Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) si apprestano ad ospitare la ventottesima Conferenza delle Parti (COP 28) della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Il Summit si svolgerà in un momento d’importanza critica per la transizione energetica verso un futuro ad emissioni zero e, per la prima volta, si terrà in un paese del Golfo Persico principalmente noto per essere un grande esportatore di energie fossili.
Gli EAU, negli ultimi anni, hanno messo a punto diverse iniziative volte ad incorporare il dossier climatico tra le priorità strategiche del paese. Nel 2015, gli EAU pubblicarono la “UAE Green Agenda 2030,” un programma che combina gli obiettivi di crescita economica del paese con i suoi sforzi di decarbonizzazione. Nel 2016, gli EAU ratificarono l’Accordo di Parigi sul Clima nato da COP 21 ed inaugurano il Ministero per il Cambiamento Climatico e l’Ambiente (MOCCAE). Infine, nel 2017, viene resa pubblica la “National Climate Action Plan of the United Arab Emirates 2017-2050.” Quest’ultima iniziativa rappresentò un traguardo decisivo per il paese in quanto definì, per la prima volta, una strategia per connettere direttamente le ambizioni economiche di crescita del paese con la sua agenda climatica.
Gli EAU, essendo uno dei principali esportatori di idrocarburi al mondo, percepiscono con crescente urgenza la necessità di tagliare le emissioni di gas serra e sviluppare un sistema economico sostenibile in vista di un mondo post-petrolio. Sebbene le energie fossili continuino a soddisfare una porzione significativa del fabbisogno energetico nazionale, gli EAU hanno implementato ambiziose iniziative volte a diversificare il mix energetico nazionale attraverso l’inclusione di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Volgendo a proprio vantaggio l’elevata esposizione solare che contribuisce al clima arido del paese, gli EAU hanno investito significativamente sull’energia solare. In merito, il “Mohammed bin Rashid Al Maktoum solar park” ed il “Al Dhafra solar photovoltaic project” sono il fiore all’occhiello deli Emirati. Una volta operativi a pieno regime, i due parchi fotovoltaici avranno una capacità produttiva rispettivamente di 5 e 2 GW di energia, per un risparmio di circa 6,5 e 2,4 milioni di tonnellate di CO2 su base annuale. Un altro importante pilastro nel piano d’azione emiratino per sostenere la transizione energetica risiede nell’energia nucleare, e nello specifico nell’energia prodotta dalla centrale nucleare Barakah. Inaugurata nell’Agosto del 2020, la centrale mira a soddisfare il 25% del fabbisogno energetico nazionale producendo 5,6 GW di energia.
Per quanto il precedente summit sul cima tenutosi a Sharm El Sheikh, abbia prodotto alcuni risultati positivi – primo tra tutti la creazione del “loss and damage fund” (L&D fund) – sono altresì molti i punti rimasti irrisolti e le questioni controverse che rischiano di riaccendere le tensioni tra le parti convocate al vertice di Dubai. Riconoscendo per la prima volta la responsabilità dei paesi industrializzati nel contribuire finanziariamente al sostegno dei paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili al degrado climatico, il L&D fund rappresenta uno step rivoluzionario nella lotta agli impatti negativi del cambiamento climatico. Tuttavia, dai criteri di eleggibilità per poter accedere, alle risorse stanziate, a come i fondi verranno distribuiti e chi dovrà contribuirvi ed in che percentuale, importanti zone d’ombra restano in merito alle procedure operative del fondo. Se non risolte a COP 28, queste questioni latenti rischiano di minare il potenziale trasformativo intrinseco al fondo.
Un ulteriore elemento critico di COP 27 che probabilmente riemergerà a Dubai concerne la proposta dell’India di eliminare progressivamente tutti i combustibili fossili dal mix energetico. Naufragata dopo aver innescato un acceso scontro tra paesi esportatori ed importatori di queste fonti, la mozione sembra aver ridestato l’interesse degli stati membri dell’Unione Europea che recentemente hanno manifestato la volontà di prendere in mano il testimone al prossimo tavolo climatico a Dubai. Tuttavia, la strada verso l’eliminazione a livello globale dei combustibili fossili resta irta di ostacoli e vulnerabile a future battute d’arresto, specie considerato che le compagnie di gas e petrolio del Golfo non celano i loro progetti per ampliare le capacità di esplorazione e produzione di queste fonti.
In quanto nazione ospitante, gli EAU ricoprono un ruolo chiave nel facilitare l’emergere di un consenso generale durante i negoziati che avranno luogo durante COP 28. La sua duplice natura di paese produttore di combustibili fossili con ambiziosi target di riduzione delle emissioni di carbonio pone gli Emirati in una posizione favorevole per presentarsi come una forza mediatrice tra le parti. Fin dai primi giorni successivi alla vittoria della nomination per ospitare COP 28, gli EAU hanno fatto intendere che tre punti principali avrebbero orientato l’agenda del vertice climatico a Dubai.
Primo, i riflettori di COP 28 puntano il focus sui paesi del cosiddetto “Global South”. In opposizione alla pratica dello scaricabarile, che a lungo ha contrapposto l’uno contro l’altro paesi a basso reddito e paesi sviluppati nella ridistribuzione delle responsabilità per le emissioni di carbonio, gli EAU sostengono un approccio che pone l’accento sui limiti pratici ed economici che restringono la capacità dei paesi in via di sviluppo di costruire delle società resilienti al cambiamento climatico. Pertanto, dalla prospettiva degli Emirati, riconoscere che la lotta al surriscaldamento climatico comporti delle responsabilità comuni ma differenziate tra i paesi ricopre un ruolo tanto importante quanto rispettare gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione necessari al raggiungimento di un mondo climaticamente sicuro.
Secondo, gli EAU pongono molta enfasi sull’azione climatica capace di apportare impatti concreti e pratici nella lotta alle sfide del cambiamento climatico. A differenza di precedenti summit dove ambiziose promesse sono state generalmente seguite da scarsi risultati concreti, gli EAU puntano a far sì che COP 28 si presenti come una piattaforma capace di accelerare la messa a punto e l’implementazione di soluzioni climatiche dalla pronta attuabilità e capaci di avere un impatto immediato e reale sulla vita quotidiana degli individui e degli ecosistemi naturali.
Infine, gli EAU ambiscono a fare di COP 28 il vertice climatico con la più alta partecipazione di sempre. Si stima che oltre 140 persone tra leader di governo e capi di stato, oltre 80.000 delegati e più di 5.000 membri della stampa prenderanno parte all’evento a Expo City Dubai. Sebbene la volontà degli Emirati di raggiungere una partecipazione da record ricordi indubbiamente un calibrato esercizio di soft power, il massiccio sforzo di public diplomacy messo in piedi dagli EAU riflette delle ambizioni più profonde. Da un lato, mira a trasmettere un senso di equa rappresentazione delle diverse prospettive e priorità sul cambiamento climatico; dall’altro, ambisce a far sì che ci siano le condizioni per la messa a punto di un consenso generale quanto più trasversale ed inclusivo possibile.
Il punto nodale per i paesi esportatori di idrocarburi del Golfo Persico verte sul fatto che il cambiamento climatico costituisce tanto una gravosa sfida ambientale quanto un incombente dilemma socio-economico. Sebbene gli ambiziosi target di decarbonizzazione fissati per il 2050 sembrano di dubbia fattibilità, dato lo scenario attuale, le scelte radicali che ne faciliterebbero il raggiungimento restano difficilmente perseguibili, almeno nel breve. Per gli EAU, la transizione energetica è concepita come un processo graduale, composto da molte fasi strettamente interconnesse dove ciascuna ricopre un ruolo chiave nel lungo percorso verso un mondo ad emissioni zero. In tal senso, lo sviluppo di un modello economico sostenibile e la diminuzione drastica dalla dipendenza del budget statale dalle rendite petrolifere sono passaggi cruciali prima di poter prendere in considerazione scelte drastiche come la completa eliminazione dei combustibili fossili.
Pertanto, al fine di promuovere una transizione energetica di successo, i paesi produttori di idrocarburi devono necessariamente avere un posto a sedere al tavolo delle trattative sul clima. In merito, la decisione di nominare Sultan Ahmed Al Jaber, CEO di Abu Dhabi National Oil Company, come presidente designato di COP 28 riflette come i paesi esportatori di combustibili fossili percepiscano il cambiamento climatico e la diversificazione economica come due fenomeni strettamente interconnessi che richiedono misure coordinate.
Nonostante le inevitabili criticità, ci si aspetta che la COP di Dubai apporti delle ricadute positive sull’azione climatica grazie alla sua elevata inclusività di visioni. Portando al tavolo negoziale molte e diversificate prospettive sulle priorità e sfide del cambiamento climatico, COP 28 mira ad innescare un impulso positivo che porti a soluzioni pratiche alla lotta al surriscaldamento globale e che faccia emergere un consenso trasversale ed inclusivo nella scelta delle soluzioni per un mondo climaticamente più sicuro.