“Per un abbandono pianificato dell’energia nucleare” si chiamava l’iniziativa popolare sottoposta a referendum in Svizzera il 27 novembre 2016. Secondo il piano proposto, i cinque reattori nucleari presenti nel paese avrebbero dovuto chiudere: nel 2017 quello di Mühleberg e i due di Beznau; nel 2024 quello di Gösgen; nel 2029 quello di Leibstadt. Ma, con un’affluenza al voto del 45% - che per la Svizzera è abbastanza normale - 1.301.520 cittadini hanno detto no, pari al 54,2%, contro 1.098.464 sì, pari al 45,8%.
In realtà, nel sistema referendario svizzero a decidere non è il voto popolare in senso stretto bensì il risultato dei Cantoni, ma lì il dato è stato anche più netto: infatti, il no ha vinto in 20 su 26. Unici cantoni a favore del testo Basilea Città (60,48% di sì), Basilea Campagna (50,44%), Neuchâtel (56,78%), Vaud (54,57%), Ginevra (58,96%) e Giura (57,47%). Gli ultimi quattro sono i soli integralmente francofoni della Confederazione, mentre si sono schierati decisamente a favore del nucleare i cantoni di lingua tedesca (a parte i due di Basilea), italiana e mista. L’italofono Canton Ticino, in particolare, ha registrato il 53,74% di no, mentre nel germanofono-italofono-romanciofono Grigioni la percentuale di no ha raggiunto il 55,95%.
Proposto dai Verdi, il referendum presentava aspetti singolari perché in realtà, dopo l’incidente di Fukushima, la Svizzera aveva già in linea di principio deciso la fuoriuscita dal nucleare. Ma poiché dalle quattro centrali e cinque reattori esistenti proviene tuttora un terzo di tutta l’elettricità utilizzata nel paese - cui si aggiunge il 60% di origine idroelettrica e il 4% da altre fonti rinnovabili come solare e eolico - nessun calendario preciso è stato concretamente fornito. L’iniziativa referendaria puntava dunque a mettere dei paletti chiari, stabilendo in particolare sia il divieto di costruire centrali nucleari nuove sia il limite dei 45 anni all’utilizzo degli impianti esistenti. Il governo in carica ha ribattuto che una “chiusura accelerata” avrebbe potuto minacciare la “sicurezza dell’approvvigionamento” del paese, e che sarebbe stato meglio continuare a utilizzare il sistema di licenze basate sul soddisfacimento dei criteri di sicurezza, senza scadenze precise. È la cosiddetta “Strategia energetica 2050” che ha ricevuto il consenso dalla maggioranza degli elettori.
La centrale nucleare di Mühleberg, che si trova nel Cantone di Berna e che fornisce il 5% dell’elettricità svizzera, verrà comunque chiusa dalla società Bkw entro il 2019. Autorizzata nel 1965, costruita a partire dal 1967 e in funzione dal 1972, si tratta in effetti di una delle più antiche centrali nucleari del mondo, preceduta in Svizzera dalla sola Beznau 1, che funziona dal 1969 e che è in assoluto la decana di tutto il nucleare mondiale. Vicinissima a Berna, la centrale di Mühleberg iniziò a suscitare preoccupazioni già dagli anni ‘90 per via di alcune crepe comparse nell’involucro del nucleo. Unica centrale nucleare svizzera ad essere soggetta ad un’autorizzazione di durata limitata, rilasciata il 14 dicembre 1992, avrebbe in realtà dovuto chiudere il 31 dicembre 2012. Tuttavia, dal 25 gennaio 2005 la Bkw aveva chiesto una proroga che le era stata concessa nel 2009 per un periodo di tempo illimitato; detta proroga è stata successivamente revocata l’8 marzo del 2012 da un ordine con cui il Tribunale Amministrativo Federale ne imponeva la chiusura per il 31 maggio 2013, poi di nuovo concessa il 28 marzo 2013.
È possibile che ora questo referendum possa portare a un ripensamento anche sulla strategia di fuoriuscita dal nucleare senza scadenze? È questa ad esempio l’opinione di Christian Wasserfallen, consigliere federale del Partito Liberale Radicale che è anche membro del comitato direttivo dell’Azione svizzera per una politica energetica ragionevole (Asper) e secondo cui “la gente non ne vuole sapere di un'uscita dal nucleare”. Secondo i Verdi si tratta, invece, di un risultato “incoraggiante”. Il Comitato Promotore sostiene infatti che ormai il nucleare in Svizzera è stato messo in discussione e che presto il sistema di controlli da cui dipende il proseguimento delle centrali diverrà ingestibile. Ma nella destra della Svp-Udc (Partito Popolare Svizzero-Unione Democratica di Centro) non manca chi sostiene, al contrario, che questo referendum dovrebbe far abbandonare la strategia di chiusura delle centrali nucleari e preannuncia iniziative contro la Strategia energetica 2050. Probabilmente, molto dipenderà da come evolverà la questione nucleare nei Paesi vicini. Axpo, società che possiede gli impianti di Beznau I e II, aveva comunque annunciato una maxi richiesta di risarcimento danni da 4,1 miliardi di franchi, circa 3,8 miliardi di euro, in caso di vittoria dell’iniziativa ambientalista.