ACQUA & AMBIENTE | 149 ARTICOLI
L’evoluzione dei prezzi dei permessi di emissione è stata piuttosto turbolenta quest’anno, così come d’altronde lo è stato il clima economico globale. La pandemia da Covid-19 ha spiazzato tutti i mercati presentando scenari completamente nuovi, i quali hanno cambiato, forse per sempre, alcune regole del gioco. In soli 4 mesi, tra marzo e luglio, abbiamo visto le EUA raggiungere i minimi degli ultimi 2 anni ed i massimi degli ultimi 14, record quasi assoluto considerando che il meccanismo ETS esiste dal 2005.
In anticipo su molti competitor, Eni si è data il 2040 come scadenza per raggiungere le zero emissioni nette. Contestualmente, dal 2018 al 2050 punta a ridurre del 55% l’intensità carbonica delle proprie attività. Abbiamo chiesto all'Ing. Carmela Sarli (Subsurface and Wells R&D manager) di illustrarci la nuova strategia di transizione di Eni.
Come siete arrivati a definire i nuovi target? Quali sono gli step intermedi previsti? Quale la metodologia di cui Eni intende avvalersi per calcolare le riduzioni lungo tutto il ciclo di vita produttivo?
Si tratta di obiettivi molto ambiziosi che abbiamo definito costruendo un piano di azioni integrate volte alla riduzione dell’intensità carbonica delle nostre attività. In particolare, Eni intende aumentare l'efficienza per ridurre al minimo le emissioni dirette di CO2 nelle sue attività convenzionali; aumentare la quantità di gas naturale nel suo portafoglio; sviluppare energie rinnovabili ed imprese verdi, con un approccio circolare che massimizzi l'uso dei rifiuti come materia prima e il recupero di beni in disuso o recuperati; sviluppare nuove tecnologie volte a catturare e utilizzare in maniera più efficace le emissioni di carbonio (CCUS) e promuovere progetti di conservazione forestale.
Per poter risponder a pieno alle sfide che il cambiamento climatico ci pone davanti, è necessario un cambio di rotta nell’attuale paradigma energetico ed industriale. Le energie rinnovabili continueranno la corsa verso una loro piena affermazione nel campo della produzione di energia elettrica evitando di immettere ulteriore CO2 nell’atmosfera e nell’idrosfera. Purtroppo in alcuni settori dell’industria, le emissioni di CO2 sono necessarie perché legate alla trasformazione della materia prima.
Come noto il 31 dicembre 2019, l'OMS China Country Office è stato informato della presenza di casi di polmonite di eziologia sconosciuta, per un totale di 44 pazienti, rilevati nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Con il diffondersi dell’epidemia in Italia, a partire dal 31 gennaio il Governo e diverse Regioni hanno emanato provvedimenti via via più severi per limitare la diffusione del contagio tra la popolazione.
La pandemia Covid-19 fu segnalata all’inizio come un cigno nero, ovvero come un evento a probabilità zero, secondo la ben nota definizione di N.N. Taleb. Niente di più sbagliato, se si considera che avvisaglie di zoonosi virali epidemiche, AIDS, Ebola, MERS, SARS, sono arrivate in continuazione in questi ultimi anni. La definizione di focolai asiatici e africani ci ha spinto alla falsa idea che si trattasse di problemi altrui. Così, i piani pandemici e la medicina territoriale sono stati declassati in tutto l’Occidente.
Dall'inizio del 2020 stiamo vivendo un paradosso planetario che potremmo definire socio-ambientale. Da un lato, il mondo viene sconvolto dalla più grave pandemia degli ultimi 100 anni, che sta mettendo in evidenza le vulnerabilità della struttura socio-economica della società in cui viviamo: centinaia di migliaia di decessi; milioni di contagiati; sistemi sanitari al collasso; crisi economiche senza precedenti; distanziamento sociale estremo.
Il 22 aprile è stato celebrato il 50° anniversario della Giornata Mondiale della Terra, quest'anno dedicata alla crisi climatica. La partecipazione ai vari eventi, rigorosamente online per via del lockdown, è stata massiccia, segno di una sempre maggiore sensibilità che proviene dal basso. Tuttavia, accanto ad una presa di coscienza collettiva serve uno sforzo da parte del mondo politico ed economico. Secondo Lei quali sono le direttive principali sui cui muoversi e le azioni da intraprendere per una risposta seria?
Il panorama della quarantena forzata che gli italiani stanno vivendo, se da un lato è il riflesso della crisi sanitaria che il Paese sta affrontando, dall’altro offre spunti di analisi interessanti, specie per quanto riguarda la qualità dell’aria che i cittadini della Pianura padana sono abituati a respirare. Il primo dato che emerge dalle analisi elaborate da un team di esperti del Sistema nazionale di protezione ambientale (SNPA) riguarda il biossido di azoto (NO2), che tra gli inquinanti dell’aria, è quello che più rapidamente risponde alle variazioni delle emissioni e viene prodotto da tutti i processi di combustione, compresi quelli derivanti dal traffico veicolare.
Che cos’è il Green Deal europeo? Null’altro che l’atto finale di una storia di difesa del clima iniziata più di venti anni fa. Nel 1996 l’Unione Europea propone un obiettivo di contenimento della temperatura di 2°C: occorrerà attendere venti anni prima che gli altri paesi, con il Paris Agreement, adottino lo stesso traguardo; poi nel 1997 a Kyoto, propone un target di riduzione delle emissioni del 15%, fantascienza per l’epoca.
La minaccia Covid-19 alimenta l’ombra della recessione, ma gli operatori sul mercato dei permessi di emissione sembrano essere più lungimiranti.
Appare ormai innegabile come la diffusione del Covid-19 abbia avuto un impatto a 360° sui mercati di tutto il mondo e come nel giro di un paio di mesi siano cambiate le prospettive a medio termine di una lunga lista di settori.