I costi dei cambiamenti climatici derivanti dall’aumento delle emissioni di gas a effetto serra (CO2, metano, N2O ed altri) sono stimati in media in 418 dollari per tonnellata di CO2 emessa, in un intervallo di valori che può variare da 177 a 805 dollari. Con una tassazione media sulle emissioni da 0 a 30 dollari per tonnellata di CO2 - ed applicata solo ad una frazione delle emissioni, con notevoli differenze da paese a paese - è evidente come una riduzione delle emissioni equivalenti di CO2 (ovvero considerando nell’insieme anche le emissioni di altri gas ad effetti serra quale il metano) costituisca un obiettivo primario tanto in Europa quanto nel resto del mondo, non solo dal punto di vista ambientale e sociale, ma anche da un punto di vista economico.
Se in una visione prospettica, anche se probabilmente meno lontana di quello che si ritiene, la sostituzione dei combustibili fossili rappresenta la soluzione (con vantaggi non solo ambientali, ma anche geopolitici ed economici), nel breve termine per mitigare l'impatto bisogna chiudere in maniera più efficace il ciclo del carbonio. Questo è illustrato schematicamente nella figura che segue, in cui si evidenzia come il sistema odierno si basi su un ciclo molto lento di formazione dei combustibili fossili, mentre un loro uso crescente ne determina l’esaurimento ed uno sbilanciamento tra quantità di CO2 emessa e capacità del sistema naturale (ciclo naturale del carbonio) di catturarla e convertirla. Il risultato è un aumento crescente delle emissioni di CO2 nell’atmosfera con i conseguenti effetti negativi sul clima che tutti conosciamo. L’uso di biomasse come alternative ai combustibili fossili per produrre i vettori energetici oggi in uso (benzine, gasolio, ecc.), per quanto riduca i tempi di conversione, non è sufficiente per compensare in maniera efficace lo sbilanciamento tra emissioni e consumi di CO2.
Confronto tra i cicli attuali e futuri nella produzione ed uso di combustibili
Fonte: elaborazioni dell’autore
Introducendo, invece, un ciclo veloce che utilizza la CO2 come sorgente di carbonio e l’energia solare come fonte di energia (diretta o indiretta tramite la produzione intermedia di energia elettrica rinnovabile), ovvero creando un percorso di fotosintesi artificiale per produrre combustibili solari, non solo si riduce la dipendenza da combustibili fossili, ma si elimina lo sbilanciamento tra produzione di CO2 e la sua conversione in cicli naturali.
Vi sono diversi metodi che permettono di convertire la CO2 e l’H2O in metanolo o altri prodotti che possono essere convertiti in olefine od aromatici, feedstock dell’attuale petrolchimica, oppure usati direttamente sia come combustibili che come prodotti chimici. In futuro, inoltre, con i miglioramenti tecnologici, invece della formazione intermedia, si potranno avere dispositivi integrati, detti fotoelettrocatalitici o foglie artificiali, ove si utilizzerà direttamente energia solare, acqua e CO2 per produrre metano, metanolo od altri prodotti chimici e/o combustibili.
Attraverso questi vettori energetici è possibile l'utilizzo differito di energia rinnovabile, superando gli attuali limiti delle fonti rinnovabili tradizionali: la fluttuazione su base giornaliera e stagionale e la difficoltà al trasporto su lunga scala, che al contrario costituiscono i vantaggi dei combustibili fossili. Passare ad un ciclo di vita circolare della CO2è quindi un elemento cruciale per il raggiungimento di un’economia che possa dirsi sostenibile.
Infatti, rispetto al ciclo naturale del carbonio, un’economia lineare - ove si utilizzano risorse finite (come i combustibili fossili) per generare l’energia e i materiali oggi in uso - produce CO2 come sottoprodotto finale, alterando l’equilibrio dell’ecosistema. Basti pensare che ad oggi i combustibili fossili sono utilizzati per circa il 92% per generare energia, mentre solo per il restante 8% come materia prima – la cosiddetta fonte di carbonio - per produrre i materiali e i prodotti chimici su cui è basato in gran parte il nostro attuale stile di vita.
Al fine di compensare questa stortura si può ricorrere, ad esempio, allo stoccaggio della CO2, che però presenta costi notevoli sia da un punto di vista economico che ambientale.
Un approccio più valido e razionale, specie in un’ottica di economia circolare, prevede di riconvertire la CO2 di nuovo in combustibile attraverso l’utilizzo di energia rinnovabile. Una soluzione che permette non solo di ridurre l’uso di fonti fossili e conseguenti emissioni di CO2, ma anche di favorire l’introduzione di energia rinnovabile nel ciclo energetico.
Economia lineare vs economia circolare nell’utilizzo di combustibili e produzione di CO2
Fonte: Elaborazione dell’autore
È stato spesso obiettato, in particolare da parte dei fautori dello stoccaggio della CO2, che il riciclo dell’anidride carbonica (spesso indicato come CCU - carbon capture and utilization, diverso da CCS - carbon capture and sequestration) non sia praticabile su larga scala, per gli utilizzi limitati dei prodotti di conversione della CO2. Si tratta di un’affermazione erronea per varie ragioni. Poiché invece di catturare la CO2 emessa da impianti di produzione di energia e stoccarla nel sottosuolo o sotto il mare (ovvero eliminare la polvere di casa mettendola sotto il tappeto), il riciclo permette di generare combustibili solari.
Inoltre, si contribuirebbe ad una trasformazione del modello di sviluppo attuale: da centralizzato (grossi impianti di produzione di energia) a distribuito, con impianti che si integrano molto meglio con il territorio e utenti che da consumatori diventano prosumers, quindi protagonisti del ciclo di produzione e della creazione di nuove economie locali.
Merita ancora evidenziare che nel CCS, solo la metà della CO2 sequestrata è effettivamente rimossa, visti gli ingenti costi di cattura e stoccaggio. Sulla base, infatti, dei pochi casi industriali di CCS (in particolare abbinata ad EOR - enhanced oil recovery) attualmente operativi, si stimano costi superiori a 120-140 dollari per tonnellata di CO2 rimossa. Al contrario, invece, la CCU è possibile con costi significativamente inferiori (circa la metà), un fattore non di poco conto che si andrebbe ad aggiungere agli ulteriori benefici in termini di integrazione con il territorio e aumento dell’occupazione.
Tuttavia, è innegabile che ad oggi la principale barriera all’introduzione su larga scala di tecnologie CCU non sia di tipo economico, ma piuttosto di natura tecnologica, ragione per cui occorre incentivare la ricerca in questo ambito.
I primi passi sono già stati compiuti e varie iniziative sono state inaugurate a livello europeo, proprio per accelerare la realizzazione di queste tecnologie. ENERGY-X (Transformative chemistry for a sustainable energy future) e SUNRISE (Solar energy for a circular economy) ne sono due esempi. Attorno a questi progetti si è creata un’estesa comunità scientifica, anche italiana, che coinvolge sia i principali centri di ricerca nel settore che numerose industrie e stakeholders. Tra le azioni dimostrative previste vi è quella di due aeroporti verdi (Copenhagen e Catania) che utilizzano combustibili solari (da CO2) per rifornire gli aerei. Altre iniziative di notevoli dimensioni sono in atto in Germania, ad esempio il progetto Carbon2Chem per riutilizzare la CO2 prodotta da grandi sorgenti di emissione come l’industria dell’acciaio.
Tutti questi progetti non faranno altro che corroborare la tesi per cui il riutilizzo della CO2 svolgerà un ruolo cruciale nella transizione energetica verso una nuova economia sostenibile basata sulla minimizzazione dell’utilizzo di combustibili fossili