In passato, fino agli anni ’80, si pensava che l’inquinamento atmosferico fosse esclusivamente legato al traffico ed alle industrie; negli ultimi anni è emerso in maniera sempre più evidente il peso che il riscaldamento ha nell’inquinamento dell’aria. In effetti, quando le grandi città erano circondate dalle grandi fabbriche e dalle loro ciminiere e quando le auto erano alimentate da carburanti ricchi di zolfo e di piombo, le caldaie dei condomini sembravano l’ultimo dei problemi, benché molto più inquinanti di quelle di oggi, mentre le stufe e i camini usati principalmente in campagna non erano neanche presi in considerazione. Col passare degli anni abbiamo assistito alla scomparsa di molte grandi fabbriche e quelle che restano sono state sottoposte a vincoli ambientali sempre più stringenti. Anche il settore automobilistico ha vissuto un periodo di costante miglioramento ambientale con l’introduzione di nuove tecnologie: infatti, nonostante l’incremento dei veicoli circolanti e alcuni aspetti critici, emersi anche dai recenti scandali, le emissioni correlate si sono via via ridotte. Di conseguenza, il contributo delle emissioni inquinanti prodotte dagli apparecchi e dagli impianti di riscaldamento ha assunto un peso relativo sempre maggiore.

Dai dati pubblicati da ISPRA nel 2016 risulta che oltre il 50% del PM10 e del monossido di carbonio emessi annualmente in Italia derivino dal settore residenziale. Il settore del riscaldamento domestico è infatti quello più capillarmente diffuso sul territorio, dalla grande città al piccolo paese di montagna. Per questo motivo, diviene di gran lunga la prima fonte di inquinamento specialmente in quelle aree lontane da insediamenti industriali o dagli effetti del traffico, dove emerge spesso che i livelli di inquinamento dell’aria sono tutt’altro che trascurabili, come si potrebbe pensare.

Non tutti i combustibili d’altro canto inquinano allo stesso modo: i dati ISTAT (2014) ci dicono che più del 70% delle famiglie italiane usa il metano per riscaldarsi, ma il contributo preponderante alle emissioni, in special modo di PM10, deriva principalmente dai combustibili legnosi.

Da molti anni, si è rivelata di fondamentale importanza la misura di quelli che tecnicamente si chiamano “fattori di emissione”, cioè quanti grammi di un certo inquinante, per esempio il PM10, si emettono in un certo tipo di apparecchio o di impianto quando si produce una stessa quantità di calore, bruciando differenti combustibili. Nel corso degli anni, Innovhub-Stazioni Sperimentali per l’Industria ha testato a questo scopo tutte le tipologie di combustibili impiegate nel riscaldamento domestico e civile: gasolio, gas naturale, GPL, olio combustibile, tutte le essenze legnose principalmente usate in Italia e le diverse tipologie di pellet. Le tipologie di impianti considerati variano poi dalle caldaie condominiali (fino a 500 kW) alle caldaie murali. È stato preso in esame anche il mondo degli apparecchi a biomassa: caminetti aperti, chiusi, stufe a legna, caldaie e stufe a pellet. Proprio quest’anno, Innovhub-SSI1 ha aggiornato i dati relativi a quegli apparecchi che hanno subìto recentemente i maggiori sviluppi tecnologici, vale a dire le caldaie a condensazione alimentate con combustibili gassosi e le stufe a pellet. Dalle evidenze sperimentali, e comunque in generale da tutte le fonti accreditate esaminate, emerge che soprattutto le vecchie stufe e i vecchi caminetti a legna producono migliaia o decine di migliaia di volte più PM e monossido di carbonio di una caldaia a gas o GPL a parità di calore generato e anche alcuni inquinanti particolarmente dannosi per la salute come il benzo[a]pirene sono prodotti in misura rilevante da questi apparecchi. Gli apparecchi a pellet, pur con differenze relative alla qualità del pellet e delle stufe, si collocano ad un livello circa 10 volte inferiore, mentre per gas naturale, GPL ed anche gasolio scendiamo di un altro fattore 100, arrivando ad emissioni praticamente non misurabili per alcuni inquinanti. Invece, per quanto riguarda gli ossidi di azoto che rappresentano un altro inquinante di rilievo, i valori misurati sono abbastanza simili fra i vari combustibili da riscaldamento. In questo caso, sono le emissioni uto veicolari ad essere il principale imputato.

 

Fig. 1 Fattori di emissione di riferimento per diversi combustibili considerati in impianti di combustione di piccola-media taglia.

 Fattori di emissione di riferimento per diversi combustibili considerati in impianti di combustione di piccola-media taglia.

 

Fonte: Elaborazioni Innovhub

Sul piano tecnologico, per quanto riguarda gli apparecchi di piccola taglia per il riscaldamento domestico c’è stata e c’è tutt’ora un’evoluzione importante, anche se fino a pochi anni fa la questione era principalmente incentrata sull’ottimizzazione delle tecnologie esistenti per incrementarne l’efficienza, mentre non sono state sviluppate, sulle piccole taglie domestiche, quelle tecnologie di abbattimento che invece si sono dimostrate fondamentali in altri settori, ad esempio nel campo industriale e delle auto.

È doveroso, tuttavia, considerare che l’uso delle biomasse è uno dei modi per contenere le emissioni di gas serra, essendo una fonte rinnovabile che non incrementa i livelli di CO2 fossile in atmosfera, il che ha favorito una sua diffusione come combustibile ambientalmente compatibile. Circa il 35% di tutte le energie rinnovabili prodotte in Italia nel 2014 derivano dall’uso termico delle biomasse, una quantità persino superiore alla produzione idroelettrica, cinque volte più dell’eolico e più del triplo del solare.

Ci troviamo quindi di fronte ad una contrapposizione di spinte tra l’esigenza di affrontare l’emergenza climatica globale e la necessità di ridurre l’inquinamento locale, con le sue implicazioni sulla salute, che sono anch’esse ben note. Ciò porta alla definizione di politiche che possono apparire contradditorie, in quanto da un lato si incentiva l’utilizzo delle biomasse, ad esempio attraverso strumenti quali il conto termico, al fine di sostenere ed incrementare l’uso delle fonti rinnovabili, dall’altro invece si prendono provvedimenti, a livello locale o regionale, che limitano o addirittura proibiscono l’uso di certi apparecchi a biomassa. Questo succede specialmente in quelle aree, come il bacino Padano, dove i problemi di qualità dell’aria, specialmente in termini di superamenti delle soglie di PM10 sono particolarmente sentiti. Regioni come la Lombardia e il Piemonte hanno adottato politiche che tendono a scoraggiare l’uso degli apparecchi a biomassa maggiormente inquinanti, consentendo l’utilizzo di quelli più moderni e con prestazioni migliori. In generale, infatti, ci sono livelli di emissioni differenziati in funzione della tipologia di apparecchio e della taglia. Certamente, negli ultimi anni la consapevolezza è cresciuta e anche nel campo degli apparecchi a biomassa si è osservata un’evoluzione verso tecnologie più efficienti e meno inquinanti, ma allo stato attuale permane un divario notevole fra le emissioni degli apparecchi a gas, GPL o anche a gasolio e il mondo della legna e del pellet. Un discorso a parte andrebbe fatto per le grandi centrali di teleriscaldamento a biomassa che sono dotate di sistemi di abbattimento che bloccano le emissioni, principalmente di particolato. Si può auspicare che in futuro si sviluppino, anche per i generatori di piccola taglia, delle tecnologie di abbattimento degli inquinanti che siano efficaci, così come si è fatto con gli impianti industriali e nei veicoli diesel con i filtri antiparticolato, per conseguire una significativa riduzione delle emissioni anche in questo settore.

1 Nell’ambito di uno studio comparativo commissionato da Assogasliquidi e Anigas