Nelle ultime settimane, il mondo ha assistito attonito e impotente alle immagini dei vasti incendi nella Foresta Amazzonica e nella zona centrale del continente africano, che si sono aggiunti a quelli che hanno devastato nei mesi scorsi i boschi della Siberia: emergenze che hanno riacceso il dibattito pubblico sulla deforestazione e sull’importanza dei “polmoni verdi” del mondo. Si tratta quindi, pur nella tragedia, di una buona occasione per chiederci quale sia lo stato di salute dei “polmoni verdi” europei e in particolare italiani, e per vedere se i governi UE, che giustamente hanno criticato le scelte del Brasile sull’Amazzonia, stiano dando il buon esempio in termini di gestione forestale.
Le foreste italiane ed europee sono in riespansione, principalmente a seguito dell’abbandono dei terreni agricoli nelle zone marginali. Dopo una drastica riduzione delle foreste cominciata in epoca romana e con il suo picco massimo tra il XVII e gli inizi del XX secolo, nell’ultimo secolo si è infatti assistito ad una ripresa del patrimonio boschivo. Ma questo dato da solo non dice tutto. Poiché contemporaneamente il fenomeno della deforestazione è purtroppo ancora diffuso, seppure avvenga con modalità differenti rispetto a quelle che interessano la Foresta Amazzonica. La distruzione talvolta avviene per delle cause naturali, eventi climatici estremi come la tempesta Vaia in Trentino; ma soprattutto e più frequentemente per cause antropiche, come i gravi incendi dolosi, l’introduzione di patogeni, l’urbanizzazione e lo sfruttamento selvaggio.
Eppure troppo spesso ci si dimentica di quanto devastante possa essere la distruzione di una foresta. Un organismo complesso, dove ogni pianta, ogni animale, ogni fungo svolge una funzione peculiare. E’ inoltre, ricca di biodiversità, efficiente nell’accumulare carbonio e trasferirlo nella catena alimentare, avendo raggiunto appieno le proprie potenzialità strutturali e funzionali.
Tuttavia, affinché questo processo naturale abbia luogo, il bosco deve essere vetusto, e non deve essere eccessivamente sfruttato per la produzione di legname. Il taglio periodico degli alberi più grandi, infatti, anche se lascia sul terreno le piante più giovani, impoverisce la struttura dell’intera foresta e la sua ricchezza in biodiversità, mettendo a rischio il territorio dal punto di vista idrogeologico, costituendo un pericolo per le riserve idriche e per la conservazione della flora e della fauna. Questo è il caso, purtroppo, di molte, troppe foreste italiane, tagliate dopo 50-70 anni e, nei casi più gravi, gestite come ceduo e tagliate a intervalli di soli 30-40 anni. Cicli di taglio troppo brevi, che non permettono al bosco di rigenerare quanto perduto e ne alterano le dinamiche naturali, banalizzando la multifunzionalità del bosco, assottigliando gli strati di humus, riserva di carbonio sottratta all’aria, riducendo le potenzialità biologiche di multifunzionalità del bosco e facendo ripartire dall’inizio il processo di acquisizione di complessità biologica guadagnata a fatica. Le aree coperte da foreste vetuste, o almeno opportunamente invecchiate, sono sempre più ridotte e separate fra di loro da zone urbanizzate o sfruttate in altro modo, e non offrono un habitat sufficiente per le specie animali e vegetali, in particolare quelle minacciate.
Un caso recente di tagli riguarda i boschi litorali e montani, che rischiano di essere compromessi da piani antincendio o da interventi atti a limitare eventuali danni patogeni, che potrebbero essere evitati. Le pulizie del sottobosco rischiano inoltre di ridurre i boschi a un mero insieme di alberi, alienati dal loro sistema.
È chiaro quindi come parlare semplicemente di espansione delle foreste in Italia, facendone una questione di superficie, possa essere fuorviante, e rischi di far passare sotto silenzio lo sfruttamento intensivo che ogni giorno lascia i nostri boschi mutilati e impoveriti.
Qual è l’atteggiamento della politica nazionale ed europea in materia? Purtroppo, non molto propositivo e anzi rischia di andare in direzione opposta: con leggi e facilitazioni economiche che mirano a un significativo aumento del prelievo di legname dalle foreste italiane. Inoltre, ad aggravare la situazione l’aumento del numero delle centrali a biomassa, che con il loro costante bisogno di combustibile, costituisce un ulteriore pericolo.
Cosa fare quindi? Anche se si intervenisse subito, fermando l’eccessivo sfruttamento a scopo commerciale, servirà molto tempo affinché i nostri boschi tornino in salute, e diventino foreste vetuste.
La riforestazione può essere molto utile, ma non è una soluzione da applicare ovunque, e sempre con la consapevolezza che giovani alberi appena piantati non sono un degno sostituto di una foresta bruciata o abbattuta, ma solo l’inizio di un processo di guarigione che durerà decenni. Quando ripiantiamo una foresta, dobbiamo ricordare che saranno i nostri nipoti, e non noi, a rivederla in tutto il suo splendore. La riforestazione è una soluzione particolarmente adatta per terreni degradati, a rischio idrogeologico, o in ambiente urbano. Terreni che non mancano affatto in Italia, e che spesso sono inutilizzabili o non più convenienti per la produzione agricola: si può quindi riforestare senza sottrarre spazio all’agricoltura. Il rimboschimento dei terreni in precedenza boscati è un’altra valida soluzione, moderatamente applicabile in Italia; mentre può risultare un’ottima iniziativa per le zone tropicali del mondo, in particolare quelle più a rischio desertificazione.
Invece, per quanto riguarda le foreste distrutte da incendi o eventi climatici estremi, non si deve dare per scontato che l’intervento dell’uomo sia la soluzione migliore. La foresta ha una grande capacità di ripresa, se rispettata e lasciata ricrescere. Risulta però essenziale lasciare il materiale legnoso morto a terra (cosa che purtroppo spesso non avviene) che funge da protezione del terreno dal dilavamento e fornisce un importante apporto di materia organica al suolo. In alcuni casi, quindi, è meglio che l’uomo faccia un passo indietro, lasciando fare alla natura, e concentrandosi su terreni e habitat che invece hanno bisogno dell’intervento umano per riprendersi, come la rinaturalizzazione delle zone inquinate o cementificate.
Un esempio tra tanti, di come sarebbe forse meglio non intervenire con opere di riforestazione è il caso del Monte Pisano o Monte Serra (Toscana, Pisa) dove nell’autunno 2018 sono avvenuti vasti incendi distribuiti in due eventi. Da osservazioni svolte a fine agosto bisogna considerare che la situazione si è già del tutto normalizzata in modo naturale: gli esemplari di specie come la ginestra arborea, il ginestrone o la dafne gnidio sono stati annullati nella parte aerea dal fuoco ma non in quella radicale, e a distanza di un anno stanno rigettando vigorosamente dal ceppo, mentre se si parla delle specie arboree il pino marittimo (specie eliofila, che si avvantaggia del fuoco) si sta già rinnovando cospicuamente (si contano alla data attuale di fine agosto circa 5-8 semenzali di pino marittimo ogni due metri quadrati).
Monte Serra: situazione prima e dopo (dettaglio su ginestra e pini marittimi)
Gli incendi, insomma, sono solo uno dei molti pericoli per le foreste di tutto il mondo. E per limitarli l’unica soluzione è diminuire gli appetiti degli speculatori. È importante che i media e tutti i cittadini tengano alta l’attenzione non solo sull’Amazzonia, ma anche sui problemi che spesso affliggono il nostro patrimonio boschivo, nel silenzio generale, anche davanti casa nostra.
L’Italia e l’Europa devono rivedere completamente la propria politica forestale, riducendo lo sfruttamento delle foreste a scopo commerciale, aumentando le aree protette e investendo sulla conservazione degli habitat naturali. È quindi imperativo e quanto mai urgente agire per salvaguardare l’esistente e ripristinare parte di quanto è stato perduto in termini di patrimonio forestale.
Il Fondo Forestale Italiano nasce con l’idea di combattere i cambiamenti climatici e proteggere la biodiversità creando nuove foreste e conservando quelle esistenti. Vuole quindi costituire sul suolo italiano un fondo inalienabile di terreni in corso di rinaturalizzazione o coperti da foreste e lasciati alla loro evoluzione naturale, nella consapevolezza del loro ruolo fondamentale per la salute del pianeta e di tutto gli animali che lo abitano, inclusi gli esseri umani.