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Cina: stabilire il nuovo prima di distruggere il vecchio

La Cina non si tira indietro rispetto alle promesse fatte nel 2020: picco di emissioni e neutralità carbonica sono ancora rispettivamente gli obiettivi per il 2030 e il 2060. Ma la salita sembra più ripida di quanto immaginato e Xi chiarisce che si procederà con cautela, o meglio, in tandem: fin quando le fonti di energia rinnovabili non saranno in grado di garantire sicurezza e approvvigionamento stabile, Pechino non abbandonerà i combustibili fossili.

Più rinnovabili più benefici locali: l’appello di Elettricità Futura

Non c’è più tempo; in Italia la povertà energetica sta velocemente crescendo, a causa sia dei prezzi sia della carenza di gas. I Cittadini, le Imprese e anche le Istituzioni hanno estremo e urgente bisogno di elettricità a basso costo. Elettricità Futura, che rappresenta oltre il 70% del mercato elettrico italiano, rivolge un Appello urgente ai Governatori delle Regioni e ai Sindaci dei Comuni d’Italia per chiedere di contribuire a risolvere l’emergenza energetica autorizzando velocemente le numerose richieste di costruzione di nuovi impianti rinnovabili. Le Regioni e i Comuni possono fare la differenza e hanno la responsabilità di farlo, permettendo un rapido aumento della produzione di elettricità rinnovabile.

Per accelerare la transizione ogni ente deve dare un contribuito

Un aspetto decisivo per il decollo spinto delle rinnovabili, a tutti i livelli istituzionali, afferisce alla forte convinzione politica della necessità di accelerare la transizione energetica. Ovviamente questo elemento riguarda l’UE, che finora ha svolto un ruolo di punta, i singoli Governi - e i nostri non hanno certo brillato negli ultimi dieci anni-, le Regioni e i singoli Comuni.

Questi spingono per la transizione verso le rinnovabili con tanto maggiore convinzione quanto più chiara è la percezione di possibili ricadute in termini di riduzione del costo dell’energia, incrementi occupazionali e visibilità.

Rinnovabili: opportunità di rilancio industriale e sociale dell’Italia

L’attuale contesto geopolitico ha evidenziato i limiti del sistema energetico europeo e del nostro Paese, mostrando la sua eccessiva dipendenza da approvvigionamenti esterni, in particolare di gas naturale.

In Italia, infatti, il gas rappresenta la fonte di energia primaria più utilizzata: ricopre il 40% circa del nostro fabbisogno energetico, e ne importiamo più di 70 miliardi di metri cubi all’anno da un numero limitato di Paesi fra cui, naturalmente, la Russia. Anche solo limitandoci al settore della produzione di elettricità, il gas ne rappresenta da solo circa la metà, e da questo derivano le evidenti conseguenze sul costo finale dell’energia che stiamo sperimentando da un anno a questa parte.

Carbone e rinnovabili: il percorso parallelo dei due primati della Cina

Non si può parlare di carbone, del rimbalzo dei suoi consumi senza contestualizzare il mercato a livello globale e senza soprattutto analizzare il ruolo del principale consumatore e produttore di questa fonte, la Cina. I numeri che ruotano intorno a questo paese, infatti, sono tali che una oscillazione al rialzo o al ribasso può avere ripercussioni importanti a livello internazionale.  Ne abbiamo parlato con Corrado Clini Ex Ministro dell’Ambiente e oggi Visiting Professor presso la Tsinghua University School of Environment di Pechino

Primum vivere, deinde decarbonizzare

Nel novembre 2021, alla COP26 di Glasgow, l’Unione Europa si indignava di fronte alla proposta di Cina e India di modificare il testo finale, sostituendo il “phase out” del carbone con un più morbido phase down”. Frans Timmermans, parlando subito dopo il ministro indiano, sottolineava come l’Unione Europea fosse pronta a spingersi ben oltre per porre fine all’uso del carbone e affermavaWe know that coal has no future”, accompagnato da applausi scroscianti.

I combustibili fossili generano e aggravano le crisi

A partire dal 2016, il numero di operatori europei proprietari di centrali a carbone che hanno chiuso i loro impianti, o hanno annunciato piani di phase out al 2030, è salito a 171. E anche quest’anno, si sono aggiunti nuovi soggetti. A livello nazionale, diciassette paesi europei hanno smesso di bruciare carbone o si sono impegnati a farlo al più tardi entro il 2030 e nessun governo ha rinunciato a questa promessa.

Energia e Lavoro: aumenta l’occupazione nel settore delle energie pulite

L'occupazione nel settore energetico si modificherà rapidamente in ragione del fatto che i paesi e le imprese di tutto il mondo stanno accelerando gli sforzi per decarbonizzare e accrescere la sicurezza energetica. Un simile percorso comporta da un lato, opportunità, ma, dall’altro, sfide. Poiché i paesi che contribuiscono a oltre il 70% delle emissioni globali si sono impegnati a raggiungere le neutralità carbonica entro la metà del secolo, verranno creati decine di milioni di posti di lavoro nel settore dell'energia pulita al fine di  sviluppare e implementare le tecnologie necessarie.

La transizione come volano dell’occupazione

12 milioni: tanti erano i lavoratori già occupati nelle energie rinnovabili in tutto il mondo nel  2020, secondo IRENA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Rinnovabile diretta dall’italiano Francesco La Camera. Un terzo dei quali solo nel solare. Si badi che i dati si riferiscono al periodo pieno della pandemia e non registrano certo l’ultimo boom del solare e dell’eolico iniziato prima della crisi energetica, ma accelerato con la guerra in Ucraina.  Anche il report in uscita proprio in questi giorni, il 22 settembre, si riferirà comunque allo scorso anno.

La crisi climatica e l’impatto sull’occupazione

La crisi climatica in corso sta cambiando profondamente la sfera occupazionale, marcando non solo precise direzioni di sviluppo – un esempio su tutti, il passaggio dai motori a combustione alla mobilità elettrica – ma tracciando anche nuovi limiti dell’attività lavorativa.

Già tre anni fa, l’International Labour Organization (ILO) metteva apertamente in guardia su questo secondo, quanto trascurato, aspetto: anche contenendo il riscaldamento globale entro +1,5°C a fine secolo (e oggi siamo già attorno a 1,1°C rispetto alla media pre-industriale), entro 8 anni si perderà l’equivalente di 80 milioni di posti di lavoro a causa dello stress termico, il che comporterà perdite economiche stimate, a livello globale, in 2.400 miliardi di dollari.

L’Asia meridionale e l’Africa occidentale saranno le aree più colpite da questo problema, ma sarebbe una grave sottovalutazione non anticiparne i riflessi anche alle nostre latitudini.

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