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Il 22 aprile è stato celebrato il 50° anniversario della Giornata Mondiale della Terra, quest'anno dedicata alla crisi climatica. La partecipazione ai vari eventi, rigorosamente online per via del lockdown, è stata massiccia, segno di una sempre maggiore sensibilità che proviene dal basso. Tuttavia, accanto ad una presa di coscienza collettiva serve uno sforzo da parte del mondo politico ed economico. Secondo Lei quali sono le direttive principali sui cui muoversi e le azioni da intraprendere per una risposta seria?
Quali saranno le ricadute della crisi economica dovuta al Coronavirus sulla lotta all'altra grande crisi globale, quella climatica? Non pochi ritengono che molti paesi concentreranno le risorse disponibili sulla prima, riducendo l'impegno sulla seconda e che il collasso del prezzo del petrolio potrebbe rendere meno competitive le energie rinnovabili. Paradossalmente, l'effetto immediato del Covid-19 sarà quello di ridurre le emissioni: un rapporto di Carbon Brief evidenzia come in febbraio le emissioni di CO2 in Cina siano state del 25% inferiori a quelle dello stesso periodo del 2019, il consumo di carbone si sia ridotto del 36% e i livelli di NO2 del 37%.
Le attuali traiettorie dell’economia si dimostrano, nella generalità dei casi, sostanzialmente disallineate rispetto alle sfide globali della sostenibilità e, più in particolare, rispetto agli obiettivi dell’Unione Europea sulla tutela dell’ambiente e sul contrasto al cambiamento climatico. Servono ingenti investimenti per colmare tale gap ed accelerare i necessari processi di transizione industriale.
La grande sfida legata ai cambiamenti climatici è stata, fino a qualche settimana fa, portata costantemente all’attenzione dai media e dall’opinione pubblica, nonché posta al centro dei più importanti dibattiti politici e tavoli di lavoro a livello mondiale, europeo e nazionale. All’emergenza climatica si è purtroppo affiancata un’altra emergenza, quella sanitaria, che ci stimola a riflettere sugli effetti positivi che l’ambiente sta ricevendo grazie alle misure adottate in questo specifico momento e sulle nuove modalità di interazione lavorativa che stiamo sperimentando e che, una volta terminata questa fase, possono essere adottate come modus operandi.
Negli ultimi anni il dibattito internazionale si è concentrato con crescente interesse sulla rilevante questione della tutela ambientale, indirizzando l’attenzione sulla transizione verso un’economia sostenibile. Il cammino lungo il sentiero dello sviluppo economico basato sulla decarbonizzazione ha subito una forte accelerazione nel 2015, quando i governi del mondo hanno raggiunto tre importanti accordi che definiscono la loro visione per i prossimi decenni:
Entro il 2040, nel mondo, circa 1 bambino su 4 vivrà in zone con uno stress idrico estremamente elevato. Oggi sono quasi 160 milioni i bambini che vivono in zone ad alta o estrema siccità. Più di 3,5 miliardi di persone - circa la metà della popolazione mondiale - soffrono di grave penuria idrica per almeno un mese all'anno, di cui circa 2 miliardi per almeno sei mesi all'anno. Inoltre, sono circa 500 milioni i bambini che vivono in zone ad altissimo rischio di inondazioni a causa di eventi meteorologici estremi come cicloni, uragani, tempeste e innalzamento del livello del mare. Questo è il motivo per cui abbiamo deciso di dedicare la Giornata Mondiale dell’Acqua, che si è celebrata lo scorso 22 marzo, a tutti i bambini del mondo: perché dobbiamo ricordarci, ogni giorno, di garantire loro il futuro che meritano.
In occasione della recente “Giornata mondiale dell'acqua” e alla luce dell’emergenza-coronavirus, Azione contro la Fame, organizzazione umanitaria internazionale leader nella lotta alla fame e alla malnutrizione, ha ribadito la centralità dell’utilizzo di acqua pulita e potabile da parte di tutti. Senza accesso a risorse idriche adeguate, non è possibile garantire l’igiene. E laddove non c’è igiene, si registra inevitabilmente un tasso più elevato di malattie. Basti pensare che la malnutrizione, per 1 bambino su 2, è ancora collegata alle cosiddette “malattie dell’acqua”.
La concentrazione dei gas-serra continua ad aumentare e sempre più rapidamente, dopo il rallentamento causato dalla crisi economica mondiale del 2008. Purtroppo, l’accelerazione delle emissioni legate alle attività umane sta causando un’accelerazione dei cambiamenti climatici (CC): la temperatura media globale è di circa 1,2°C più calda rispetto al valore pre-industriale. Siamo quindi solo a 0,3°C dal limite di 1,5°C che il rapporto IPCC considera essenziale non superare. Se guardiamo all’Europa, il riscaldamento medio è più alto, di circa 2°C gradi, con valori ancora più elevati per la regione Mediterranea e per l’Italia (circa 3°C), che si conferma come una delle più sensibili agli effetti dell’aumento delle emissioni di gas serra.
Chi promuove e difende gli interessi fossili può esultare. Per chi si batte da sempre – e, in questo 2019, assieme a milioni di giovani e meno giovani scesi a manifestare - per cercare di evitare le conseguenze più catastrofiche del riscaldamento globale, la speranza “negoziale” rimane oggi appesa a un filo.
Quanti titoli di giornale abbiamo visto sul fallimento della COP25 di Madrid? Quanti telegiornali hanno aperto annunciando che degli 11 anni rimanenti per agire oramai ne rimangono solo 8, e ne abbiamo appena buttato un altro? Quante persone sanno che i clatrati di metano presenti in Siberia che potrebbero liberarsi rappresentano una sorta di bomba atomica essendo il metano un gas serra 72 volte più potente della CO2? O che al 2100 pressoché tutti i ghiacciai sulle Alpi potrebbero essere scomparsi?