La decarbonizzazione delle società ed in particolare del sistema energetico, oltre ad essere ormai un tema all’ordine del giorno nel dibattito pubblico globale, è uno degli argomenti più dibattuti, sia nel mondo della politica che in quello della ricerca. L’evidenza scientifica raggiunta oggigiorno sul legame tra le attività dell’uomo e i cambiamenti climatici pone il settore energetico dinnanzi ad una grossa responsabilità. Secondo i dati del World Resources Institute, infatti, l’energia contribuisce per più del 70% al rilascio di emissioni di carbonio nell’atmosfera terrestre.

Un processo di decarbonizzazione che ha come obiettivo finale il raggiungimento di “emissioni zero” richiede perciò una lunga transizione, durante la quale l’apporto della tecnologia rappresenta un alleato chiave. E per nostra fortuna vi sono diverse tecnologie che già oggi sono in grado di sostenere una riduzione delle emissioni di carbonio mantenendo al contempo un’ampia disponibilità di energia. Tra queste vi sono certamente 1) quelle che consentono un aumento dell’efficienza dei sistemi, e quindi una conseguente riduzione del consumo di combustibili fossili; 2) le fonti energetiche a basso o nullo contenuto di carbonio (gas naturale, rinnovabili, nucleare); 3) i processi di separazione della CO2 prodotta nella trasformazione dei combustibili fossili e il confinamento della stessa; 4) le tecnologie che permettono un maggiore assorbimento di CO2 da parte dell’ecosistema.

Ma vediamo nel dettaglio le diverse opzioni:

Efficienza negli usi finali

In generale l’obiettivo dell’aumento dell’efficienza negli usi finali presenta risvolti positivi sia in chiave economica che gestionale, ma diventa particolarmente rilevante quando lo si guarda da un punto di vista di riduzione delle emissioni di carbonio, soprattutto fino a quando la produzione di energia si baserà su un mix che include una componente significativa di combustibili fossili.

Un esempio per tutti è quello della mobilità, dove la sola introduzione dei veicoli elettrici non basta a raggiungere l’obiettivo “emissioni zero”, in quanto l’energia elettrica viene ancora in parte prodotta a partire da combustibili fossili.

Fonti rinnovabili e combustibili a basso contenuto di carbonio

A partire dalla rivoluzione industriale si è assistito ad un fenomeno continuo di sostituzione dei combustibili principali con altri a più basso contenuto di carbonio.

Transizione del sistema energetico

Fonte: Elaborata da Global energy system transition, 1850–2150. GHK Company

Come si evince dalla figura, nel corso degli anni si è passati dal legno al carbone, al petrolio, al gas naturale e ciò – dato molto interessante - è avvenuto anche molto prima che si cominciasse a parlare di cambiamenti climatici. Il prossimo passaggio prevede il ricorso massiccio alle fonti rinnovabili, per le quali il contenuto di carbonio è zero, magari accompagnate dalla diffusione di vettori energetici che ne permettano il massimo utilizzo in tutti i settori, come l’energia elettrica e l’idrogeno.

Una tecnologia che sicuramente è necessaria per lo sfruttamento ottimale delle fonti rinnovabili, per loro natura intermittenti, è quello dell’accumulo dell’energia, sia utilizzando le batterie che, in prospettiva, attraverso il cosiddetto power-to-gas. Si tratta di una tecnologia che, utilizzando principalmente la produzione di idrogeno da fonti rinnovabili (elettrolisi da fotovoltaico o eolico), permette la conversione dell’energia elettrica prodotta e non utilizzabile in combustibile: sia direttamente idrogeno sia metano prodotto dalla combinazione dell’idrogeno con la CO2, più facilmente accumulabile dell’energia elettrica, anche per lunghi periodi.

Separazione e confinamento della CO2 (CCS e CCUS)

Le tecnologie della CCS (Carbon Capture and Storage) e della CCUS (Carbon Capture, Utilization and Storage) possono essere viste come un “ponte tecnologico” per ridurre le emissioni, almeno finché la produzione da fonti rinnovabili non sarà adottata su larga scala. L’obiettivo della CCS e CCUS è, infatti, quello di rendere l’utilizzo di combustibili fossili compatibile con la necessità di ridurre le emissioni di carbonio.

Di CCS si parla da decenni, ma nonostante l’impegno profuso in ricerca a livello mondiale non c’è ancora nemmeno una grande centrale che usi questa tecnologia: nel 2016, ultimo anno con dati disponibili, sono stati dotati di prototipi di CCS solo 110 MW di impianti termici.

La cattura della CO2 può essere ottenuta ricorrendo a tre diverse tecnologie: la cattura post-combustione; la cattura pre–combustione; l’ossicombustione. Per tutte e tre le famiglie esistono diverse soluzioni tecnologiche, ma esse condividono la difficoltà della separazione di composti da una corrente gassosa.

Nel caso della cattura post-combustione, la CO2 viene separata dai fumi a valle del processo di combustione, ma il fatto che la CO2 sia abbastanza diluita (con concentrazioni in volume di circa 8-14%) rende il processo difficile e poco efficiente. Inoltre, vista la difficoltà impiantistica, è preferibile applicare tale processo solo su grandi impianti, come ad esempio le centrali di produzione elettrica, mentre non si presta per produzioni distribuite di piccola potenza, veicoli e generazione distribuita.

Diverso è il caso della cattura pre-combustione, che prevede la produzione di un “syngas”, che fondamentalmente è una miscela di CO2 e H2 a partire da combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale), dal quale isolare la CO2 (questa volta a concentrazione molto più elevata, >30%) ed ottenere, con una buona efficienza, idrogeno utilizzabile in tutte le applicazioni, dalle grandi centrali, al trasporto, alla generazione distribuita.

Nel caso, infine, della ossicombustione è l’ossigeno ad essere separato dall’aria in modo da effettuare la combustione con esso, ottenendo in questo caso - come prodotto incondensabile del processo - CO2 pura, pronta per essere confinata o utilizzata. La complessità impiantistica della separazione dell’ossigeno dall’aria rende questo processo, come la cattura post-combustione, idoneo solo su grandi impianti.

È chiaro quindi come lo sfruttamento migliore delle potenzialità della cattura della CO2 si possa ottenere solamente immaginando un sistema energetico che utilizzi l’idrogeno come vettore energetico in tutte le sue applicazioni.

La CO2 catturata nei processi, di cui abbiamo parlato, deve naturalmente essere confinata, in modo da non dover essere reimmessa in atmosfera. Anche qui le tecnologie proposte sono molteplici e vanno dall’utilizzo della anidride carbonica in ambito industriale, al confinamento geologico, alla mineralizzazione per produrre materiali solidi.

Conclusioni

Come ha recentemente mostrato l’International Energy Agency (vedi fig. seguente), nonostante l’impegno che a livello globale i governi dichiarano di mettere nello sviluppo delle cosiddette “clean technologies”, sono ancora molti i settori tecnologici dove è necessario incrementare lo sforzo per rimanere sul percorso che può portarci ad una limitazione accettabile dell’aumento della temperatura media globale (1,5-2 °C).

Il potenziale delle tecnologie energetiche pulite rimane sotto utilizzato

Fonte: Elaborazione di RiEnergia su dati © OECD/IEA 2017 Energy Technologies Perspectives 2017 - Webinar International Energy Agency , IEA Publishing. Licence: www.iea.org/t&c

La sfida è enorme, sia per le oggettive difficoltà tecnologiche e finanziarie che per aspetti legati al comportamento umano. Infatti, sono tutti concordi nel ritenere che l’introduzione di nuove tecnologie, per quanto positive e piene di vantaggi, segua nella maggioranza dei casi quello che Gartner ha chiamato Hype cycle. Quando una nuova innovazione si presenta, indipendentemente dal settore di utilizzo, l’entusiasmo iniziale porta ad una sovra-aspettativa dei risultati, che si vorrebbero in tempi rapidi. Tuttavia, prima che le aspettative ed i risultati tornino in sintonia, segue sempre un periodo di “disillusione”, in cui generalmente le risorse vengono a mancare, facendo sì che solo una piccola percentuale dei prodotti inizialmente sviluppati arrivi finalmente sul mercato.