La pandemia Covid-19 fu segnalata all’inizio come un cigno nero, ovvero come un evento a probabilità zero, secondo la ben nota definizione di N.N. Taleb. Niente di più sbagliato, se si considera che avvisaglie di zoonosi virali epidemiche, AIDS, Ebola, MERS, SARS, sono arrivate in continuazione in questi ultimi anni. La definizione di focolai asiatici e africani ci ha spinto alla falsa idea che si trattasse di problemi altrui. Così, i piani pandemici e la medicina territoriale sono stati declassati in tutto l’Occidente. Oggi impariamo dalla Corea del Sud, paese ad alto sviluppo tecnologico e sociale, che la preparedness alle epidemie, come per il Giappone e la California ai terremoti, può salvare la vita a milioni di persone.
Ma abbiamo una chance per il dopo Covid-19: imparare dall’esperienza. Tutti i governi sono stati messi alla frusta dal coronavirus. Hanno commesso una serie incredibile di errori di visione, di strategia e di azione pratica, errori che non si devono ripetere in fase di ripartenza. Non sfugge che vi siano tristi coincidenze tra la crisi in atto e quelle che temiamo saranno le prime gravi manifestazioni del cambiamento climatico. Queste possono comparire improvvisamente, con gradi elevati di impatto sulla popolazione e con gravità e durata imprevedibili. Potrebbero, si teme, essere addirittura irreversibili. Dal 2015, ossia dall’Accordo di Parigi in avanti, tutti i paesi del mondo sono avvertiti, eppure l’azione politica ristagna. Farsi trovare impreparati una seconda volta sarebbe intollerabile.
Tra cambiamenti climatici ed inquinamento dell’aria c’è uno stretto legame. La cronaca e la ricerca scientifica stanno dimostrando che le popolazioni esposte a lungo all’inquinamento dell'aria, come in Lombardia, pagano un prezzo altissimo al coronavirus, quando già oltre 5 milioni di persone in tutto il mondo muoiono prematuramente ogni anno a causa del degrado della qualità dell’aria. Non sorprende che questa crisi globale stia portando a una riduzione della domanda di energia e delle emissioni globali di gas serra. Eppure, si tratterebbe a fine anno, secondo la World Meteorological Organization, di una contrazione delle emissioni su scala globale del 5-6% che sappiamo essere una misura inadeguata al contenimento del riscaldamento terrestre a fine secolo entro gli 1,5 – 2 °C, per il quale ci siamo impegnati a Parigi.
Servono politiche e misure innovative di vasta portata, un intervento pubblico - nazionale ed europeo - di dimensioni mai viste prima e un impegno straordinario dei governi, dei cittadini e delle imprese. Un numero crescente di prove dimostra che il perseguimento di una crescita a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima è il modo migliore per sbloccare durevolmente benefici economici e sociali. Si calcola che un'azione decisa per il clima potrebbe offrire benefici economici globali netti tra oggi e il 2030 pari a 26.000 miliardi di dollari, con la creazione di oltre 65 milioni di nuovi posti di lavoro. Tutto ciò è possibile conservando una adeguata consapevolezza, una visione condivisa e scelte chiare, con un’accelerazione del Green Deal europeo e italiano, con la promozione delle fonti rinnovabili, del risparmio energetico e della decarbonizzazione, a partire dalla conferma del phase out delle centrali elettriche (italiane) a carbone entro il 2025.
Il Green Deal è la via da seguire per una più forte e duratura ripresa, perché valorizza le migliori potenzialità dell’Italia: le sue produzioni di qualità, sempre più green; la circolarità dei modelli di produzione, distribuzione e consumo; il riciclo dei rifiuti, pilastro dell’economia circolare come le fonti rinnovabili di energia e le smart grid elettriche lo sono per un’economia climaticamente neutra. In pari misura, il Green Deal valorizza il modello italiano di agricoltura sostenibile, strategica per la sicurezza alimentare e all’avanguardia in fatto di bioeconomia rigenerativa. È l’occasione giusta per rilanciare un vasto programma di rigenerazione urbana in chiave di transizione energetica, che comprende una nuova mobilità, decarbonizzata, elettrica e condivisa. L’Europa e l’Italia debbono conservare il ruolo di punta nelle politiche di mitigazione climatica, sostenendo il carbon pricing, rafforzando il sistema ETS non meno che il negoziato multilaterale sul clima a partire dalla COP26, nonostante il suo rinvio di dodici mesi, dalla cooperazione internazionale e dal rinnovato sostegno al Fondo per il clima (GCF).
L’attuale crisi sanitaria ha posto definitivamente in luce le potenzialità dello smart working e dello smart learning, con prospettive promettenti di riduzione della mobilità e vantaggi per il clima e la qualità dell’aria. Potremo recuperare l’antico ritardo italiano sul terreno dell’innovazione digitale che può contribuire a migliorare il lavoro, lo studio e la cura della nostra salute, riducendo la nostra impronta ecologica e realizzando una barriera di monitoraggio, difesa ed early warning per la salute, per il degrado ambientale, la qualità dell’aria ed il clima.
Tutto ciò comporta un aumento ed una focalizzazione degli investimenti pubblici e privati verso la conversione alla sostenibilità di un’economia malata e bisognosa di un forte rilancio, per il quale è indispensabile una più matura sensibilità dei cittadini in fatto di consumi, non ultimi quelli alimentari, attualmente insostenibili, iniquamente distribuiti e gravati da uno spreco superiore ad un terzo delle risorse. La lezione della pandemia apre la strada ad un rinnovato ruolo dello Stato nei settori strategici nei quali il mercato non basta più, e nella protezione dei beni comuni essenziali come l’ambiente, la ricerca, l’istruzione e, a fortiori, la sanità pubblica.
La difesa del nostro fragile territorio nazionale ha ricevuto di recente una certa attenzione da parte delle politiche pubbliche, ma non si può ignorare che abbiamo perso di vista il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che sarebbe stato molto utile per fronteggiare la stessa pandemia. Senza politiche pubbliche non sarà possibile l’accelerazione della transizione energetica con un rilancio delle fonti rinnovabili, della rete elettrica, dell’efficienza energetica e di un nuovo sistema di trasporto decarbonizzato, smart e sostenibile. Una nuova economia costruita su catene del valore più corte e sulle eccellenze nazionali permetterebbe inoltre un aumento delle esportazioni rispetto alle importazioni, in particolare dei combustibili fossili, rendendo così meno difficile porre mano alla eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente. Gli aiuti alle imprese dovranno essere condizionati dagli obiettivi climatici e di sviluppo sostenibile. Il disegno, i piani e le misure di questa transizione, rispettosa degli equilibri sociali, devono essere intrapresi senza esitazioni nella trasformazione economica e sociale che farà seguito alla crisi sanitaria per garantire una difesa strategica dei livelli occupazionali, dell’innovazione e delle risorse industriali del nostro Paese a fronte di un quadro commerciale compromesso e di possibili rischi a carico della presenza italiana sui mercati.
Che ci piaccia o no, il mondo è cambiato, sembra completamente diverso da come ci appariva qualche mese fa e probabilmente non sarà più lo stesso e dovremo scegliere un nuovo modo di procedere. Sono parole di Greta Thunberg, semplici, dette in occasione della Giornata della Terra del 22 aprile dell’anno del Covid-19.