FONTI RINNOVABILI | 150 ARTICOLI
Il nesso agricoltura-clima-energia è un rapporto complesso ma fondamentale, e per questo va indagato e analizzato. L’agricoltura ha un impatto considerevole dal punto di vista emissivo, ma al tempo stesso è uno dei settori che più direttamente risente dei cambiamenti climatici. Serve un’azione mirata per contenerne l’impatto ambientale ma che al contempo non pregiudichi la competitività del settore. Da qui il connubio fra agricoltura ed energia rinnovabile, quest’ultima in grado di dare profitto all’azienda agricola e contribuire al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. Abbiamo affrontato il tema dell’agricoltura-energia con il Sottosegretario al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Giuseppe L’Abbate.
Lo stupore destato dalla “natura che riprende i suoi spazi” nel primo, quasi ingenuo lockdown si è accompagnato alla speranza di un’economia a zero impatto ambientale. Immagini satellitari di una Terra sgombra dalle emissioni ci hanno proiettato nel futuro che molti desiderano, ma le istantanee si sono sbiadite nell’incertezza radicale alimentata dal Covid-19 e nell’illusorio ritorno estivo alla normalità. Che futuro ci attende?
L’emendamento di recente approvato dall’Europarlamento per portare l’obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti al 60% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 ha spostato ancora più in alto l’asticella green dell’Unione Europea rispetto alla già ambiziosa proposta della Commissione. Quest’ultima, solo lo scorso 17 settembre, aveva fissato un più contenuto target del 55% nell’ambito del 2030 Climate Target Plan, comunque significativamente più sfidante del valore del 40%
Il sistema elettrico sta evolvendo in modo irreversibile verso una nuova dimensione policentrica e diffusa sui territori: questo cambiamento di paradigma enfatizza ulteriormente i problemi di trasferimento energetico dai punti di produzione agli utenti finali. Non ci troviamo più di fronte ad un flusso unidirezionale, ma in una situazione di integrazione e interdipendenza. I territori, perciò, dal punto di vista energetico stanno mutando da spazio passivo, attraversato dall’infrastruttura, a campo attivo interconnesso attraverso l’infrastruttura stessa.
Oggi l’Italia, così come il resto del mondo, deve affrontare una difficile fase di ripartenza. I cambiamenti che negli ultimi mesi hanno stravolto la quotidianità di vita e lavoro richiamano, con ancor maggior forza e urgenza, alla necessità di costruire un sistema economico resiliente e sostenibile.
La sfida lanciata dall’Europa, candidatasi a diventare nel 2050 il primo continente climate-neutral al mondo, è un’opportunità storica.
Con il documento “A Hydrogen Strategy for a climate-neutral Europe”, pubblicato lo scorso 8 luglio, la Commissione europea ha auspicabilmente posto fine all’annoso dibattito in merito alla dicotomia tra vettori energetici da utilizzare nel processo di decarbonizzazione al 2050. Se è vero che il perimetro tracciato presuppone una spinta all’elettrificazione dei consumi (intorno al 50% del mix energetico al 2050), è altrettanto vero che taluni settori c.d. hard to abate – oggi alimentati a gas naturale – difficilmente potranno essere decarbonizzati attraverso le FER elettriche se non a fronte di ingenti costi di switching o di sistema. Due esempi su tutti: l’industria siderurgica e il trasporto pesante (o navale).
La versatilità del tessuto economico italiano, fatto di grandi operatori e aziende, ma anche di imprese di medie e piccole dimensioni e di start-up che si dedicano all’innovazione, pongono il paese in una situazione fertile per la creazione di valore nella filiera dell’idrogeno. L’Italia può, infatti, ambire ad una posizione strategica in tutte le fasi, dalla produzione alla logistica, dal trasporto al consumo, che si tratti di mobilità, industria o residenziale.
Produrre acciaio con idrogeno in modo sostenibile non vuol dire solo cambiare tecnologia, ma cambiare il modo di fare impresa siderurgica. Si tratta di un cambio culturale nei rapporti con il territorio in cui l’azienda opera. Questo è possibile grazie ad una peculiarità dell’idrogeno che lo avvicina all’elettricità: l’idrogeno è di chi lo fa!
Aziende come l’ex Ilva di Taranto sono figlie di una concezione per cui una grande azienda poteva essere insediata in un territorio “qualunque”: attorno si sarebbero costruite le relazioni e le infrastrutture per far “girare” quell’impresa a prescindere dalla realtà, le risorse e le specificità del territorio stesso.
Sulla scia dell’ Hydrogen Strategy for a climate-neutral Europe, i paesi europei stanno elaborando le proprie strategie allineandole ai Piani Energia e Clima. Anche l’Italia dovrebbe procedere in questa direzione in ragione del ruolo chiave coperto da questo vettore nel processo di transizione energetica. A che punto siamo? Facciamo il punto con Cristina Maggi, Direttrice H2IT - Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile
Nel dicembre scorso, l’appena insediata nuova Commissione europea ha proposto un European Green Deal con l’ambizioso obiettivo – unica area al mondo – di conseguire la neutralità carbonica al 2050. Se così fosse, i target sulle emissioni precedentemente fissati, andrebbero rivisti al rialzo. Che ruolo avrà l'idrogeno nel raggiungimento di questo nuovo obiettivo? Quale ulteriore sforzo dovrà fare l'Italia in materia di sviluppo di questo vettore?
La Sardegna è circondata da immensi spazi di mare che offrono maggiore ventosità rispetto alla già buona risorsa eolica sulla terraferma, la cui potenza installata ammonta a 1.055 MW e contribuisce per il 20% del fabbisogno elettrico dell’isola. Quindi, alla luce degli impegni per il clima sottoscritti dall’Italia, e dell’obiettivo di incrementare il contributo delle fonti rinnovabili al fabbisogno energetico, perché non sfruttare il mare della Sardegna installando turbine eoliche offshore?