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Il mestiere del banchiere centrale è inerentemente complesso. Lo diventa ancor più sotto l’effetto della spettacolarizzazione mediatica cui – nostro malgrado – risponde oggi quell’attività che, un tempo, un certo A. Greenspan definì come quella di cui chi la esercita dovrebbe non parlarne od al massimo farlo tra le righe e con un “farfugliare incoerente”.Ed invece siamo qui – e chi vi scrive fa esercizio di astinenza al riguardo – a sondare ogni pixel delle inesauste attività comunicative multimodali delle schiere di banchieri centrali nostrani, transatlantici e del quadrante oceanico.
Recent events have underscored the importance of the United States to the global oil market…and of global supply & demand developments for the US market.
The US remains the world’s largest oil consumer…and the largest oil producer. The US Energy Information Administration (EIA) projects that domestic oil consumption will rise slightly (+0.6%) this year to 20.1 million barrels per day (Mb/d), largely due to increasing gasoline use amid continued economic growth.
Gli eventi recenti hanno sottolineato l’importanza degli Stati Uniti per il mercato petrolifero globale, ma hanno anche messo in luce quanto le dinamiche a livello mondiale influenzino gli equilibri di domanda e offerta del mercato statunitense. D’altronde, gli USA rimangono il più grande consumatore e produttore di petrolio al mondo. L’Energy Information Administration (EIA) statunitense prevede che il consumo interno di petrolio aumenterà del +0,6%, quest’anno, portandosi a 20,1 milioni di barili al giorno (mil. bbl/g), in gran parte in ragione di una maggiore richiesta di benzina, sostenuta da un contesto di continua crescita economica.
Se è vero che non è sempre facile prevedere l’andamento del prezzo del petrolio, frutto simultaneo di variabili economiche e geopolitiche, è altrettanto vero che quest’ultima corsa del Brent è stata ampiamente preannunciata, da banche d’affari, trader e accademici. Solo a titolo di esempio, già nel mese di luglio sul Blog di Energia Alberto Clo ipotizzava il raggiungimento di quota 100.
Come mai il prezzo del petrolio è diventato prevedibile? E a distanza di pochi anni da quando il WTI stupì tutto il mondo finendo sotto zero?
Lo shock legato al tentativo di golpe, materializzatosi in Russia il 24 giugno, ha investito i mercati di energia e gas? Il gruppo paramilitare Wagner, noto per le sue efferatezze, per gli innumerevoli interessi africani (Sudan, Mali, Repubblica Centrafricana) e, al contempo, per la relativa efficacia in combattimento sul fronte ucraino, ha inaspettatamente dichiarato un’insurrezione militare contro il ministero della Difesa e lo Stato Maggiore dell’Esercito, contro i quali era ai ferri corti da mesi nel quadro di fortissime rivalità e accuse di boicottaggio circa i rifornimenti militari necessari.
Un anno e mezzo, 93 miliardi di euro e un rigassificatore galleggiante più tardi, l’Italia del “dopo Ucraina” assomiglia ancora molto, forse troppo, all’Italia del “pre-Ucraina”. Con una cruciale differenza: la sicurezza energetica è tornata a essere uno dei fattori che, nella testa dei decisori politici e dunque anche degli imprenditori, condizionerà le scelte di politica energetica negli anni a venire. In questi mesi l’Italia sta entrando in una fase di transizione, che segna il passaggio da una fase di crisi acuta a una di cambiamento strutturale e riassestamento economico.
Non succede mai niente, ma quando succede, succede tutto assieme. Si potrebbe raccontare così l’esperienza vissuta sui mercati energetici a partire dalla seconda metà del 2021, quando i prezzi del gas – e conseguentemente dell’energia elettrica – sono saliti sull’ottovolante.
Breve riassunto: tre anni fa, a giugno 2020, nel pieno del Covid, il TTF si scambiava a 5 €/MWh. Fast forward: a giugno 2021 sfondava la barriera psicologica dei 30 €/MWh.
Ha qualcosa a che fare con la crisi bancaria in Europa e negli Stati Uniti la decisione di tagliare la produzione petrolifera di 1,16 milioni di barili a partire da maggio, presa a sorpresa dai paesi produttori dell’OpecPlus domenica scorsa? Sembrerebbe proprio di no. Ma allargando la visuale possono intravedersi connessioni dai tratti inquietanti tra i due fatti apparentemente estranei uno all’altro.
Il 5 dicembre sono partite le sanzioni europee sul petrolio russo, con una formula davvero originale, suggerita da non si sa quali fantasiosi consulenti. A febbraio dovrebbero partire anche le sanzioni alle importazioni dei prodotti petroliferi dalla Russia. Come funzionerà il tutto? Le navi di petrolio provenienti dalla Russia non possono essere comprate e quindi scaricate ai terminali di arrivo delle raffinerie europee.
Dai massimi di marzo scorso, quando lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina spinse il Brent ben oltre quota 100, nei mesi successivi - con qualche piroetta - il prezzo del petrolio è sceso intorno agli 80 dollari al barile, un livello da molti operatori considerato accettabile sia per i paesi produttori che per i paesi consumatori.