Nel giugno del 2019, è nato un nuovo mercato del GNL a impatto zero. Shell ha siglato un accordo per rifornire di questa tipologia di gas le compagnie Tokyo Gas e GS Energy. Una settimana dopo, l’utility giapponese JERA ha annunciato l’invio di un simile cargo destinato ad un cliente indiano. Nel corso del 2020, sono stati altri 4 i carichi di questo tipo provenienti da vari fornitori, diretti tutti verso clienti cinesi. Nel 2021 poi, si è assistito ad un vero e proprio boom, con 21 nuove spedizioni di GNL a impatto zero annunciati, pressoché tutti nei mercati asiatici (vedi figura seguente). Alcuni si aspettano che questo mercato inizi a competere con quello tradizionale degli idrocarburi nel corso della prossima decade. Tuttavia, fino al momento in cui si scrive, nell’anno in corso, non è stato ancora consegnato né è stata annunciata la consegna di carichi di GNL carbon neutral.
Il conflitto russo-ucraino, la riduzione dei flussi dalla Russia e la difficoltà a trovare forniture alternative sul mercato, almeno sul breve periodo, hanno imposto una riflessione rinnovata sul concetto di sicurezza energetica e sulla capacità del sistema di essere resiliente di fronte a shock di questo tipo. Di questi temi e delle soluzioni che il nostro paese sta trovando per affrontare la crisi, ne abbiamo discusso con Massimo Derchi, Chief Industrial Asset Officer Snam
Guerra e sicurezza energetica. Il contesto attuale è delicato e al tempo stesso complicato. I volumi di gas disponibili sul mercato si sono ridotti a causa del taglio effettuato dalla Russia e l’inverno ormai è prossimo.
Nell’attuale contesto geopolitico, sebbene possa sembrare prematuro valutare lo stato dell’arte del settore del gas russo, in ragione delle innumerevoli incertezze che lo contraddistinguono, si possono comunque individuare due tendenze principali. La prima: Gazprom sta per perdere un mercato strategico, quale quello europeo. La seconda: a causa delle sanzioni, si amplia il divario tecnologico che caratterizza l’industria del gas russo che, per sopravvivere, dovrebbe ridurre il più velocemente possibile la sua dipendenza dalle tecnologie importate. Gestire questi due fattori è la principale sfida per garantire la produzione di gas a lungo termine e aumentare il peso delle esportazioni di GNL sul gas totale esportato. Nel frattempo, però, una riduzione delle consegne di gas al Vecchio Continente espone Mosca a un emergente monopsonio della Cina.
L’invasione russa dell’Ucraina ha messo a serio rischio l’approvvigionamento di gas naturale in Europa. La Russia, maggiore fornitore di questa commodities in Europa, ha riorientato i flussi di gas prima verso il mercato interno e poi, laddove possibile, verso est. I volumi via gasdotto, infatti, sono crollati sin dalla seconda metà del 2021 e all’inizio di agosto 2022 si sono attestati su valori il 70% inferiori rispetto a quelli dell’agosto scorso. E la prospettiva di una completa e senza precedente interruzione delle forniture sta amplificando i timori su come affrontare la scarsità di gas, i prezzi in continua crescita e i forti impatti economici.
La guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha ridisegnato i fondamentali geopolitici, lato offerta, del gas naturale in Europa e allo stesso tempo del mondo. Una ristrutturazione radicale dei flussi transfrontalieri di gas sta già prendendo forma, con il Vecchio Continente che sta cercando velocemente di diversificare le proprie importazioni e ridurre la forte dipendenza da Mosca. Il gas naturale quindi è diventato tanto per i paesi europei quanto per la Russia uno strumento di politica estera da declinare in modo differente rispetto al passato.
Ieri
In principio fu il fratello non voluto. All’inizio dell’altro secolo in America correva il detto che trovare gas era un incidente; ma trovarlo due volte era fallimento o, al meglio, licenziamento. Lo si riusciva praticamente a consumare solo dove lo producevi; e la sua immobilità lo condannava ad essere fastidio. Poi si capì che via tubo poteva andare lontano; e mettersi a fare concorrenza ai due parenti fossili. Negli Stati Uniti riusciva a partire dal Texas e ad arrivare a Chicago già prima dell’ultima guerra mondiale; e in Europa comincia a spostarsi negli anni ’60 e dopo la scoperta di Groeningen (Paesi Bassi).
Per chi si occupa di energia, l’attività di scenarizzazione (che non vuol dire previsione, per definizione sbagliata) è una tra le più stimolanti e complesse. Permettetemi una premessa: ricordo la mia prima esperienza di scenari energetici ormai quasi 25 anni fa in quello che era il centro studi energetici per eccellenza in Italia: l’Eni.
L’Italia e l’Europa si stanno giocando ormai la tenuta delle proprie reti di approvvigionamento, trasporto e distribuzione di energia e gas – con i principali rischi che si addensano sui mesi invernali almeno fino ad aprile 2023. L’uso di parole così nette sarebbe parso allarmistico fino a pochi giorni fa, nonostante la guerra in Ucraina stia infuriando da ormai più di tre mesi; anche oggi non si tratta che di un’evenienza, ma tutt’altro che remota.
A giugno, la regione del Mediterraneo orientale è stata teatro di eventi molto importanti legati al mondo dell’energia. All’inizio del mese, la compagnia greca Energean ha annunciato l’arrivo della sua unità di produzione, stoccaggio e scarico “Energean Power” presso il giacimento di Karish, nelle acque territoriali di Israele. Lungamente attesa, l’unità è salpata da Singapore e ci si aspetta inizi a produrre gas nei prossimi 3-4 mesi. Quello di Karish sarà il terzo giacimento produttivo in Israele, dopo Tamar e Leviathan. Evidentemente, questo annuncio non ha compiaciuto le autorità del Libano, le quali reclamano per sé i diritti di utilizzo del giacimento sin dall’ottobre 2020, da quando negoziazioni indirette sono state lanciate tra Libano e Israele con la mediazione degli Stati Uniti nel tentativo di risolvere dispute marittime lunghe decenni. Il governo libanese ha quindi chiamato come mediatore l’americano Amos Hochstein con l’intenzione di riesumare le negoziazioni.
Dopo aver goduto di prezzi bassi dal 2014 al 2020 e una volta uscita dal buio profondo della pandemia, l’Europa ha iniziato a dover fare i conti con l’impennata dei prezzi energetici. Le iniziali dinamiche di mercato si sono via via legate con quelle politiche e militari. Infatti, se inizialmente il rialzo dei prezzi era ascrivibile ai fondamentali di mercato - quali la rapida ripresa della domanda dopo mesi di restrizioni e numerose criticità sul lato dell’offerta-, da fine 2021 a soffiare sulle quotazioni sono stati calcoli e motivazioni politiche.