Adattamento è una parola bella e relativamente giovane, associata al cambiamento climatico, si intende. Una parola che evoca avventura, speranza ma anche grande senso pratico di quelle comunità che hanno capito quanto sia importante operare sul territorio, nelle città, sulle ‘infrastrutture verdi’ per consentire che la vita continui in maniera dignitosa anche nell’era degli sconvolgimenti meteoclimatici di cui tutti siamo ormai ostaggio. Eppure, abbiamo prima dovuto capire cosa significasse veramente “adattamento”. Trent’anni fa, nel 1990, pur facendone implicitamente riferimento nel primo rapporto redatto dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (il terzo volume di quel rapporto si chiamava proprio “The IPCC Response Strategies”), questo termine non veniva mai stato utilizzato apertamente. Sono serviti undici anni perché il terzo Rapporto IPCC, datato 2001, dedicasse all’adattamento un intero volume, intitolato “Impacts, Adaptation and Vulnerability”. La rivoluzione copernicana delle risposte possibili al mutamento climatico si era compiuta. Non si poteva e non si doveva più ragionare solo in termini di mitigazione.
Bene, da allora molti paesi si sono mossi più o meno spediti nella direzione dell’adattamento. Tra questi, ça va sans dire, non c’è l’Italia che vede ancora oggi ferma al palo la sua Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC). Le regioni, dunque, si stanno muovendo in ordine sparso, spinte dalla necessità e dall’impellenza di misure non più procrastinabili.
E qui inizia la storia del viaggio compiuto da ADAPTATION in Emilia-Romagna, una terra governata con lungimiranza. Già ad ottobre 2015, prima della celebre COP21 di Parigi, l’Emilia-Romagna aveva sottoscritto l’Under 2 Mou, documento che conteneva impegni serissimi (riduzione gas serra, in primis) e a valle del quale, nel 2018, la regione si è ritrovata a votare ed approvare il proprio Piano di Adattamento. Uno dei pochi Piani, sia chiaro, a non essere solo scritto sulla carta ma, a tre anni di distanza, già tradotto in opere concrete e visibili.
ADAPTATION è un lavoro giornalistico, un webdoc fruibile sulla piattaforma Adaptation.it. Il luogo virtuale dove approdare se si vuol scoprire dalla voce dei protagonisti e con il supporto di immagini ed infografiche esclusive quel che il mondo sta realmente facendo per adattarsi al cambiamento climatico. La prima puntata ‘italiana’ del lungo reportage è stata dunque dedicata all’Emilia Romagna.
Fiducia riposta benissimo, la nostra: le storie intercettate sul territorio sono state tante e molto coinvolgenti. Il fil rouge che le collega tutte, o quasi, è l’acqua.
Oggi l'Italia versa in uno stato di crisi idrica strutturale, causata da numerosi e concomitanti fattori quali eccessivo water footprint, perdite nelle reti, condizioni climatiche sempre più estreme, spreco della risorsa e mancato o insufficiente riuso. È dunque fondamentale rigenerare e riutilizzare l’acqua. Secondo recenti studi (confortati da azioni di monitoraggio portate avanti nel tempo in tutta la penisola) nei primi quattro mesi del 2020 sono mancati all'appello 23,4 miliardi di metri cubi d’acqua. Vale a dire una quantità pari a quella contenuta nel lago di Como. Un’enormità.
Le soluzioni per convivere con la perenne emergenza idrica, da una parte, e quelle per salvaguardare i centri urbani dagli effetti dell’invasione dell’acqua (piovana e fognaria), dall’altra, sono dunque azioni di adattamento particolarmente indovinate.
Il Gruppo Hera, multiutility che ha il suo quartier generale a Bologna, ha aperto allo staff di ADAPTATION le porte di alcuni dei suoi gioielli di famiglia. Le ‘vasche’ scavate sotto piazzale Kennedy, a Rimini, per farvi convergere acque piovane e reflue in eccesso ed evitare che vengano sversate in mare, per esempio. Possiamo paragonarle alle navate di cattedrale ‘invisibile’ che rappresenta l’opera principale del PSBO (Piano di Salvaguardia della Balneazione Ottimizzato). E poi il potabilizzatore di Pontelagoscuro, nel ferrarese, dove viene resa potabile l’acqua del PO. Azione fondamentale per la crescita di una comunità realmente resiliente e 'adattata', resa possibile anche dall’uso di tecnologia all’avanguardia come i droni sottomarini filoguidati che effettuano controlli di vario tipo.
Sul fronte della rigenerazione dell’acqua (e conseguente rinaturalizzazione del territorio) è invece molto interessante la collaborazione intrapresa dal Gruppo con il Consorzio della Bonifica Renana che prevede la depurazione delle acque reflue nell’impianto IDAR di Bologna e poi la loro reimmissione nel canale Navile (quasi sempre ‘assetato’, come ormai tutti i corsi d’acqua italiani). Un processo che ha consentito di ridare vita non solo al Canale ma anche all’Oasi La Rizza di Bentivoglio, area naturalistica molto amata e anche molto stressata dal cambiamento climatico.
Spostandosi a Cesenatico, impressionanti le paratie d’acciaio (amichevolmente chiamate “piccolo MOSE”) realizzate dal Consorzio di Bonifica della Romagna per difendere la cittadina dalle acque in eccesso provenienti dall’interno e dalle mareggiate che premono all’esterno. Infine, rimanendo sul tema acqua (si, ne siamo stati rapiti), non bisogna dimenticare un progetto ancora di là da venire, ma che esiste già sulla carta. Una nuova e ipertecnologica barriera anti-sale che proteggerà il Po dalla risalita di acqua dal mare a causa della riduzione della portata (di acqua dolce) del fiume. Fenomeno noto in letteratura come cuneo salino.
Nel 2020 il mare si è spinto per ben 30 km all’interno, mettendo a rischio le campagne e le coltivazioni in un distretto che ‘vale’ il 30% di tutta la produzione agricola italiana.
Tutela dei territori, dell’acqua, della vita delle persone, non c’è più tempo da perdere, e l’Emilia-Romagna pare proprio averlo capito.