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Le previsioni sull’evoluzione del clima terrestre costituiscono una noce dura da rompere, poiché si riferiscono ad un sistema di grande complessità soggetto ad una continua trasformazione. La loro analisi riveste ovviamente grande importanza per l’individuazione di adeguati percorsi di sviluppo concernenti l’impiego dell’energia da parte dell’uomo, con un flusso che attualmente ammonta a circa 16 TW e con un aumento annuo di circa il 10%. Il consumo energetico è infatti il principale responsabile dell’emissione dell’anidride carbonica che si accumula nell’atmosfera.
La fusione nucleare è oggi considerata un’opzione molto interessante in quanto si tratta di una fonte di energia sicura, inesauribile e sostenibile per l’ambiente: un processo che consente di ottenere energia riproducendo il meccanismo fisico che alimenta il sole e tutte le altre stelle. È per questo che le grandi potenze economiche mondiali sono attualmente impegnate nel suo sviluppo che, affiancato a quello delle rinnovabili, potrebbe significativamente contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici.
Nucleare sì, nucleare no. Risulta facile, soprattutto in clima ancora sanremese, parafrasare un successo di qualche tempo fa per semplificare il dibattito sul nucleare.
Nucleare no perché è una fonte di energia pericolosa, capace di creare enormi danni all’ambiente e alle persone. Nucleare sì perché, guardando anche un po’ cinicamente ai numeri, il nucleare risulta l’energia con il minor numero di morti per kWh prodotto: si passa dalle 100,000 morti per bilione (1012) di kWhrs legate allo sfruttamento del carbone alle 90 morti/1012 kWhrs dovute all’energia nucleare.
Alla prova della storia, l’atteso grande sviluppo industriale del nucleare civile – che il Presidente americano Dwight D. Eisenhower aveva prospettato nel famoso discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite “Atoms for Peace” l’8 dicembre 1953 – non si è mai avverato: rimanendo un fenomeno circoscritto in termini quantitativi, temporali, spaziali, anche se in nove delle dieci maggiori potenze mondiali la tecnologia nucleare diveniva componente più o meno essenziale del mix energetico.
Una fotografia di quanto avvenuto in tutto il mondo nell’anno 2017 sul fronte dell’energia nucleare è sintetizzato nel World Nuclear Industry Status Report: 4 avvii di reattori (12 in meno rispetto al previsto); 3 spegnimenti; 4 costruzioni di reattori avviate; 2 costruzioni di reattori abbandonate; la bancarotta di Westinghouse; il salvataggio e la chiusura di Areva; una notevole pressione finanziaria ed economica sugli operatori nucleari. Globalmente, operano 405 reattori (1 in meno di un anno fa), 52 in costruzione (3 in meno). Cinque nuovi reattori sono stati disattivati a lungo termine e 3 sono stati fatti ripartire.
Tra ottobre e dicembre, i mesi in cui il deficit di produzione nucleare francese è stato finora più acuto, le centrali termoelettriche italiane hanno lavorato molto più che negli anni passati, grazie alle minori importazioni da compensare e alle maggiori esportazioni. E nei prossimi anni il parco nucleare della Francia non andrà certo ringiovanendo. Per questo molti si sono domandati se il caso francese non costringa a riconsiderare la condizione di sovraccapacità del sistema elettrico italiano e le misure approntate per fronteggiarla.
Negli anni ‘60, la Francia ha scelto il nucleare come fonte principale per la produzione di elettricità. Due le ragioni chiave alla base di questa decisione: l’indipendenza energetica e l’assenza di consistenti emissioni in atmosfera. L’implementazione di questa scelta ha fatto sì che, a partire dagli anni ‘90, la nazione si posizionasse ai primi posti in Europa, se non nel mondo, in termini di contenimento delle emissioni di CO2: considerando tutte le fonti di produzione, queste risultavano inferiori a 6 tonnellate l’anno per abitante. Un risultato che ha portato la Francia ad essere citata come esempio da seguire durante la stesura del Protocollo di Kyoto nel 1997, in occasione della III Conferenza delle Parti (COP3).
Pochi temi di politica energetica sono controversi quanto l’energia nucleare. La discussione, placatasi dopo l’esito referendario del 2011, è stata riaccesa dalla sospensione cautelativa di 18 centrali nucleari in Francia, disposta a fine settembre dall’Autorité de Sureté Nucléaire (ASN) per sospetti di un eccessivo contenuto di carbonio nell’acciaio degli involucri. Trasformando la Francia in un paese importatore, l’improvvisa penuria energetica ha generato pressione sui prezzi dell’elettricità nei paesi confinanti, tra cui il nostro, aggiungendosi al consueto incremento stagionale della domanda. Le prime proiezioni degli effetti per il sistema elettrico italiano ipotizzavano che le esportazioni verso la Francia sarebbero state sostenute da impianti a ciclo combinato altrimenti fuori mercato e prevedevano un aggravio del costo in bolletta per gli utenti italiani tra 1 e 1,5 miliardi di euro (mld. euro) nei mesi successivi all’annuncio delle sospensioni, come riportato da numerose testate.
Attualmente, i paesi europei che ospitano centrali nucleari sono 15. Al primo posto si colloca la Francia con 58 reattori, rappresentando circa la metà della capacità nucleare installata in Europa; seguono, ad una certa distanza, il Regno Unito con 15 unità e la Svezia con 10. La produzione dei singoli paesi varia inevitabilmente di anno in anno, specie in funzione dell’età del parco nucleare: man mano che passa il tempo, i reattori richiedono importanti interventi di manutenzione e di upgrade. Non stupisce quindi che nel 2015 si sia registrato un calo produttivo rispetto al 2014, nonostante il numero di reattori attivi sia rimasto pressoché lo stesso.
“Per un abbandono pianificato dell’energia nucleare” si chiamava l’iniziativa popolare sottoposta a referendum in Svizzera il 27 novembre 2016. Secondo il piano proposto, i cinque reattori nucleari presenti nel paese avrebbero dovuto chiudere: nel 2017 quello di Mühleberg e i due di Beznau; nel 2024 quello di Gösgen; nel 2029 quello di Leibstadt. Ma, con un’affluenza al voto del 45% - che per la Svizzera è abbastanza normale - 1.301.520 cittadini hanno detto no, pari al 54,2%, contro 1.098.464 sì, pari al 45,8%.