando il numero di rig è aumentato di quasi un terzo e i prezzi del petrolio hanno superato, in diversi mesi, anche i 100 doll/bbl. Tuttavia, secondo l’EIA, negli ultimi mesi, la velocità di crescita della produzione petrolifera nazionale è diminuita e in alcuni bacini l’output ha smesso di crescere.
La portata con cui è aumentata la produzione petrolifera statunitense ha sorpreso alcuni osservatori, soprattutto in ragione del fatto che i produttori nazionali continuano a risentire delle pressioni degli investitori, che richiedono una maggiore disciplina finanziaria e si concentrano sulla restituzione della liquidità agli azionisti. Eppure, prezzi sostenuti hanno consentito ai producer di aumentare i barili prodotti e allo stesso tempo mantenere ritorni economici consistenti. Detto questo, la maggior parte degli analisti converge sul fatto che lo slancio dell’offerta statunitense si indebolirà in modo significativo, soprattutto risentendo del calo delle perforazioni di quest’anno. La stima EIA DOE per il prossimo anno è di una crescita dell’offerta di petrolio di soli 0,5 mil. bbl/g.
In ragione di una produzione che quest’anno ha superato la domanda, gli Stati Uniti sono sulla buona strada per aumentare le loro esportazioni nette verso il resto del mondo. Secondo l’Energy Information Administration, l’export aumenterà di 0,4 mil. bbl/g, portandosi a 1,6 mil. bbl/g. Sebbene tale cifra appaia modesta, in realtà è indice di un’interconnessione molto più ampia tra gli Stati Uniti e il mercato petrolifero globale. Ancora oggi, i dati ufficiali mostrano che il paese a stelle e strisce importa una media di 6,5 mil. bbl/g di greggio, esportandone 4,1. Il fatto che si importino più barili di quanti se ne esportino deriva dal fatto che la qualità di greggio statunitense (relativamente leggera) non è adatta per molte raffinerie nazionali, che sono progettate per trattare varietà di greggio più pesanti, nonché a soddisfare le esigenze di un vasto paese come gli USA.
Se guardiamo ai prodotti petroliferi, economics positivi e un contesto di robusta crescita della domanda globale hanno consentito alle raffinerie statunitensi di sostenere livelli operativi elevati, nonostante una domanda interna relativamente debole. Ad oggi, gli Stati Uniti esportano ben 6,2 mil. bbl/g di prodotti raffinati, importandone 2,1 mil. bbl/g.
L’aumento dei flussi di petrolio provenienti dagli USA ha contribuito, quest’anno, a calmierare i prezzi globali ma è stato largamente compensato dai tagli produttivi da parte del gruppo OPEC+, a cui va aggiunta l’ulteriore riduzione di offerta, su base volontaria, decisa da Arabia Saudita e Russia, con i sauditi che hanno recentemente annunciato di voler estendere il taglio di 1 mil. bbl/g fino alla fine dell’anno.
Queste riduzioni dell’offerta hanno ripercussioni sul mercato del petrolio globale, compreso quello statunitense: essere autosufficienti nel settore petrolifero non è la stessa cosa che essere indipendenti. Le scorte nazionali di greggio, benzina e gasolio sono ai minimi rispetto alle medie quinquennali. Il governo federale ha acquistato piccoli volumi di petrolio greggio – circa 4 milioni di barili – per ricostituire le scorte strategiche nazionali, ma si tratta di ben poca cosa rispetto al rilascio di circa 250 milioni di barili effettuato a partire da inizio 2022.
Anche l’economia statunitense risente di tale contesto, essendo ancora particolarmente vulnerabile all’aumento dei prezzi del petrolio. Oltre ad essere il maggiore consumatore di petrolio al mondo, questo fossile rimane di gran lunga la principale fonte di energia per gli Stati Uniti con un’incidenza del 38% sul consumo energetico totale. La volatilità dei prezzi della benzina, ad esempio, ha svolto un ruolo importante nell’accentuare l’inflazione statunitense, condizionando così la fiducia dei consumatori e delle imprese… e l’indice di gradimento dei politici statunitensi.
Questa vulnerabilità è stata un fattore chiave alla base degli sforzi dell’amministrazione USA per ricostruire le relazioni con l’Arabia Saudita. Inoltre, ha condizionato la decisione relativa all’imposizione, da parte dei paesi del G7, di un tetto massimo ai prezzi delle esportazioni di petrolio russe, in cui ha prevalso un approccio lassista, e ha favorito una linea più tollerante nei confronti degli aumenti delle esportazioni di greggio di Iran e Venezuela, interessati da sanzioni.
In conclusione, probabilmente sul lungo periodo la rapida crescita dei veicoli elettrici potrebbe contribuire a ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio, ma per ora l’accesso ad approvvigionamenti sicuri e a prezzi sostenibili rimane una pietra angolare degli interessi economici e strategici del paese.
La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui