Aziende “digitali” come Amazon, Netflix e Airbnb hanno radicalmente modificato i loro settori e l'esperienza del cliente, guidati da una forte cultura dell'innovazione e imponendo un nuovo ritmo al resto del mercato. In modo analogo, anche per il settore Oil & Gas le opportunità offerte dalla trasformazione digitale sono oggi notevolmente differenti rispetto al passato. L’integrazione di dispositivi intelligenti, la disponibilità di network a basso costo e di un'enorme capacità di elaborazione dati basata sulla tecnologia cloud ha cambiato il modo di “fare analisi” a tutti i livelli dell'organizzazione.
Quello della digitalizzazione è un percorso che è ancora agli albori per molte imprese italiane: i primi risultati dell’ultimo Censimento permanente condotto dall’Istat mostrano che nel periodo 2016-2018 oltre tre quarti (il 77,5%) delle imprese con almeno 10 addetti ha investito in – o comunque utilizzato – almeno una delle 11 tecnologie individuate come fattori chiave di digitalizzazione, ma il feeling con le tecnologie digitali per ora rimane basso
50 miliardi di dispositivi saranno connessi entro la fine del 2020. Dalla nascita dell’Internet of Things a cavallo tra il 2008 e il 2009, ovvero il momento in cui il numero dei dispositivi connessi ha superato il numero degli abitanti della Terra, i device intelligenti sono più che quintuplicati in un decennio. Di conseguenza, la quantità di dati prodotti è aumentata esponenzialmente, proiettando il genere umano verso una società digitale e creando una vera e propria realtà parallela connessa.
Si dice che l’HPC5, il nuovo supercalcolatore di Eni, sia l’infrastruttura di supercalcolo non governativa più potente al mondo, è così?
Il dato di performance di HPC5 è certificato da una classifica riconosciuta internazionalmente, chiamata top500 e consultabile sul web, che elenca i 500 supercalcolatori più veloci al mondo. Questa classifica viene aggiornata due volte all’anno, a novembre e a giugno, per cui attualmente HPC5 ancora non compare, ma la sua dimensione è tale per cui nel momento in cui eseguiremo l’applicazione utilizzata come benchmark di riferimento la prestazione misurata si attesterà verosimilmente attorno alla quinta o sesta posizione.
Nel mondo contemporaneo si vanno progressivamente affermando nuove forme di possesso e utilizzo dell’autovettura che stanno, in misura sempre più significativa, modificando il concetto stesso di mobilità privata. Se la proprietà di una o più autovetture è stato il modo in cui tradizionalmente gran parte della popolazione italiana ha provveduto a dare risposta alla propria esigenza di mobilità, oggi questo paradigma si va in parte modificando.
Alzare lo sguardo, tra un cambio treno e l’altro, e ritrovarsi a scrutare un’enorme mappa antica della città. È quel che può capitare ai visitatori e ai cittadini di Delft, centro dei Paesi Bassi dove nel 2015 è stata inaugurata la nuova stazione ferroviaria firmata Mecanoo Architecten: sul soffitto, una sequenza di strisce ondulate riproduce una cartina del 1870 nei colori del bianco e del celebre ‘azzurro di Delft’, legando passato, presente e futuro. Delft, come Helsinki, Firenze, Milano, Napoli, Potenza. Città europee che hanno raccolto una sfida dagli originali contorni e dalle molteplici soluzioni: unire ambiente, mobilità e architettura.
Cose Vecchie di ieri.
Auto. T.I.N.A. (“There is no alternative”) per 100 anni: macchina termica a combustione interna, rendimento massimo 22%, peso minimo di 1000 kg, utile a movimentare singola persona umana di 70kg, spesso per pochi km. Bella, fiammeggiante, veloce ma più che altro: nostra! Mia!
Centri urbani, tecnologia, sfide di mercato. La transizione verso una mobilità realmente sostenibile passa attraverso una serie di nodi cruciali. Quali sciogliere per primi e come arrivare al famoso bandolo della matassa? Ne abbiamo parlato con Umberto Bertelè, professore emerito di Strategia e presidente degli Osservatori Digital Innovation al Politecnico di Milano.
Sempre più spesso i centri urbani vengono indicati tra i protagonisti della transizione verso la mobilità sostenibile. È davvero così? Si tratta di un terreno di gioco ideale?
Esiste ormai una sorta di unanimismo crescente intorno ad una visione acritica e superficiale di ambientalismo “nostrano”, che ritiene che una spruzzata di vernice dalle cento sfumature di verde sia la soluzione dei giganteschi problemi ambientali a livello mondiale. È il risultato della trasformazione dei movimenti ambientalisti in forme elitarie e spesso lobbistiche, che ha finito per staccarlo dal legame con gli obiettivi realistici del miglioramento dei processi produttivi sostenibili, per relegarlo in una sfera di aspirazioni autoreferenziali ed ideologiche, a volte, facilmente strumentalizzabili da forze economiche e politiche di parte.
Il settore dei trasporti sta vivendo una rapida accelerazione verso la decarbonizzazione, sia a livello globale che europeo. Alcune forme di trasporto, aeronautico o marittimo, sono per loro stessa natura a carattere prevalentemente globale, pur avendo delle componenti “regionali” altrettanto rilevanti. Le policy di sostenibilità e le relative norme di regolamentazione vengono quindi elaborate in contesti più ampi e complessi della sola Unione Europea, peraltro a sua volta già notevolmente articolata.