La minaccia Covid-19 alimenta l’ombra della recessione, ma gli operatori sul mercato dei permessi di emissione sembrano essere più lungimiranti.
Appare ormai innegabile come la diffusione del Covid-19 abbia avuto un impatto a 360° sui mercati di tutto il mondo e come nel giro di un paio di mesi siano cambiate le prospettive a medio termine di una lunga lista di settori.
Tagli del PIL, forzatura di nuovi modelli di business e organizzazione del lavoro, settori in allarme con conseguenze disastrose sul giro d’affari (es. turismo) mentre altri improvvisamente esplodono (es. disinfettanti), sono circostanze che hanno preso il mondo di sorpresa e l’hanno messo di fronte alla necessità di trovare soluzioni di emergenza. Non si può sostenere che i mercati dei permessi di emissione siano rimasti esclusi da tale clima di sfiducia ma, seppur si sia effettivamente verificata una contrazione dei prezzi, i marketplace della CO2 appaiono forse in migliore stato di salute rispetto a quelli di altri derivati o commodity. Vediamo quale sia stato il ruolo di ciascuna forza in gioco.
Le aspettative
Queste giocano da sempre un ruolo fondamentale sull’andamento di qualsiasi borsa. Data l’esistenza solo teorica di mercati perfettamente efficienti, gli operatori si trovano a fare i conti con le asimmetrie informative che caratterizzano quelli reali. Prendendo come esempio l’apprezzamento di un titolo azionario che intraprende il suo percorso rialzista man mano che, ad esempio, vengono resi noti i risultati aziendali nei vari quarter, che vengono condivisi prospetti positivi con gli azionisti o che si diffondono notizie rassicuranti riguardo la performance della quotata in questione, appare evidente che il sempre più probabile ‘stacco del dividendo’ venga prezzato con anticipo dalla borsa, di fatto spingendo al rialzo il prezzo del titolo.
La possibilità di prevedere un avvenimento e la facilità di anticiparlo in modo corretto fanno sì che le borse non vengano scosse quando tale evento si verifica ‘come da copione’. Tuttavia, queste tremano o addirittura collassano quando si verifica l’inaspettato.
Rimanendo in ambito CO2, non dobbiamo andare troppo indietro nel tempo per trovare esempi in cui uno strappo delle quotazioni è stato causato dal realizzarsi di un imprevisto.
I risultati del referendum sulla Brexit del 24 giugno 2016 fanno sì che il prezzo di borsa dell’EUA (rif. EUA DEC20) perda il 21% in 5 giorni; l’elezione di Trump porta le quotazioni a lasciare sul terreno il 30% in 18 giorni; Theresa May che annulla il voto sull’accordo Brexit a poche settimane dalla fine del 2018, con i membri del suo partito che le remano contro, calcia al rialzo l’EUA del 16% in 5 giorni. Variazioni repentine e prossime al 10% le troviamo nell’esempio visibile in figura, dettate dalle recenti notizie legate alla diffusione del coronavirus.
Appare evidente, quindi, che le novità riguardo la diffusione di un virus super-infettivo abbiano velocemente alimentato una sfiducia propagatasi poi a macchia d’olio. Questa è culminata nei tagli delle aspettative di crescita mondiali per il 2020, stravolgendo quelle appena pubblicate a fine 2019. Durante l’ultima settimana di febbraio i principali listini hanno perso circa l’11% in capitalizzazione, è tornato a salire lo spread e a scendere il petrolio; tutto ciò nell’ombra minacciosa della recessione.
Andamento dei prezzi dei permessi EUA, contratto future DEC20
Fonte: Elaborazioni su dati ICE Futures Europe
I ribassi di natura tecnica
Il processo di causalità delle aspettative porta inevitabilmente ad una flessione su diversi listini di borsa su scala globale.
I breakout di prezzo sono particolarmente amplificati sulla borsa dei permessi di emissione, trattandosi di un mercato normativo e fortemente finanziario. Il prezzo del sottostante non è in questo caso legato a fattori intrinseci e di natura fisica (come può essere, ad esempio, per una materia prima impiegata nella produzione industriale) quindi, virtualmente, il prezzo può andare a zero (evento che tra l’altro si è verificato per le EUA durante il passaggio da fase I a fase II del meccanismo EU ETS).
Alla vista dei primi ribassi, si possono facilmente scatenare panic selling ed il classico effetto ‘palla di neve’, alimentati a loro volta da una buona dose di trading algoritmico e ad alta frequenza che evidenzia ‘la stupidità’ dei bot di market making; i quali chiudono gli ordini secondo schemi predefiniti ed iper-razionalizzati (non dimentichiamo che vi è anche questo aspetto sulle exchange). In sintesi, questo significa che gli operatori in carne ed ossa, assieme a quelli che altro non sono che un computer, si mettono tutti in vendita nello stesso momento cercando di chiudere gli ordini il prima possibile e man mano che la borsa collassa, di fatto alimentandone la discesa e accelerandone il movimento. La corsa al ribasso, che partiva dai massimi di 27,14 €/ton (rif. DEC20) lo scorso dicembre, si è però arrestata evidenziando un supporto tecnico piuttosto consolidato in area 23,30 €/ton; questo ci porta a riflettere sul ruolo dei fondamentali di mercato e degli interventi esterni sul meccanismo ETS.
Fondamentali vs. interventi a sostegno del prezzo vs. contingenze
Il Brent ha perso oltre il 19% dal 20 febbraio, gas ed elettricità (TTF e Cal21 tedesco) oltre il 9%. Il petrolio è stata la commodity per eccellenza che storicamente ha influito sull’andamento della CO2 (basta pensare alla crisi petrolifera di inizio 2016). Perché, quindi, ora l’oil scivola rovinosamente mentre le EUA se la prendono con più calma?
Sui permessi di emissione stanno agendo due forze ‘uguali’ e contrarie: se la sfiducia degli operatori di mercato pesa sui prezzi, è anche vero che ci troviamo in prossimità della scadenza di compliance (30 aprile, si tratta dell’appuntamento annuale per cui gli impianti industriali in ETS devono rendere conto all’UE delle loro emissioni verificate nell’anno solare precedente, consegnandole un numero di permessi di emissione pari alle tonnellate di CO2 emesse), circostanza che ciclicamente spinge le quotazioni EUA al rialzo. Il supporto ai prezzi che ho precedentemente segnalato, in area 23,30 €/ton, ha limitato gli scivoloni del titolo in tutte le sessioni della scorsa settimana.
Pensiamo anche alle contingenze: il coronavirus e le sue imposizioni di ‘stop’ hanno prodotto un sensibile miglioramento della qualità atmosferica, sia in Cina che nelle zone più colpite d’Italia. Basta dare un’occhiata alle mappe dell’Arpa Lombardia per rendersene conto: dal 25 febbraio 2020 al 2 marzo i colori degli indicatori (che segnalano le stazioni fisse presenti sul territorio) mutano, passando dal rosso (dai 50 ai 100 µg/m³) al celeste (da 0 a 20 µg/m³). Ma allora perché questo segnale di natura evidentemente ribassista per i prezzi della CO2, non si traduce in un rovinoso crollo delle quotazioni?
Ricordiamo che, nel lungo periodo, il trend dei prezzi dei permessi EUA rimane rialzista anche grazie agli interventi equilibranti come la Riserva di Stabilità (misura UE che annualmente riduce l’offerta di permessi) e all’impegno della Commissione Europea verso obiettivi climatici come la carbon neutrality al 2050 e la carbon border tax. L’Unione Europea, specialmente dopo l’insediamento in Commissione della Presidentessa von der Leyen, rimane salda nella propria lotta al cambiamento climatico più di ogni altra istituzione sovranazionale al mondo.
Ed è qui che forse si chiude il cerchio: l’inaspettato coronavirus ha fatto sì scendere i prezzi, ma gli operatori più lungimiranti stanno già lavorando sulle loro aspettative per ‘il giorno dopo’, quando il cielo dovrebbe tornare ad essere sereno.
Aggiornamento: In seguito agli sviluppi del weekend 6-8 marzo la giornata di lunedì ha fatto registrare pesanti perdite sulla borsa dei premessi di emissione. Nella mattinata del 9 marzo è stato violato il supporto sopra evidenziato e il prezzo su ICE si è spinto fino a toccare minimi a 22,33 €/ton. Si è trattato comunque di un movimento di breve durata: nel corso della sessione di lunedì le quotazioni hanno rapidamente recuperato e sono tornate a scambiare sopra al livello di equilibrio sopra evidenziato. La circostanza evidenzia il fatto che nell’infra-day il mercato appare estremamente volatile e che in questi giorni si sta giocando la battaglia tra le forze in gioco di brevissimo periodo e quelle di medio-lungo.