Dall'inizio del 2020 stiamo vivendo un paradosso planetario che potremmo definire socio-ambientale. Da un lato, il mondo viene sconvolto dalla più grave pandemia degli ultimi 100 anni, che sta mettendo in evidenza le vulnerabilità della struttura socio-economica della società in cui viviamo: centinaia di migliaia di decessi; milioni di contagiati; sistemi sanitari al collasso; crisi economiche senza precedenti; distanziamento sociale estremo. Dall'altro, il pianeta forse non è mai stato così bene negli ultimi 70 anni: l'inquinamento di aria e acqua è a minimi storici; le emissioni di gas serra, che sono la causa principale del riscaldamento globale, hanno subìto un brusco arresto; l'inquinamento ottico e acustico è ridotto; le acque delle coste sono limpide e brulicanti di pesci (persino a Venezia); la fauna è libera di muoversi nei suoi habitat naturali. Come è possibile questo paradosso, che era ugualmente valido, ma al contrario, prima della pandemia? La risposta non può essere che una: la nostra società è ormai completamente disconnessa dal resto del pianeta.

Il punto di svolta rappresentato dalla rinascita dopo il picco della crisi pandemica del Coronavirus ci pone quindi domande, e se vogliamo opportunità, tanto epocali quanto urgenti: tornare ad uno stile di vita e una società strutturata come prima della pandemia o cambiare? È possibile una società che salvaguardi sia il benessere degli esseri umani che quello del pianeta? È possibile perseguire un ambiente sano senza passare da una crisi economica?

Una cosa è certa. Se qualcosa non cambierà riprenderanno le dinamiche che hanno portato alla gestazione di crisi ambientali - non certo scomparse per il Coronavirus - che potrebbero essere potenzialmente più gravi della pandemia COVID-19. In primis, il cambiamento climatico. Il 2019 è stato il secondo anno più caldo negli ultimi 150 anni (dopo il 2016) ed il più caldo in Europa; è stato caratterizzato da anomalie climatiche senza precedenti: ad esempio, le ondate di calore che hanno alimentato i devastanti incendi in Australia e nelle zone Artiche; lo scioglimento accelerato dei ghiacci della Groenlandia; numerose alluvioni in tutti i continenti (compreso l'allagamento di Venezia); e, in Italia, la tempesta Vaia che già nell’Ottobre 2018, ha raso al suolo intere foreste sulle Dolomiti. C'è poi l'inquinamento dell'aria, che causa la morte prematura di 5-7 milioni di persone ogni anno, ma che non viene definita una pandemia; il danneggiamento delle coste legato all'innalzamento del livello del mare; il calo di fertilità dei suoli, eccessivamente sfruttati; la perdita di biodiversità, che per alcuni è una delle concause che hanno veicolato le epidemie sviluppate nell'ultimo decennio; l'inquinamento dell'acqua da plastiche e altri agenti chimici; e la lista potrebbe prolungarsi di molto.

Queste crisi, già al centro dell'opinione pubblica prima della crisi COVID-19 che ora giustamente monopolizza i media mondiali, sono ancora irrisolte e dovranno essere affrontate con risolutezza.

Al centro del paradosso socio-ambientale c’è il tema dell'energia. Oggi, circa l'80% del fabbisogno energetico mondiale viene fornito da combustibili fossili: petrolio, carbone e gas naturale. L'uso di questi combustibili, tuttavia, comporta la produzione di anidride carbonica, il principale gas serra responsabile del riscaldamento globale, e di altri inquinanti atmosferici dannosi per la salute, come il particolato fine. Ma senza energia non ci può essere sviluppo. Come si esce, quindi, da questo paradosso? La soluzione sta nel favorire lo sviluppo e la diffusione di tecnologie di produzione di energia da fonti rinnovabili pulite, come bioenergia, fotovoltaico, eolico, idroelettrico e geotermico, in grado di contribuire alla sostituzione graduale delle fonti fossili.

Tuttavia, a livello mondiale, le rinnovabili soddisfano ancora una quota relativamente piccola del consumo totale finale di energia, circa il 18% (e circa il 26% della generazione di energia elettrica), anche se il loro utilizzo sta crescendo rapidamente non solo in Europa, ma anche in paesi trainanti come Stati Uniti, Cina e India. A guidarne la crescita una sempre maggiore concorrenzialità in termini di costo rispetto alle fonti tradizionali, destinata ad ampliarsi con il progresso tecnologico e lo sviluppo di nuove promettenti fonti di energia, come quella prodotta dalle onde e correnti marine.

Un altro tema fondamentale da considerare è quello dell'efficienza. Senza voler ricorrere a un cliché, oggi viviamo nella società dello spreco. Circa il 60-65% dell'energia prodotta viene persa nel processo di produzione, trasporto e utilizzo; circa un terzo del cibo prodotto viene sprecato, e considerando la quantità di acqua necessaria per produrlo il danno è duplice. A titolo di esempio: per produrre un kg di carne bovina servono circa 15.000 litri d'acqua. Inoltre, l’allevamento intensivo del bestiame costituisce la maggiore sorgente di metano, un altro gas serra importante. L'efficienza energetica è quindi un passaggio fondamentale nella lotta al cambiamento climatico e più in generale nella salvaguardia dell'ambiente.

Questi dati, per quanto preoccupanti, mostrano però come esistano dei margini di intervento e come sia possibile, anche se certamente non facile, avviare una riconversione socio-economica ed energetica che ci porti fuori dal paradosso socio-ambientale, migliorando così la qualità della vita delle persone e dell'ambiente, insieme all'economia. Non credo che questo richieda rivoluzioni tecnologiche, ma sicuramente un riallineamento culturale ed una visione a lungo termine per una gestione più razionale, efficiente ed equa delle risorse limitate del pianeta. Ho aggiunto "equa", perché la natura ci insegna che da un punto di vista ecosistemico l'accentramento di risorse nelle mani di pochi e la conseguente povertà e debolezza di molti (oggi circa il 50% della ricchezza globale è nelle mani dell'1% della popolazione) aumenta la vulnerabilità di un sistema.

La ripartenza ci offre dunque una grandissima opportunità di cambiare rotta rispetto al passato. Uno dei motivi che ha reso la pandemia così dirompente è stata l'impreparazione della società ad affrontarla, e in particolare dei sistemi sanitari, anche perché il virus era sconosciuto.  Oggi però la scienza conosce molto delle crisi ambientali che incombono sul nostro futuro e sta mandando allarmi da anni. L'impreparazione e la mancanza di azione, quindi, non sono più giustificate. L'Italia è presa come esempio per il coraggio e la coscienza civile con cui sta affrontando la pandemia COVID-19. E’ auspicabile che possa essere presa come esempio anche per una rinascita che tenga conto dell'importanza della salvaguardia dell'ambiente per il benessere dei cittadini e per il buon funzionamento della società civile.