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Ancora oggi, a quasi un anno di distanza, non so dire cosa abbia attirato la mia attenzione. Era un giorno di luglio, contavo i giorni alle mie vacanze in Finlandia e scorrevo rapidamente le foto del giorno sul portale dell’Ansa. Clic, clic, clic, sempre più velocemente, senza nemmeno avere il tempo di guardarle davvero, quelle immagini. Poi, all’improvviso, mi sono fermata. Ancora, oggi, non so spiegare bene perché, ma quella foto aveva qualcosa di strano.
Risorsa preziosa e fonte di sopravvivenza per l’intero ecosistema: l’acqua è un bene essenziale da tutelare ed è in quest’ottica che viene gestita dal Gruppo Hera, una delle maggiori multiutility italiane al servizio di circa 5 milioni di cittadini in oltre 200 comuni, localizzati prevalentemente in Emilia-Romagna, Triveneto e Marche, accompagnandoli lungo il percorso della transizione ecologica, in piena coerenza con i target dell’Agenda 2030 e con le principali politiche nazionali ed europee.
A raccontarcelo - proprio alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Acqua che, come ogni anno, ricorre il 22 marzo - è il Presidente Esecutivo, Tomaso Tommasi di Vignano, da oltre venti anni alla guida del Gruppo Hera.
Messo in archivio il 2022 – l’anno meno piovoso di sempre – ecco che già a marzo ci sono le prime avvisaglie di una probabile replica nel 2023. Se il buon giorno si vede dal mattino, anche quest’anno ci sarà da soffrire. In Italia, l’agricoltura nel 2022 ha subito un calo della produzione del 10%, con punte del -45% per il mais e i foraggi e del 30% per il riso (fonte: Coldiretti). La produzione idroelettrica, invece, è passata da circa 46,9 TWh del 2021 a 29,7 TWh del 2022 (-36,7%, fonte: Terna).
La situazione attuale - caratterizzata da scarse precipitazioni - pone un forte interrogativo rispetto all’uso dell’acqua nel periodo estivo. Nel bacino del Po vengono mediamente distribuiti circa 26 mld m3 all’anno, suddivisi per i tre principali usi: civile, agricolo, industriale-idroelettrico. Ad oggi, però, la disponibilità è circa dimezzata, il che comporta l’impossibilità di soddisfare interamente i fabbisogni per gli usi sopraindicati. Tra l’altro, a questi usi, secondo quanto previsto dalla Direttiva Quadro Acque, bisogna giustamente inserire anche i fabbisogni ambientali per l’ecosistema.
Non c’è agricoltura se non c’è acqua. O meglio, se non c’è nel modo giusto e nel momento giusto. Siccità al Nord, piogge torrenziali improvvise e gelo al Sud, segno inequivocabile della tropicalizzazione che sta cambiando il volto del nostro Paese, spiegano di fatto la crisi profonda del settore agricolo, chiamato oggi a produrre sempre di più e meglio, preservando le risorse naturali.
Il 2022 è stato l’anno più caldo mai registrato in Francia dal 1947 e caratterizzato da un deficit pluviometrico del 25%. Numerosi incendi hanno imperversato in oltre 72 mila ettari di foreste, danneggiando la biodiversità e riducendo drasticamente gli introiti estivi derivati dal turismo. La siccità estrema non ha risparmiato neppure il settore energetico, già precario a causa dello stop per manutenzione del 65% delle centrali nucleari esistenti.
Dopo un anno terribile per il comparto idroelettrico, come quello registrato nel 2022, il 2023 si preannuncia altrettanto difficile. Se il settore è abituato ad alternare periodi più prosperi ad altri più difficili, non è altrettanto attrezzato a superare crisi così prolungate che rischiano di diventare sistemiche. Quale è, quindi, la reale situazione degli operatori del comparto? Quali le principali criticità da superare? Dove è possibile intervenire? Ne abbiamo parlato con Paolo Taglioli Presidente di Assoidroelettrica.
Un parco circolante di veicoli solo elettrici (BEV, battery electric vehicles) non risponde alle regole di mercato e tantomeno ad obiettivi ambientali, se non in modo parziale. Esso risponde invece ad una quota, limitata, della domanda di trasporto stradale e ad una quota, polarizzante, dell’offerta industriale. Ora vediamo i perché. Il movente è la recente delibera del Parlamento europeo che determina che tutti i veicoli immatricolati dal 2035 riducano la CO2 del 100% rispetto al 2021. Qual è, innanzi tutto, l’obiettivo reale della delibera del Parlamento Europeo?
“Cambiamenti di questo tipo non sono mai facili. Molti diranno che dobbiamo fare meno e più lentamente. Ma nella situazione in cui versa il nostro pianeta fare meno significa non fare nulla, e non possiamo permettercelo”. Con queste parole la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il 14 luglio 2021 presentava il pacchetto di proposte Fit for 55. All’interno del provvedimento insieme ai nuovi obiettivi sullo sviluppo delle rinnovabili e quelli per l’efficienza energetica degli edifici è stato inserito, dopo anni di dibattiti e pressioni, anche il nuovo regolamento per decarbonizzare il settore del trasporto leggero – auto e furgoni – con l’obiettivo di azzerare le emissioni dei veicoli nuovi a partire dal 2035.
Hanno indubbiamente avuto una grande eco le recenti dichiarazioni del Presidente Prodi in merito alla transizione all’elettrico nei trasporti. La questione verte non solo sull’impatto socioeconomico, ma sulla tesi che le istituzioni europee non abbiano trattato in modo equilibrato le diverse opzioni tecnologiche necessarie per la transizione. La ben nota “neutralità tecnologica” più volte discussa è il reale oggetto del contendere, in effetti. Il tema è in realtà noto e dibattuto da anni tra gli esperti del settore ed i ricercatori, ma probabilmente mai come adesso la discussione si è realmente accesa, a valle della decisione di Bruxelles relativa al sostanziale phasing out dei motori a combustione interna.