Quando, fra qualche tempo, avremo alle spalle questo difficile periodo di emergenza e sarà possibile valutare con chiarezza tutti gli effetti – sanitari, sociali, economici - della pandemia in atto, potranno essere tratte delle conclusioni più definitive circa l’impatto sui vari comparti. Tuttavia, quello che fin da ora si può certamente dire è che il trasporto navale, a fronte di ingentissime perdite, stimabili globalmente in circa il 70% del fatturato rispetto allo stesso periodo degli anni passati, non ha ricevuto alcuna attenzione e nessuna forma di aiuto.

Questo nonostante la logistica, di cui il trasporto navale è un anello fondamentale, si sia dimostrata assolutamente essenziale per – letteralmente – mantenere in vita il nostro paese. Occorre chiedersi che cosa sarebbe successo se il trasporto navale si fosse fermato: se solo pensiamo che la quasi totalità dei prodotti petroliferi, greggi e raffinati, vengono trasportati via mare, è evidente che nel giro di poche settimane, con l’esaurirsi dei combustibili, si sarebbe fermato tutto il sistema di distribuzione nel nostro paese; non sarebbe stato possibile far arrivare farmaci e presidi sanitari agli ospedali, derrate alimentari ai mercati e supermercati, e così via. E se, ancora, consideriamo che oltre il 10% della popolazione italiana vive nelle isole, possiamo solo immaginare cosa sarebbe successo se il settore del trasporto via mare, seppur tra mille difficoltà, non si fosse comunque fatto carico di assicurare il trasporto di persone e merci a favore di questa larga parte di nostri connazionali.

Lo shipping deve rammaricarsi di essere - in un certo senso – “dato per scontato”, una sorta di “fatto acquisito”; un po’ come l’energia elettrica nelle nostre abitazioni: ci rendiamo della sua esistenza ed essenzialità solo quando ci viene a mancare. Il nostro settore paga questo prezzo ormai da anni e l’emergenza Covid19 ha solo reso più acuto il fatto che, con il passare del tempo, il trasporto navale ha via via perso il valore strategico che in passato lo ha caratterizzato e che vedeva le marine mercantili come asset essenziali delle nazioni costiere, come delle vere e proprie “infrastrutture mobili” a servizio dell’intera economia del paese.

Sono concetti che “a mente fredda” andranno riconsiderati e ripensati, perché questo imprevisto – ma non imprevedibile - “esperimento globale” a cui ci ha sottoposto la storia ha messo in evidenza debolezze che dovranno essere corrette e punti di forza che dovranno essere valorizzati, per trasformare questa drammatica crisi in un punto di ripartenza per tutti i settori, compreso quello dello shipping.

Per ripartire, il settore deve essere aiutato e devono essere messi in campo due interventi. Il primo, di natura immediata, deve servire a dare almeno un po’ di ristoro alle compagnie che sono state colpite in modo estremamente pesante dal calo dei fatturati, in particolare quella che rischiano di vedere messa in discussione la loro stessa sopravvivenza; prime fra tutte quelle impegnate nel collegamento con le isole. Il secondo intervento, non meno urgente, deve essere di natura più strutturale e legato alla necessità di rendere più efficiente il sistema dei trasporti navali, sfruttando l’opportunità concessa dalle ingenti risorse economiche che verranno messe in campo e destinando parte di queste a rendere lo shipping più sostenibile ed in linea con le crescenti istanze ambientali.

La nave è già nei fatti il mezzo di trasporto ambientalmente più sostenibile in termini di emissioni di gas serra. Se consideriamo i grammi di anidride carbonica emessa dal trasporto navale per ogni tonnellata trasportata e per ogni miglio percorso otteniamo un valore di molti ordini di grandezza inferiore rispetto alle altre modalità di trasporto. Anche dal punto di vista delle emissioni nocive, prima fra tutte quelle di ossidi di zolfo, rispetto a qualche anno fa la situazione è decisamente migliorata; l’introduzione di aree Eca (Emission Control Area) e l’adozione di combustibili sempre più puliti (all’inizio di quest’anno il massimo tenore di zolfo ammesso nei combustibili navali è stato ridotto di ben sette volte) o di sistemi di pulizia dei gas di scarico, ha ridotto in modo sostanziale le emissioni di gas inquinanti da parte dello shipping che oggi, anche da questo punto di vista, è competitivo rispetto alle altre modalità di trasporto.

Confronto delle emissioni di CO2 per modalità di trasporto

Fonte: Elaborazioni su dati IMO GHG Studye AP Meller-Maersk

Si può e si deve fare di più. Da qui al 2050 l’International Maritime Organization si è posta ambiziosi obbiettivi in termini di riduzione di gas clima-alteranti e questo prefigura una progressiva decarbonizzazione del settore, con una serie di passaggi intermedi secondo una road map già delineata ed ora in fase di più precisa definizione. Lungo questo percorso, che vede come punto di arrivo l’adozione di fuel alternativi agli attuali combustibili fossili e sistemi di propulsione innovativi, giocheranno un ruolo importante anche carburanti di transizione come il GNL (gas naturale liquefatto) che, utilizzando una tecnologia già ampiamente collaudata, consente di ridurre da subito sia le emissioni di anidride carbonica che quelle di gas nocivi.

Evidentemente, questo processo passa per un progressivo ammodernamento delle flotte ed ecco quindi, in un settore fortemente “capital intensive”, la necessità degli aiuti strutturali di cui si parlava poc’anzi. Sarà necessario investire in modo deciso su ricerca e sviluppo e su nuove costruzioni. Bisogna destinare al settore le risorse necessarie ad incentivare in modo adeguato questo processo di rinnovamento ed occorre agire in fretta, tenendo conto del fatto che il ciclo di vita ultradecennale delle navi fa sì che le unità che mettiamo in acqua oggi saranno operative a lungo.

E’ necessario realizzare velocemente le infrastrutture e le procedure che consentono di utilizzare il GNL per la propulsione navale, in modo da avviare al più presto la fase di transizione, promuovere contemporaneamente la ricerca e lo sviluppo, allo scopo di individuare e consolidare le soluzioni alternative più promettenti e studiare gli strumenti finanziari più efficaci per consentire agli armatori di poter programmare il rinnovamento delle loro flotte.

Per far tutto questo è necessario destinare al settore un volume adeguato di risorse. Digitalizzazione ed innovazione nel campo della Information e Communication Technology, sulle quali oggi i governi investono in modo massiccio, rendono più efficienti i processi industriali ma non li sostituiscono, allo stesso modo rendono più efficienti la logistica ed i trasporti ma non li sostituiscono; infatti, per portare un prodotto dal suo luogo di produzione fino al consumatore, sarà sempre e comunque necessaria una catena di trasporti in cui la nave continuerà ad essere un anello essenziale ed insostituibile; occorre quindi che i governi investano in modo deciso anche in questa direzione.