Il treno della transizione viaggia (ben) più lentamente del previsto e il percorso per arrivare alla neutralità climatica appare più tortuoso e in salita, con gli affollati vagoni di coda – quelli del trasporto stradale – che sembrano rallentare l’intero convoglio. E ci riferiamo alla sola Unione Europea che pure, con norme sempre più stringenti, si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica (bilanciare le emissioni di origine antropica con il loro assorbimento) entro il 2050, come previsto dall’accordo di Parigi, negoziato nel 2015 durante la COP21 e sottoscritto dall’UE nel 2016.
Le cose non stanno procedendo affatto come previsto nei piani industriali e auspicato dai regolamenti dell’Unione, che pure sono stati cruciali nel determinare i primi. La diffusione di autovetture elettriche, considerate a zero emissioni per convenzione (a prescindere dall’energia utilizzata nell’uso e nella produzione) e designate dalle norme come mezzo principe per raggiungere l’obiettivo del 2050 è più lenta del previsto. E questo nonostante il numero dei modelli elettrici sia di molto aumentato: almeno del 45%, osservando solo gli ultimi dodici mesi.
In Italia, e ancor di più nel resto dell’UE, si può scegliere tra 155 autovetture elettriche, ormai ben assortite per prezzo, dimensioni e caratteristiche d’utilizzo. Grazie all’arrivo di vetture più economiche ci sarebbe dovuto essere un numero molto maggiore di consumatori disposti ad avvicinarsi all’elettrico, ma così non è stato.
Nel frattempo la crisi del settore auto – certificata da ultimo dalle dimissioni improvvise dell’amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares e finalmente al centro dell’attenzione mediatica - è andata aggravandosi con fondati presupposti per peggiorare ulteriormente, anche sul piano della decarbonizzazione.
Nel 2025, infatti, la gran parte delle case automobilistiche operanti nell’UE, se non aumenteranno significativamente la percentuale di vetture elettriche vendute, dovranno scegliere se pagare onerosissime sanzioni (stimate, considerando anche i veicoli commerciali leggeri, per un ammontare di 15 miliardi di euro) o fabbricare meno auto non elettriche.
È chiaro però che, così, da un lato la crisi diventerebbe sempre più pesante perché, oltre all’impatto sulla produzione e dunque sulla forza lavoro e sui mancati guadagni, si comprometterebbe ancor di più il rapporto con i clienti; dall’altro, si rallenterebbe ulteriormente il rinnovo del parco circolante.
Sulle sanzioni la discussione ormai – anche se il tempo stringe – è più sul come intervenire, così da non penalizzare i pochi costruttori in linea con gli obiettivi, che sulla correzione in sé, perché il contraccolpo industriale sarebbe troppo elevato, tanto più per l’incombere dei nuovi entranti cinesi, in grado di offrire, forti anche della sovrapproduzione e degli aiuti domestici, gamme variegate con il giusto mix e di autovetture elettriche e non.
Del resto tutti i produttori (anche per limitare le preoccupazioni degli azionisti), e non solo per l’Europa, si sono già spostati su traiettorie di sviluppo più ibride, posticipando il lancio di nuovi modelli elettrici e, contestualmente, rinviando le riduzioni di investimenti sulle vetture endotermiche. Di fatto il contrario di quanto avveniva qualche anno fa, quando il mantra, premiato dagli analisti finanziari, ma ignorato dai consumatori, era correre anzi anticipare la corsa verso il tutto elettrico.
È, tuttavia, sul piano della decarbonizzazione che la velocità pare del tutto insufficiente. La nuova offerta, plasmata dalle regole UE, non sembra incontrare preferenze e bisogni dei consumatori, che – nonostante incentivi e penalizzazioni – non sostituiscono le autovetture per periodi sempre più lunghi: l’età del media del parco automobilistico dell’Unione Europea è aumentata di 4 mesi dal 2021 al 2022, mentre il numero di vetture in circolazioni è cresciuto di oltre 3 milioni (che si aggiungono ai 247 milioni già su strada).
La strategia UE di puntare sul nuovo, in particolare sull’elettrico, a cinque lustri dal 2050, continua purtroppo ad apparire più come una scommessa che una soluzione. E in Italia ancor più degli altri Paesi, a fine 2024, nonostante i generosi incentivi erogati durante l’anno, le autovetture elettriche circolanti saranno (ben) al di sotto dalle 300 mila unità, a fronte di un parco non elettrico prossimo se non superiore ai 41 milioni.
Cifra dalla quale si potrebbero tranquillamente escludere i quasi 4 milioni di autovetture ultratrentennali e anche molte altre, ma che comunque pare molto lontana dall’essere anche solo in gran parte sostituibile nei prossimi 25 anni.
Il parco circolante italiano, però, è secondo solo a quello tedesco (dove pure le immatricolazioni di vetture elettriche sono in flessione di oltre il 26% rispetto al 2023), tanto che ben un sesto di tutte le vetture che circolano sulle strade dell’UE ha targa italiana.
La decarbonizzazione europea dovrà necessariamente passare da quella del nostro Paese e dunque dalle scelte dei consumatori italiani. Converrebbe tenerne più conto.