Il PNIEC avrebbe – in quanto documento programmatico al 2030/2040 – la possibilità di esercitare senza conseguenze immediate la virtù rara della chiarezza, almeno su obiettivi e processi già ampiamente in cantiere come la revisione del mercato elettrico e il phase out progressivo dei fossili. Eppure, come tutte le linee normative a tema FER che si sono sviluppate nell’ultimo periodo
Le Garanzie d’Origine (GO) sono certificati associabili all’energia elettrica consumata, che ne attestino in misura virtuale la provenienza da un determinato tipo di fonte rinnovabile. Il valore delle GO rappresenta di fatto la willingness to pay da parte del consumatore finale rispetto alla certificazione di tale tipo di provenienza.
Cala il sipario sul 2023 ed è tempo di bilanci per il mercato del gas. Lasciatesi alle spalle le tempeste e le secche costituite dagli aumenti estremi e dalla volatilità del 2022, il cui perdurare sui massimi sarebbe stato inconciliabile con la sopravvivenza stessa del sistema energetico europeo, la “nave” dei prezzi è approdata in acque sicuramente più calme, ancorché parzialmente insondate – con golfi, baie e insenature ancora da cartografare sotto il profilo del rischio di mercato.
Lo shock legato al tentativo di golpe, materializzatosi in Russia il 24 giugno, ha investito i mercati di energia e gas? Il gruppo paramilitare Wagner, noto per le sue efferatezze, per gli innumerevoli interessi africani (Sudan, Mali, Repubblica Centrafricana) e, al contempo, per la relativa efficacia in combattimento sul fronte ucraino, ha inaspettatamente dichiarato un’insurrezione militare contro il ministero della Difesa e lo Stato Maggiore dell’Esercito, contro i quali era ai ferri corti da mesi nel quadro di fortissime rivalità e accuse di boicottaggio circa i rifornimenti militari necessari.
L’Italia e l’Europa si stanno giocando ormai la tenuta delle proprie reti di approvvigionamento, trasporto e distribuzione di energia e gas – con i principali rischi che si addensano sui mesi invernali almeno fino ad aprile 2023. L’uso di parole così nette sarebbe parso allarmistico fino a pochi giorni fa, nonostante la guerra in Ucraina stia infuriando da ormai più di tre mesi; anche oggi non si tratta che di un’evenienza, ma tutt’altro che remota.
Come in decenni ben più oscuri di questo, parte dell’economia europea si è risvegliata in assetto di guerra. Mentre da Kharkiv a Mariupol’ e a Mykolaiv si susseguono le immagini dei bombardamenti a tappeto di quartieri residenziali, l’imponente siderurgia ucraina, di stazza ed expertise antiche ma di eredità sovietica, ha dovuto sostituire alla produzione di utensileria, condutture, scheletri per il calcestruzzo armato la fabbricazione di cavalli di Frisia, o addirittura raffreddare e fermare altoforni e colate continue e approntare dei rifugi antiaerei per i propri operai e le loro famiglie.
Durante la primavera è sembrato sempre più chiaro che le continue tensioni tra Mosca, Bruxelles e Washington stessero significativamente tralasciando di coinvolgere direttamente Nord Stream 2. A maggio, la tesi per cui nel decision-making statunitense spuntassero quanti non intendevano seriamente bloccare il gasdotto – e accollarsi le conseguenze del successivo terremoto – è stata ulteriormente suffragata da quanto emerso al Congresso. Nel rapporto dell’amministrazione Biden sulle nuove sanzioni da approvare nell’alveo del National Defense Authorization Act, si è omesso di agire direttamente contro Nord Stream 2 AG, la controllata di Gazprom direttamente a capo del consorzio, e contro il suo CEO Warnig. Silenzio assenso?