A fine luglio dello scorso anno a conclusione del G20 Ambiente, John Kerry e Roberto Cingolani avevano espresso la delusione per la mancata adesione di Cina e India alla proposta del phase out del carbone a partire dal 2025.

Cina e India avevano confermato quanto già messo in evidenza nei programmi nazionali per l’attuazione dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici: la transizione verso emissioni zero delle due economie emergenti ha bisogno del supporto del carbone come “back up per lo sviluppo delle fonti alternative senza compromettere la sicurezza energetica.

Insomma, il carbone per Cina e India è quello che per USA, Germania e Italia è il gas naturale.

La Cina aveva confermato il suo impegno per la decarbonizzazione dell’economia entro il 2060 sulla base di un piano che prevede in parallelo

  • la crescita nel mix energetico delle fonti a emissioni zero (rinnovabili e nucleari) dal 24% nel 2030 all’84% nel 2060,
  • la continuazione dell’impiego del carbone con tecnologie “pulite” e ad alta efficienza garantite dalla costruzione di nuovi impianti in sostituzione di quelli obsoleti e da nuove attività estrattive a “basso impatto”, e secondo un piano di riduzione progressiva a partire dal 2025 e fino al 2055.

A febbraio 2022, la capacità elettrica installata della Cina è di 2.390 GW, di cui 390 idroelettrico, 330 eolico, 320 solare, 108 gas naturale e 53 nucleare, e 1.189 carbone.

Ma se la capacità installata di centrali a carbone è il 50% del totale, il carbone contribuisce per oltre 2/3 alla produzione di elettricità prevalentemente a causa della non continuità dell’energia eolica e solare e della ancora ridotta capacità di accumulo.

Questi dati spiegano due “circostanze” della situazione energetica della Cina in apparente contraddizione tra loro, ma in linea con il piano per la decarbonizzazione:

1.      la crescita accelerata delle rinnovabili (eolico e solare), a un ritmo di oltre 120 GW di capacità installata ogni anno, e dello sviluppo delle batterie di accumulo.

Dominio cinese nella produzione di tecnologie rinnovabili e batterie

Fonte: Wood Mackenzie APAC Power & Renewable Service 

La crescita, finalizzata ad aumentare la quota di elettricità “verde” oltre a quella idroelettrica, è di gran lunga superiore a quella nelle altre economie con una produzione di tecnologie e dispositivi in grado di coprire a basso costo gran parte della domanda globale (Wood MacKenzie, 2022).

A questo proposito va rilevato che le recenti “barriere” USA alla importazione di polysilicon dalla Cina hanno avuto un impatto sull’aumento dei costi dei moduli fotovoltaici.

Costi delle apparecchiature per eolico e solare comparati con i prezzi cinesi

1.      l’aumento del consumo di carbone (+5,2% nel 2021), per assicurare la sicurezza dell’erogazione di elettricità rispetto alla domanda crescente (+ 8% su base annuale).  

Fonte: Wood Mackenzie Lena Power

2.      l’aumento del consumo di carbone (+5,2% nel 2021), per assicurare la sicurezza dell’erogazione di elettricità rispetto alla domanda crescente (+ 8% su base annuale).

Consumi di carbone per regione dal 2000 al 2021

Fonte: IEA

Per quanto riguarda il carbone, è necessario ricordare che la combinazione delle indicazioni governative per ridurre i consumi e della discontinuità elettrica delle fonti rinnovabili aveva determinato nel 2021 il black out in aree urbane e industrie, con danni economici e conseguenze sociali.

In particolare era stata compromessa la capacità produttiva di molte imprese a fronte della esplosione della domanda interna e internazionale “post Covid”.

Questa è una delle ragioni per le quali il 26 gennaio scorso il presidente Xi Jinping ha ricordato che la decarbonizzione non deve compromettere la sicurezza energetica e alimentare, nè deve mettere a rischio la “normal life” della popolazione.

In Cina rinnovabili e carbone si muovono dunque su percorsi paralleli, con la previsione di una progressiva crescita delle prime rispetto alla diminuzione graduale del secondo.

Questo trend è confermato dalla riduzione dell’intensità di carbonio dell’economia cinese nel 2021, nonostante la crescita dei consumi di carbone e l’aumento del Prodotto Interno Lordo dell’8%.

L’intensità di carbonio della Cina è destinata a diminuire entro il 2030 anche per lo sviluppo del nucleare, sia sul versante dei reattori di IV generazione sia su quello dei piccoli reattori nucleari (SMR) il primo dei quali è entrato in esercizio da poco: 440 miliardi di dollari saranno investiti per l’installazione di 70 GW entro il 2025, 95 GW entro il 2035 e 110 entro il 2050.

Come è noto, l’analisi del ciclo di vita dell’energia nucleare da parte del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici ha messo in evidenza un’intensità di carbonio inferiore a quella dell’energia solare.

Stime sulla capacità totale installata di energia nucleare in Cina al 2050

Fonte: Statista 2022

Insomma, nonostante le difficoltà, il COVID, le guerre commerciali, la Cina sta confermando la direzione di marcia verso la neutralità climatica entro il 2060.

E questo è un buon segnale per l’Europa, alle prese con le sollecitazioni di chi chiede di mettere in congelatore il Green Deal. Come invece già deciso dal presidente Biden negli USA.

Tornando al G20 dell’anno scorso, forse le valutazioni di Roberto Cingolani e John Kerry sul ruolo della Cina nella decarbonizzazione dell’economia globale potrebbero essere riconsiderate.