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ACQUA & AMBIENTE | 120 ARTICOLI

La scienza, non l'ideologia, deve stare alla base delle strategie per il clima

La decisione di Trump riguardo l’accordo di Parigi ha scatenato sui media reazioni contraddistinte da un livello di disinformazione inimmaginabile. Viene dato per scontato che il riscaldamento della Terra di circa 1°C dal 1750 ad ora sia quasi totalmente imputabile alle emissioni di CO2 conseguenti l’uso dei combustibili fossili, ipotesi nota come Anthropogenic Global Warming- AGW. Si confondono inquinanti e gas serra e si afferma che i cosiddetti fenomeni estremi siano aumentati di intensità e di frequenza in questi ultimi decenni. Basterebbe il riferimento ai rapporti dell’IPCC, ente pur certamente propenso all’ipotesi AGW, per sconfessare queste asserzioni.

Cambiamenti climatici: intervista a Carlo Carraro

La ricerca scientifica sul clima fatica a trovare spazio sui media destinati al grande pubblico. In questo quadro, quale è stato il ruolo svolto dall’IPCC?

Sappiamo che i media faticano a dare spazio al tema dei cambiamenti climatici, che deve necessariamente fare i conti con la concorrenza di notizie ritenute più attraenti e sensazionali, in grado di suscitare maggior interesse dei lettori e degli utenti. Si rischia quindi di parlare di clima in poche occasioni, spesso collegate ad eventi contingenti: nel caso di eventi climatici estremi da una parte e di grandi eventi internazionali sul tema dall’altro.

Carbon Capture and Storage: un contributo alla riduzione della CO2?

Dicembre 2015 è stata una tappa fondamentale nella roadmap dei cambiamenti climatici: è la data in cui ben 196 paesi del mondo hanno concordato la necessità di limitare l'aumento del riscaldamento globale a meno di 2 gradi Celsius (°C) rispetto ai livelli pre-industriali. Quello che ancora non si conosce è la strategia che ciascun paese adotterà per abbattere le emissioni di CO2 e mantenere l’aumento di temperatura, se possibile, entro i 1,5°C. 

Emissioni in atmosfera dalle navi: l'UE e l'IMO

I combustibili marittimi a livello UE

Le norme ambientali sui combustibili per uso marittimo - previste dalla Direttiva 2012/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, con la quale sono state apportate modifiche alla Direttiva 1999/32/CE relativa al tenore di zolfo dei combustibili marittimi come modificata dalla Direttiva 2005/33/CE - hanno consentito di ridurre non soltanto le emissioni di zolfo ma, soprattutto, di particolato, segnando un chiaro passo avanti nella tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente dell’Unione Europea (UE). La Direttiva 2012/33/UE rappresenta infatti la risposta dell’UE alle norme elaborate in seno all’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO).

Riscaldamento domestico e polveri fini: lo studio Innovhub

In passato, fino agli anni ’80, si pensava che l’inquinamento atmosferico fosse esclusivamente legato al traffico ed alle industrie; negli ultimi anni è emerso in maniera sempre più evidente il peso che il riscaldamento ha nell’inquinamento dell’aria. In effetti, quando le grandi città erano circondate dalle grandi fabbriche e dalle loro ciminiere e quando le auto erano alimentate da carburanti ricchi di zolfo e di piombo, le caldaie dei condomini sembravano l’ultimo dei problemi, benché molto più inquinanti di quelle di oggi, mentre le stufe e i camini usati principalmente in campagna non erano neanche presi in considerazione. Col passare degli anni abbiamo assistito alla scomparsa di molte grandi fabbriche e quelle che restano sono state sottoposte a vincoli ambientali sempre più stringenti. Anche il settore automobilistico ha vissuto un periodo di costante miglioramento ambientale con l’introduzione di nuove tecnologie: infatti, nonostante l’incremento dei veicoli circolanti e alcuni aspetti critici, emersi anche dai recenti scandali, le emissioni correlate si sono via via ridotte. Di conseguenza, il contributo delle emissioni inquinanti prodotte dagli apparecchi e dagli impianti di riscaldamento ha assunto un peso relativo sempre maggiore. segue...

Parigi: tra fatti e retorica

A distanza di circa un anno dalla sottoscrizione dell’Accordo di Parigi, se è motivo di soddisfazione il raggiungimento della soglia di ratifiche per numero di stati e loro quota emissiva tale da consentirne l’entrata in vigore, non altrettanto può dirsi sul piano delle politiche e delle azioni concrete poste in essere dagli stati.

Quel che contrasta con l’urgenza di agire – “Action Now” campeggiava sulla Torre Eiffel nei giorni della COP21 – più volte ribadita nel testo dell’accordo. Il fattore tempo è d’altronde cruciale perché – dato il trend crescente delle emissioni – più si allunga più si accrescono i rischi dei cambiamenti climatici e i costi per fronteggiarli. Specie ove si consideri che i piani nazionali presentati in vista di Parigi, sotto la duplice ipotesi che siano compiutamente realizzati e che i risultati siano pari alle attese, consentirebbero di attenuare la curva tendenziale delle emissioni ma non di piegarla all’obiettivo fissato dei 2°C. 

Parigi-Marrakech: dove vanno le politiche climatiche?

Dove porta la traiettoria che parte da Parigi? Verso i 2°C, come scritto nel testo dell'accordo, oppure verso un punto critico, forse di non ritorno per il clima del pianeta? Ad un anno di distanza dal Paris Agreement della COP21 non emergono con sufficiente chiarezza segnali che possano dirimere la questione. I punti sono posizionati tanto nel quadrante positivo quanto in quello negativo: di qui la difficoltà di lettura.

In positivo, due punti: il fatto che a Parigi sia stato firmato un accordo voluto da tutti i paesi e, ancora, che l’accordo sia stato già ratificato. E’ stato infatti sufficiente un solo anno affinché il 5 ottobre 2016 – in seguito all’accelerazione impressa al processo di ratifica da USA e Cina a settembre – si raggiungessero le due condizioni soglia richieste per la sua entrata in vigore: ratifica da parte di 55 paesi le cui emissioni rappresentano il 55% del totale. In sostanza, l’accordo è entrato in vigore 30 giorni dopo il conseguimento delle soglie, il 4 novembre 2016. Questo secondo punto è assai rilevante se si riflette sul fatto che occorsero ben 7 anni per pervenire alla ratifica del Protocollo di Kyoto, firmato nel dicembre 1997 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005. 

Brexenergy e gli accordi multilaterali: l’Unione Europea può negoziare a COP22 senza il Regno Unito?

La crescente interconnessione con l’Europa continentale richiede necessariamente una cooperazione tra Regno Unito (UK) e il mercato interno dell’energia dell’Unione Europea (UE) qualunque sia lo scenario che si delineerà con la Brexit, così come a livello internazionale-globale. Se al Regno Unito fosse consentito partecipare all’Unione Energetica, dovrebbe negoziare una partnership adeguata con l’UE e adottare – nonché rispettare – la politica interna ed estera europea in materia.

La prima domanda da porsi è la seguente: può il Regno Unito continuare a partecipare al processo di liberalizzazione del Mercato Europeo dell’Energia (MEE) e, a sua volta, il processo di liberalizzazione del MEE può continuare senza il Regno Unito? Il secondo interrogativo cui dare risposta è: può la nuova UE negoziare in modo ottimale gli accordi multilaterali e globali in materia di energia e clima?

COP22 e i finanziamenti per i PVS: tra clima e cooperazione

COP22-Marrakech

Ed è ancora COP. In questi giorni Marrakech ha aperto le porte alla 22esima conferenza delle parti che segue, a un anno distanza, l’ultimo incontro di Parigi.

Tra le buone notizie il fatto che, a pochi giorni dall’inizio dei lavori, sia formalmente entrato in vigore l’Accordo di Parigi. Di particolare interesse, inoltre, l’uscita allo scoperto di USA e Cina, che hanno addirittura preceduto l’Unione Europea nel processo di ratifica, candidandosi a guidare il negoziato, e non solo, nel prossimo futuro.

La COP22 sarà la prima conferenza delle parti ad integrare l’agenda globale sui cambiamenti climatici con i tradizionali negoziati e per questo sono previste una serie di giornate tematiche che spaziano tra agricoltura, città, energia, foreste, affari, oceani, trasporti, acqua. Il fine è dare evidenza ad iniziative specifiche, legate alle operazioni di attori governativi e non governativi, con particolare riferimento a quelle esperienze che mirano a integrare le azioni per il clima con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.

L'Accordo di Parigi e le strategie dei 'campioni nazionali'

“Dobbiamo eseguire un trapianto di cuore su noi stessi mentre corriamo una maratona. Si può fare, e possiamo anche vincere la maratona”. Così nel consueto modo immaginifico, ai limiti del Grand-Guignol, l'a.d. di Enel Francesco Starace ha descritto il compito che si trovano ad affrontare le società energetiche di fronte alla sfida del cambiamento del clima e della transizione energetica: trasformarsi continuando a produrre utili.

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